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Aforismi, frasi e citazioni di Anna Maria Mori

Selezione di aforismi, frasi e citazioni di Anna Maria Mori (Pola 1936), giornalista e scrittrice italiana. Anna Maria Mori è stata collaboratrice del quotidiano la Repubblica dal 1976 al 1995, e  caporedattrice del settimanale Annabella. Le seguenti citazioni di Anna Maria Mori sono tratte dal libro di aforismi Femminile irregolare (2002), e da: Lasciami stare (2003), L'anima altrove (2012), Origami (2017).
È più facile perdonare a una donna la sua bruttezza
che la sua intelligenza. (Anna Maria Mori)
Femminile irregolare
Uomini e donne aggiornamenti sull'uso
© Sperling e Kupfer 2002

Agli uomini si perdona tutto: sono uomini, poverini.

È più facile perdonare ad una donna la sua bruttezza che la sua intelligenza.

Gli uomini cercano la propria affermazione. Le donne l'approvazione. 

Gli uomini che possono permettersi di essere smisurati nei fatti sono generalmente prudenti e misurati nelle parole. Le donne, alle quali non è concesso di essere smisurate nei fatti, sono generalmente esagerate e massimaliste nelle parole. 

Gli uomini fanno le cose senza dirlo. Le donne spesso dicono le cose senza farle. 

Gli uomini usano il lavoro per fare carriera, per ottenere maggiori riconoscimenti, soldi, gradi, per emergere, affermarsi. Le donne vivono il lavoro con la passione, l'emozione, l'ostinazione, anche cieca, con le quali hanno sempre vissuto l'amore e gli amori.

Le donne abituate da sempre a fare i conti con il tempo e con i tempi, riescono a dare un tempo a ogni cosa, e trovare il tempo per più cose insieme. Per gli uomini, il tempo è unico e infinito. Lo vivono assolutisticamente, in funzione dell’unica cosa che al momento gli interessa e raramente è una donna.

Le donne non sanno vivere senza sapere quello che avviene dentro di loro. Gli uomini non sanno vivere senza sapere quello che succede fuori di loro: nel mondo.

Le donne sono forti con qualche momento di debolezza, che gli uomini non sopportano. Gli uomini sono deboli con qualche momento di prepotenza.

Lasciami stare
© Sperling e Kupfer, 2003

Ha scritto Proust: «Un libro è il prodotto di un 'io' diverso da quello che manifestiamo nelle nostre abitudini, in società, nei nostri vizi. È solo in fondo a noi stessi che possiamo cercare di comprenderlo, questo 'io', cercando di ricrearlo dentro di noi». Forse è qui la spiegazione di un rapporto così intenso negli ultimi anni tra le donne e la scrittura, bella o brutta che sia.

Le donne cercano, si cercano in fondo a se stesse, cercano un loro «io» diverso da quello «delle loro abitudini» private e pubbliche, e dei loro «vizi». Ma anche qui, per le donne, è un po' più complicato che per gli uomini: gli scrittori, per raccontare il loro io più segreto, lo scarto tra l'apparire e l'essere più profondo e misterioso, hanno sempre avuto a disposizione il femminile, i personaggi femminili delle loro storie in cui hanno travasato il loro non detto, l'indicibile, la trasgressione desiderata e considerata impossibile: «Madame Bovary c'est moi», ha scritto una volta per tutte Flaubert. Le donne, no: anche se di tanto in tanto ci provano, ed è tutt'al più un puro esercizio letterario, non possono servirsi del maschile per raccontare il loro «io» profondo, lo scarto tra quello che sono e quello che in fondo a se stesse, scrivendo, «cercