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Citazioni Errate - C

Elenco di citazioni attribuite in maniera dubbia, di frasi false e vere e proprie "bufale" che circolano su internet, la cui iniziale comincia con la lettera C. Se hai qualche precisazione da fare per migliorare questa sezione, oppure desideri segnalare una citazione che hai trovato sul web e sulla cui autenticità hai dei dubbi, contatta pure Aforismario attraverso il form nel menu a destra. Se, inoltre, sei interessato alla spiegazione di alcune frasi, cerca la pagina "Significato di frasi e citazioni" attraverso l'apposita casella qui a destra.
Qualunque frase priva di fonti bibliografiche certe, su internet la potrete trovare
attribuita nel 99% dei casi a: Oscar Wilde, Jim Morrison o Albert Einstein
e per il restante 1% a un altro autore sbagliato. (Aforismario)
C'è chi guarda alle cose come sono e si chiede "Perché?". Io penso a come potrebbero essere e mi chiedo "Perché no?".
In inglese: There are those that look at things the way they are, and ask why? I dream of things that never were, and ask why not?
Questa citazione è spesso attribuita a Robert Kennedy (1925-1968), il quale, seppure l'ha pronunciata, citava un pensiero dello scrittore irlandese George Bernard Shaw in Torniamo a Matusalemme (Back To Methuselah, 1920): "C'è chi vede le cose come sono e dice: "Perché?". Io invece sogno cose mai viste e dico: "Perché no?" (You see things; and you say, "Why?" But I dream things that never were; and I say, "Why not?"). Da notare che la medesima frase era già stata pronunciata anche da John Kennedy (fratello di Robert) nel 1963 durante una visita in Irlanda.

C’è solo un modo per evitare le critiche: non fare nulla, non dire nulla e non essere niente.
Questa citazione è di solito attribuita ad Aristotele, ma si tratta di un pensiero dello scrittore e filosofo statunitense Elbert Hubbard (1856-1915) che lo ha ripetuto in diversi suoi scritti in forme leggermente diverse l'una dall'altra. Nel 1911, per esempio, in Little Journeys to the Homes of the Great, scrive: "Se volete fuggire l'assassinio fisico e morale, non fate nulla, non dite nulla, non siate nulla" (If you would escape moral and physical assassination, do nothing, say nothing, be nothing); mentre nel 1914, in The Fra: For Philistines and Roycrofters - Volume 13, scrive: "La ricetta per la pace perfetta è: non fare nulla, non dire nulla, non essere nulla" (The recipe for perfect peace is, do nothing, say nothing, be nothing); in Selected Writings of Elbert Hubbard (pubblicati postumi nel 1922): "Non fare nulla, non dire nulla, non essere nulla, e non sarai mai criticato" (Do nothing, say nothing, and be nothing, and you'll never be criticized).

C'è un solo tipo di successo: quello di fare della propria vita ciò che si desidera.
Questa famosa citazione è quasi sempre attribuita, ma soltanto in Italia, al filosofo e scrittore statunitense Henry David Thoreau (1817-1862). In realtà si tratta di una frase dello scrittore statunitense Christopher Morley (1890-1957) ed è tratta da Where the Blue Begins (1922): "There is only one success, he said to himself − to be able to spend your life in your own way" (C'è un solo successo [...] essere in grado di trascorrere la vita a modo proprio). Purtroppo l'errata attribuzione è assai diffusa non soltanto su internet, in quanto presente nei più popolari siti di aforismi, ma anche in diversi libri di recente pubblicazione, in quanto ormai molti autori usano pescare le loro citazioni preferite nel mare del web, ritenendolo - assai ingenuamente - affidabile.

C’è una verità elementare, la cui ignoranza uccide innumerevoli idee e splendidi piani: nel momento in cui ci si impegna a fondo, anche la provvidenza allora si muove. Infinite cose accadono per aiutarla, cose che altrimenti mai sarebbero avvenute.  [...]  Ho imparato ad avere un profondo rispetto per un distico di Goethe: "Qualunque cosa tu possa fare o sognare di poterla fare, incominciala. L’audacia ha in sé genio, potere e magia".
Questo brano, abbastanza popolare sul web, è generalmente attribuito a Johan Wolfgang Goethe (1749-1832), ma in realtà si tratta di un testo dell'alpinista scozzese William Hutchison Murray (1913-1996), tratto da The Scottish Himalayan Expedition (1951). L'equivoco, forse, nasce dal fatto che alla fine del brano Murray cita una paio d versi di Goethe (tradotti in maniera assai disinvolta dal Faust), ma da qui ad attribuire l'intero brano a Goethe ce ne c vuole! Ecco il testo originale inglese: "There is one elementary truth, the ignorance of which kills countless ideas and splendid plans: that the moment one definitely commits oneself, then Providence moves too. All sorts of things occur to help one that would never otherwise have occurred. A whole stream of events issues from the decision, raising in one's favour all manner of unforeseen incidents and meetings and material assistance, which no man could have dreamt would have come his way. I learned a deep respect for one of Goethe's couplets: Whatever you can do or dream you can, begin it. Boldness has genius, power and magic in it!".

Calunniate, calunniate, qualcosa resterà. 
Tale citazione è spesso attribuita a Voltaire o a Jean-Jacques Rousseau, ma in realtà è del filosofo inglese Francis Bacon; si trova, infatti, nel De dignitate et augmentis scientiarum, testo in latino pubblicato nel 1623: "Sicut enim dici solet de calumnia, audacter calumniare, semper aliquid haeret". La frase si è probabilmente diffusa in Italia dal francese "Calomniez, calomniez; il en restera toujours quelque chose", pronunciata da uno dei personaggi (Don Basilio) della commedia Il barbiere di Siviglia (1775) di Pierre-Augustin de Beaumarchais, messa in musica nel 1816 da Gioacchino Rossini.

Caso è forse lo pseudonimo di Dio quando non vuole firmare.
In francese: Le hasard, c'est peut-être le pseudonyme de Dieu, quand il ne veut pas signer.
Questa celebre frase è universalmente attribuita ad Anatole France che, secondo quanto si pensa comunemente, l'avrebbe scritta ne Il giardino di Epicuro (1895). In realtà la citazione non è di Anatole France, ma di Théophile Gautier: si trova, infatti, nella III lettera di Edgard Meilhan (pseudonimo di Théophile Gautier) al Principe di Monbert, in Mme Emile de Girardin, Théophile Gautier, Jules Sandeau, La Croix de Berny, del 1845. È curioso notare, tuttavia, che ne Il giardino di Epicuro esiste una frase di Anatole France che è in qualche modo simile a questa più nota, e che forse ha generato la confusione: "Nella vita si deve tener conto del caso. Il caso, in fin dei conti, è Dio" (Il faut, dans la vie, faire la part du hasard. Le hasard, en définitive, c’est Dieu).

Certe famiglie sono come le patate: la parte migliore sta sottoterra.
Questa citazione si trova su internet attribuita quasi sempre a Indro Montanelli, che in effetti la scrive nel 1978 nella rubrica Controcorrente da lui curata per il Giornale. Tuttavia, la frase si rifà molto probabilmente a una citazione del poeta e saggista inglese Thomas Overbury, che già nel 1613, in Characters, scriveva: "Chi non ha nulla da vantare se non i suoi illustri antenati è come la patata − la parte migliore sta sotto terra". (The man who has nothing to boast of but his illustrious ancestry is like the potato — the best part under ground).

Che Dio ci perdoni. E ci perdonerà. È il suo mestiere.
La paternità di questa battuta è attribuita a Marcello Marchesi, il quale, in effetti, la scrive ne Il malloppo (1971), seppure nella forma leggermente diversa: "Che Dio ti perdoni. E ti perdonerà. È il suo mestiere". È evidente, tuttavia, che Marcello Marchesi riprende le ultime parole che il poeta tedesco Heinrich Heine (1797-1856) avrebbe rivolto sul letto di morte al prete che lo richiamava al pensiero della grazia di Dio, facendogli sperare di trovare presso di lui il perdono dei suoi peccati: "Dio mi perdonerà, è il suo mestiere" (Gott wird mir verzeihen, das ist sein Beruf).

Che l’uomo sia la più abile creatura del mondo lo si può dedurre dal fatto che nessun’altra creatura lo ha mai contraddetto in proposito.
In alcuni siti italiani di citazioni, questa frase è attribuita a Georg Lichtenberg, ma si tratta di una traduzione infedele di un suo aforisma: "Che l'uomo sia la creatura più nobile lo si deduce già dal fatto che nessun'altra creatura lo ha ancora contraddetto". (Aforismi, 1766-1799). Il termine "nobile" dell'aforisma originale è stato sostituito, erroneamente, dal termine "abile".

Che mangino della brioche!
In francese: Qu'il mangent de la brioche!
Questa celebre frase è generalmente attribuita alla regina di Francia Maria Antonietta (1755-1793), che l'avrebbe pronunciata in risposta all'annuncio che al popolo mancasse il pane. Una frase simile, però, si trova ne Le confessioni di Jean-Jacques Rousseau, pubblicato postumo tra il 1782 e il 1789: "Disgraziatamente non sono mai riuscito a bere senza mangiare. Come procurarmi del pane? Mi era impossibile metterne da parte. Farne acquistare dai servi significava tradirmi, e quasi insultare il padrone di casa. Comprarne io stesso, non osai mai. Un signore elegante, la spada al fianco, entrare da un fornaio e comprare un pezzo di pane: era mai possibile? Mi ricordai infine il ripiego di una gran principessa, cui dicevano che ai contadini mancava il pane, e che replicò: "Mangino focaccine". Comprai focaccine".

Che mortificazione! Chiedere a chi ha il potere di riformare il potere. Che ingenuità!
Questa affermazione si trova in molti siti web attribuita al filosofo Giordano Bruno, ma in realtà si tratta di una citazione tratta dal film Giordano Bruno (1973) del regista Giuliano Montaldo, con protagonista l'attore Gian Maria Volonté.

Chi ha da fare non ha tempo per le lacrime.
In inglese: The busy have no time for tears.
Questa citazione si trova su molti siti web italiani - compresi alcuni dei più seguiti siti di aforismi che contribuiscono a diffonderla - attribuita al (solito) Albert Einstein, ma si tratta di un verso di George Gordon Byron tratto da I due Foscari (The Two Foscari), opera pubblicata nel 1821, quando Einstein non era ancora nato.

Chi dice che è impossibile, non dovrebbe interrompere chi lo sta facendo. 
In inglese: People who say it cannot be done should not interrupt those who are doing it.
Questa citazione è attribuita, specie in lingua italiana, ad Albert Einstein, mentre in lingua inglese è più spesso attribuita a George Bernard Shaw e, a volte, a Ralph Waldo Emerson. Secondo alcuni si tratterebbe di un proverbio cinese, quel che è certo è che l'autore è sconosciuto. Altre versioni della medesima frase sono le seguenti: "Chi dice che è impossibile, non dovrebbe disturbare chi ce la sta facendo". "Chi dice che una cosa non si può fare non dovrebbe mai interrompere chi la sta facendo". "La persona che dice che una cosa è impossibile non dovrebbe interrompere la persona che la sta facendo" (The person who says it cannot be done should not interrupt the person doing it).  [Per la spiegazione di questo pensiero vedi "Significato di frasi e citazioni" su Aforismario].

Chi dice di combattere la dittatura dall'interno è già complice. 
Questa citazione è spesso attribuita a Daniele Luttazzi, ma si tratta di una frase del presidente cileno Salvador Allende (1908-1973) citata dal comico italiano in alcuni suoi monologhi. Ad esempio, in Adenoidi (2003) Luttazzi dice a un certo punto: "Chi dice di combattere la dittatura dall'interno è già complice. Chi dice questa frase? Escrivá de Balaguer? No, Salvador Allende; l'ho letta vent'anni fa, me la sono ritagliata, ce l'ho sul mio comodino, ed utile per capire tanti meccanismi della politica".

Chi dimentica il passato è condannato a ripeterlo.
In inglese: Those who cannot remember the past are condemned to repeat it.
Questa frase (a volte tradotta in italiano con la parola "riviverlo" invece che "ripeterlo") è spesso attribuita allo scrittore statunitense Chuck Palahniuk. Questi, in effetti, la cita più di una volta nel suo romanzo Soffocare (Choke, 2001), ma si tratta, per l'appunto, di citazioni: "Because supposedly, those who forget the past are condemned to repeat it" (A quanto si dice chi dimentica il passato è condannato a ripeterlo); oppure: "I hear my mom's voice saying, 'You know the old phrase 'Those who don't remember the past are condemned to repeat it'? Well, I think those who remember their past are even worse off.'" (Sento la voce di mia madre dire: «Ha presente quel vecchio detto, 'Chi dimentica il passato è condannato a ripeterlo'? Be', io penso che chi il passato se lo ricorda sia messo anche peggio»). La frase, infatti, è del filosofo e scrittore spagnolo George Santayana, e si trova in La ragione nel senso comune (Reason in Common Sense), che costituisce il primo volume del suo La vita della ragione (The Life of Reason, 1905-1906): "Coloro che non ricordano il passato sono condannati a ripeterlo". La frase "Chi dimentica il passato è condannato a riviverlo" si trova incisa in trenta lingue su un monumento nel campo di concentramento di Dachau, e in Italia molti ne attribuiscono erroneamente la paternità a Primo Levi.

Chi è amico di tutti non è amico di nessuno.
Questa frase è spesso attribuita, almeno in lingua italiana, ad Arthur Schopenhauer, e non solo sul web, ma anche in diversi libri (si veda ad esempio: Guido Almansi, Il filosofo portatile, 1991). Ora, seppure non si può escludere che la frase si trovi in qualche scritto di Schopenhauer (anche se noi non l'abbiamo trovata), si tratta comunque della citazione di un vecchio proverbio: "Amico di tutti, amico di nessuno", tra l'altro già pubblicato nel 1732 (quando Schopenhauer doveva ancora nascere) nella celebre raccolta di proverbi di Thomas FullerGnomologia: Adagies and Proverbs: "He's a Friend to none, that is a Friend to all" (Chi è amico di tutti è amico di nessuno); e anche: "A Friend to all, is a Friend to none" (Un amico di tutti, è un amico di nessuno).

Chi è Dio, se non colui che ci fa porre la domanda?
In francese: Qu'est-ce que Dieu, sinon celui qui nous fait poser la question?
Si segnala questa frase solo per una piccola anomalia assai diffusa sul web in lingua italiana (almeno fino al momento in cui scriviamo), dove la citazione (in questa traduzione: "Chi è Dio, se non colui che ci costringe a porci questo interrogativo?") è attribuita, forse per un errore di trascrizione, a un certo "Andrè Forossard", invece che ad André Frossard (Les pensées, 1994).

Chi ha paura muore ogni giorno, chi non ha paura muore una volta sola. 
La frase è attribuita al giudice Paolo Borsellino, il quale l'avrà forse pronunciata pensando al passo del Giulio Cesare di William Shakespeare in cui si dice: "I vigliacchi muoiono molte volte innanzi di morire; mentre i coraggiosi provano il gusto della morte una volta sola" (Cowards die many times before their deaths; / The valiant never taste of death but once).

Chi ha un perché per vivere può sopportare quasi ogni come.
In tedesco: Wer ein Warum zu leben hat, erträgt fast jedes Wie.
Questa frase è attribuita a Friedrich Nietzsche, ma si tratta di una traduzione non proprio fedele di un suo aforisma pubblicato nel 1888 in Il crepuscolo degli idoli: "Se si possiede il nostro perché della vita, si va d'accordo quasi con ogni domanda sul come. L'uomo non tende alla felicità; solo l'Inglese fa questo". [Hat man sein Warum des Lebens, so verträgt man sich fast mit jedem Wie. Der Mensch strebt nicht nach Glück; nur der Engländer tut das].

Chi lotta può perdere, chi non lotta ha già perso.
Questa frase è generalmente attribuita sia a Ernesto Che Guevara (Quien lucha puede perder. Quien no lucha ya ha perdido) sia a Bertolt Brecht (Wer kämpft, kann verlieren. Wer nicht kämpft, hat schon verloren), ma non esiste alcuna fonte certa né per l'uno né per l'altro. Non è da escludere che si tratti di un detto anonimo.

Chi non ama le donne il vino e il canto, è solo un matto non un santo.
Questa citazione, in lingua italiana, è di solito attribuita ad Arthur Schopenhauer, e non solo su tanti siti web, ma anche in diversi libri, i cui autori riportano sempre più spesso le frasi che circolano su internet senza neppure preoccuparsi di controllarne la correttezza (si vedano ad esempio: L'abito non fa il cuoco. La cucina italiana di uno chef gentiluomo, di Alessandro Borghese, o Le cicale 2010 di Paolo Borraccetti e Gino & Michele). In realtà di questa frase non c'è traccia nelle opere di Schopenhauer, e l'autore è sconosciuto. Da notare, inoltre, che essa riprende un noto proverbio di origine tedesca (spesso attribuito a Martin Lutero): "Chi non ama le donne, il vino e il canto, pazzo è davvero e degno di compianto" (Wer nicht liebt Wein, Weib, Gesang, der bleibt ein Narr sein Leben lang).

Chi non ha tenuto con sé un cane, non sa cosa sia amare ed essere amato. 
In tedesco: Wer nie einen Hund gehabt hat, weiß nicht, was Lieben und Geliebt werden heißt. 
In spagnolo: El que no ha tenido un perro, no sabe lo que es querer y ser querido.
Questo pensiero è spesso attribuito ad Arthur Schopenhauer (amante degli animali e felice possessore di un cane), che in effetti lo riporta nel suo Parerga e paralipomena (1851), ma attribuendolo in maniera esplicita allo scrittore spagnolo Mariano José de Larra che lo scrisse nel suo El doncel de Don Enrique el doliente del 1834.

Chi non sa mentire, crede che tutti dicano il vero.
Questa citazione, in lingua italiana, è diffusa su internet a firma - chissà perché - di Franz Kafka (1883-1924), ma si tratta di un vecchio proverbio italiano, per altro già presente nella raccolta di Proverbi toscani di Giuseppe Giusti, pubblicata postuma nel 1853, quando Kafka doveva ancora nascere!

Chi non sa perdonare spezza il ponte sul quale egli stesso dovrà passare.
L'origine di questa frase si troverebbe, secondo quanto riportato in molti siti italiani, nelle "Sacre Scritture", che è come dire "da nessuna parte". Fortunatamente c'è un libro di Ginella Tabacco intitolato Con te sempre accanto (Mondadori 2012), che riporta la frase in epigrafe a un capitolo dedicato al perdono, e ne indica l'origine precisa in Matteo 6,14. Ma basta aprire il Vangelo per rendersi conto che in Matteo 6,14 si legge il seguente versetto: "Se voi infatti perdonerete agli uomini le loro colpe, il Padre vostro celeste perdonerà anche a voi". Insomma, l'ennesima conferma che non ci si può fidare nemmeno delle citazioni sui libri, per altro anche quando è riportata la fonte. Comunque, per la cronaca, la citazione è di Edward Herbert of Cherbury (1583-1648), che l'ha scritta nella sua Autobiografia: "He that cannot forgive others breaks the bridge over which he must pass himself, for every man hath need to be forgiven": "Chi non riesce a perdonare gli altri distrugge il ponte sul quale egli stesso deve passare; perché ogni uomo ha bisogno di essere perdonato".

Chi segue gli altri non arriva mai primo.
Questa frase di autore anonimo, che spesso è diffusa come proverbio, è una variazione "moderna" da un passo dell'Opus Architectonicum (1648/56, pubblicato postumo nel 1725) dell'architetto Francesco Borromini: "Chi segue gli altri non gli va mai innanzi". Bisogna notare, però, che il Borromini non fa che citare Michelangelo Buonarroti (1475-1564), infatti leggendo l'intero brano si trova scritto: "Io mi allontanai dai communi disegni di quello che diceva Michelangelo, prencipe degli architetti, che chi segue gli altri non gli va mai innanzi. Ed io, al certo, non mi sarei posto a questa professione col fine d'essere solo copista, benché sappia che nell’inventar cose nuove non si può ricevere il frutto della fatica se non tardi". La paternità di questo motto va dunque data a Michelangelo, il quale potrebbe aver tratto ispirazione dalla lettura delle Lettere a Lucilio di Seneca, dove si legge: "Costoro, che non si rendono mai autonomi, seguono le teorie dei filosofi precedenti anche per questioni sulle quali tutti gli altri si sono dissociati e poi per quelle su cui ancora si discute. Non scopriremo mai niente se ci accontentiamo delle scoperte già fatte. Inoltre, se uno segue le orme di un altro, non trova niente, anzi neppure cerca. E allora? Non dovrò seguire le orme di chi mi ha preceduto? Certo posso percorrere la vecchia strada, ma se ne troverò una più corta e più piana, cercherò di aprirla. Quegli uomini che hanno suscitato questi problemi prima di noi non sono i nostri padroni, ma le nostre guide. La verità è aperta a tutti; nessuno se n'è ancora impossessato; gran parte di essa è stata lasciata anche ai posteri". [Per la spiegazione di questo pensiero vedi "Significato di frasi e citazioni" su Aforismario].

Chi si ferma è perduto.
Questa celebre frase è stata pronunciata pubblicamente per la prima volta nel 1938 da Benito Mussolini durante un suo discorso a Genova che cominciava così: "Camerati Genovesi! Durante questi dodici anni l'Italia ha velocemente camminato, e Genova del pari. Ma quello che abbiamo fatto non può essere considerato che come una tappa. Nella lotta delle Nazioni e dei continenti non ci si può fermare: chi si ferma è perduto. Ecco perché il Regime fascista farà tutto quanto è necessario per potenziare i vostri traffici marittimi e le vostre iniziative industriali". Tuttavia molti non sanno che si tratta di un vecchio proverbio che Mussolini ha semplicemente citato e che poi è entrato a far parte dei motti fascisti (cfr. Carlo Lapucci, Dizionario dei proverbi italiani, 2006). Detto questo, non si può non ricordare che la frase "Chi si ferma è perduto" fa anche da titolo a un film del  1960 di Sergio Corbucci con Totò e Peppino De Filippo, nel quale il ragionier Guardalavecchia (Totò), pronuncia la popolare battuta: "Non mi fermo né al primo, né al secondo, né al terzo ostacolo, perché... come dice quell'antico detto della provincia di Chiavari? "Chi si ferma è perduto!" (Chiàvari è un comune della provincia di Genova dove, guarda caso, Mussolini pronunciò il discorso di cui sopra nel '38).

Chiunque abbia il potere per un minuto commette un crimine.
Questa frase è attribuita, in lingua italiana, allo scrittore Luigi Pintor, il quale in effetti la scrive nel suo libro Il nespolo (2001), ma la riporta tra virgolette, così: "«Chiunque abbia il potere per un minuto commette un crimine». Osservazione molto intelligente". Anche se non riporta il nome, Pintor non fa che citare una frase della scrittrice canadese Anne Michaels presente nel suo In fuga (Fugitive Pieces, 1996): "Whoever has power for a minute commits a crime".

Ci sono due cose che mi hanno sempre sorpreso: l'intelligenza degli animali e la bestialità degli uomini. 
Questa frase è spesso attribuita, almeno in Italia, allo scrittore e commediografo francese Tristan Bernard. Ma facendo una semplice ricerca della frase in lingua originale su internet, ci si accorge che essa è attribuita alla scrittrice francese Flora Tristan (1803-1844): "Il y a deux choses qui m'ont toujours surprise: l'intelligence des animaux et la bestialité des hommes". La confusione è forse sorta a causa della leggera omonimia dei due autori: nell'uno, "Tristan" è il nome, nell'altra, il cognome. Tra l'altro, essendo Flora Tristan anche una nota femminista, sorge il dubbio che con il termine "hommes" ella si riferisse non tanto al genere umano, quanto al genere maschile.

Ci sono parole e parole, poi c'è la complicità, che può concedersi il lusso di tacere. 
Questa frase è attribuita a Giacomo Leopardi, ma è quasi inutile dire che non è sua. Si tratta della solita frase di autore anonimo che viene attribuita a un autore celebre per ricevere più consensi.

Ci sono persone che sanno tutto e, purtroppo, questo è tutto quello che sanno.
Questa citazione è generalmente attribuita (ma solo in lingua italiana) a Oscar Wilde. Tuttavia, pur esaminando tutte le sue opere, la frase non risulta, né in lingua italiana né in lingua inglese. La frase di Oscar Wilde più simile a questa si trova ne Il ritratto di Dorian Gray: "Ci sono solo due tipi di persone davvero affascinanti: quelle che sanno tutto e quelle che non sanno assolutamente nulla".

Ciò che abbiamo fatto solo per noi stessi muore con noi. Ciò che abbiamo fatto per gli altri e per il mondo resta ed è immortale.
In inglese: What we have done for ourselves alone dies with us; what we have done for others and the world remains and is immortal.
Questa citazione si trova attribuita in molti siti italiani al famoso scrittore Dan Brown, ma si tratta di una frase dello scrittore e massone statunitense Albert Pike (1860. In Lodge of Sorrow at Washington), soprannominato il "papa della massoneria". L'equivoco nasce dal fatto che Dan Brown cita la frase in Il simbolo perduto (2009), ma la attribuisce esplicitamente ad Albert Pike. Scrive, infatti: "Arrivati al primo pianerottolo, Langdon si ritrovò faccia a faccia con il busto in bronzo dell'eminente massone Albert Pike e con la sua frase più famosa, incisa sul piedistallo: "Ciò che abbiamo fatto solo per noi stessi muore con noi. Ciò che abbiamo fatto per gli altri e per il mondo resta ed è immortale". Più chiaro di così!

Ciò che seminai nell'ira | crebbe in una notte | rigogliosamente | ma la pioggia lo distrusse. || Ciò che seminai con amore | germinò lentamente | maturò tardi | ma in benedetta abbondanza.
Questi versi sono spesso attribuiti a Konrad Lorenz, che non era un poeta ma un etologo. In realtà il loro autore è il poeta e scrittore austriaco Peter Rosegger (1843-1918). L'equivoco nasce dal fatto che Konrad Lorenz li cita nel suo libro L'anello di Re Salomone (1949).

Ciò che tu puoi fare è solo una goccia dell'oceano, ma è questa goccia che dà significato alla tua vita.
Questa frase è spesso attribuita, ma solo in lingua italiana, al presbitero e teologo Ermes Ronchi, che, in effetti, la riporta ne Il canto del pane (1995), ma si tratta di un concetto ripreso dal famoso filantropo e missionario franco-tedesco Albert Schweitzer, che in suo sermone (Etica della Compassione, Strasburgo, 1919) dice: "Ciò che puoi fare sarà solo una goccia nel mare rispetto a quello che deve essere fatto, ma solo questo atteggiamento darà senso e valore alla tua vita" (in inglese: Your utmost attempts will be but a drop in the ocean compared with what needs to be done, but only this attitude will give meaning and value to your life).

Cogli la rosa quando è il momento, / che il tempo, lo sai, vola / e lo stesso fiore che sboccia oggi, / domani appassirà.
In inglese: Gather ye rosebuds while ye may, / Old Time is still a-flying; / and this same flower that smiles to day / to morrow will be dying.
Questi versi, diventati molto popolari di recente per essere stati citati nel film L'attimo fuggente (1989), su diversi siti italiani si trovano attribuiti erroneamente a Walt Whitman e altri. In realtà sono tratti dalla poesia Alle vergini, perché facciano buon uso del loro tempo (Esperidi, 1648) del poeta inglese Robert Herrick: Cogliete le rose finché potete, / il Vecchio Tempo ancora vola, / e lo stesso fiore che oggi sorride, / domani sarà morto.

Come ogni idiota vorrebbe essere saggio, così ogni donna vorrebbe essere uomo.
Questa infelice e misogina affermazione è attribuita a Torquato Tasso nel famoso libro di battute di Gino e Michele Anche le formiche nel loro piccolo s'incazzano. Opera omnia (Baldini e Castoldi, 1995). Ma da una ricerca su Google Books, dove sono riportate probabilmente tutte le opere del Tasso, la frase non risulta. È molto probabile che si tratti di una falsa attribuzione (se non di una vera e propria bufala), anche perché il Tasso non si sarebbe certo espresso nel XVI secolo in uno stile così moderno qual è quello della frase citata.

Comincerete a prendere in seria considerazione la follia quando per la prima volta essa vi tornerà utile per risolvere i vostri problemi da persona normale.
Questa citazione è attribuita su internet a Sigmund Freud, ma si tratta molto probabilmente della solita frase di qualche sconosciuto attribuita a un autore noto per darle maggior diffusione.

Conosci te stesso. 
Antico motto greco spesso attribuito a Socrate o ai Sette Sapienti. Nel ProtagoraPlatone scrive: "Talete di Mileto, Pittaco di Mitilene, Biante di Priene, il nostro Solone, Cleobulo di Lindo, Misone di Chene, e settimo tra questi si contava Chilone di Sparta. Tutti costoro furono fautori, amanti e discepoli dell'educazione spirituale spartana; e che la loro sapienza fosse di questa specie lo si può capire da quei motti brevi e memorabili proferiti da ciascuno. Costoro, poi, ritrovatisi insieme, li offrirono come primizie di sapienza ad Apollo, nel tempio di Delfi, mettendo per iscritto le sentenze che sono sulla bocca di tutti: 'Conosci te stesso' e 'Nulla di troppo'". Secondo quanto riferisce Plutarco (ca. 46-127) nelle Opere morali, il motto: "Conosci te stesso" era inciso sull'architrave del tempio di Apollo a Delfi. 

Costruiamo troppi muri e non abbastanza ponti.
In inglese: Men build too many walls and not enough bridges.
In francese: Les hommes construisent trop de murs et pas assez de ponts.
Questa citazione è attribuita a Isaac Newton, ma si tratta di una frase pronunciata dal frate domenicano Dominique Pire durante il suo discorso per l'assegnazione del Premio Nobel per la Pace del 1958. L'equivoco nasce dal fatto che Dominique Pire cita la frase attribuendola a Newton, per cui tutti hanno pensato si trattasse del grande scienziato inglese, in realtà si tratta del religioso americano Joseph Fort Newton, il quale, in The One Great Church: Adventures of Faith (1948), scrive: "Perché così tante persone sono timide, sole, rinchiuse in sé stesse, inadeguate ai loro compiti, incapaci di essere felici? Perché sono abitate dalla paura, come l'uomo nella parabola dei talenti, che erige muri intorno a sé stesso invece di costruire ponti verso gli altri".

Creatività è unire elementi esistenti con connessioni nuove, che siano utili.
Questa citazione è attribuita al grande scienziato francese Henri Poincaré, ma si tratta di una frase che sintetizza alcune sue riflessioni un po' più elaborate presenti in  Scienza e metodo (Science et Méthode, 1908), come, ad esempio, le seguenti: "Inventare consiste proprio nel non costruire le combinazioni inutili e nel costruire unicamente quelle utili, che sono un'esigua minoranza". "Un risultato nuovo ha valore, se ne ha, nel caso in cui stabilendo un legame tra elementi noti da tempo, ma fino ad allora sparsi e in apparenza estranei gli uni agli altri, mette ordine, immediatamente, là dove sembrava regnare il disordine". "Il vero lavoro dell'inventore consiste nello scegliere tra queste combinazioni eliminando quelle inutili o piuttosto neppure dandosi la pena di formarle".

Credere che l'amicizia esista è come credere che i mobili abbiano un'anima.
Questa citazione è attribuita, ma solo in lingua italiana, a Marcel Proust, ma si tratta di una sintesi del tutto arbitraria di una sua riflessione presente in Il tempo ritrovato (postumo 1927): L’artista che rinuncia a un’ora di lavoro per un’ora di chiacchiere con un amico sa di sacrificare una realtà per qualcosa che non esiste (gli amici essendo tali solo in quella dolce follia che ci prende nel corso della vita, alla quale ci prestiamo, ma che in fondo alla nostra coscienza reputiamo l’errore di un pazzo il quale credesse che i mobili vivano e parlasse con loro); in francese: L’artiste qui renonce à une heure de travail pour une heure de causerie avec un ami sait qu’il sacrifie une réalité pour quelque chose qui n’existe pas (les amis n’étant des amis que dans cette douce folie que nous avons au cours de la vie, à laquelle nous nous prêtons, mais que du fond de notre intelligence nous savons l’erreur d’un fou qui croirait que les meubles vivent et causerait avec eux). Come si può notare, tra la frase che circola su internet e il brano originale di Proust c'è una notevole differenza, e questo è un modo assai scorretto di estrarre citazioni da un testo.

Credo perché è assurdo. 
Questa locuzione, in latino: "Credo quia absurdum", è generalmente attribuita a Tertulliano, ma essa non si trova, almeno con queste precise parole, in nessuno dei suoi testi. Si tratta comunque di una citazione che riassume un concetto espresso da Tertulliano nel De carne Christi (Sulla carne di Cristo, ca. 210): "Credibile est, quia ineptum est", cioè: "È credibile, perché è infondato". Ecco il brano, in una diversa traduzione: "È stato crocifisso il Figlio di Dio: non mi vergogno [...]. È anche morto il Figlio di Dio: è senz’altro credibile, poiché si tratta di una cosa sciocca. E dopo esser stato sepolto è risorto: è una cosa certa, perché è una cosa impossibile" (Crucifixus est Dei Filius, non pudet, quia pudendum est; [...] et mortuus est Dei Filius, prorsus credibile est, quia ineptum est; sepultus et Resurrexit, certum est, quia impossibile). Una curiosità: la frase "Credo perché assurdo" fu usata dai razionalisti tra il XVII e il XVIII secolo per attaccare le assurdità dei dogmi cristiani.

Crescendo impari che la felicità non è quella delle grandi cose. Non è quella che s'insegue a vent'anni, quando, come gladiatori si combatte il mondo per uscirne vittoriosi...
Questo testo costituisce l'incipit di una sorta di poesia in prosa, assai diffusa sul web, che da alcuni è attribuita a Paulo Coelho, mentre secondo altri si troverebbe ne Il gabbiano Jonathan Livingston di Richard Bach. In realtà si tratta di un testo anonimo (abbastanza melenso) reso celebre in Italia da una lettura radiofonica fattane da Fabio Volo (altro autore al quale è spesso attribuita).

Cultura è ciò che resta quando si è dimenticato tutto.
In inglese: Culture is what remains when one has lost everything.
In spagnolo: Cultura es lo que queda cuando se ha olvidado todo.
In francese: La culture, c'est ce qui reste quand on a tout oublié.
Questa breve frase è tra quelle che ha il maggior numero di attribuzioni diverse; secondo quanto riportato non solo su internet, ma anche in diversi testi in lingue differenti, essa sarebbe di: Ortega y Gasset, Édouard Herriot, André Malraux, Burrhus F. Skinner, Bertrand Russell, ecc. Una versione più recente di questa frase, attribuita all'immancabile Albert Einstein, è la seguente: "L'istruzione è ciò che rimane dopo che si è dimenticato ciò che si è imparato a scuola". In questi casi la cosa migliore sarebbe aggiungere alla citazione una parola molto semplice: "anonimo" o "sconosciuto", oppure la locuzione: "attribuzione incerta", ma, a quanto pare, non tutti ci riescono.

Cultura significa anzitutto creare una coscienza civile, fare in modo che chi studia sia consapevole della dignità. L’uomo di cultura deve reagire a tutto ciò che è offesa alla sua dignità, alla sua coscienza. Altrimenti la cultura non serve a nulla.
Questo brano si trova in diversi siti attribuito a Oriana Fallaci, ma in realtà è un pensiero dell'ex presidente della Repubblica Sandro Pertini. L'equivoco nasce dal fatto che la frase si trova nel libro di Oriana Fallaci Intervista con il Potere (2009), ma è tratta proprio da un'intervista della scrittrice al presidente Pertini.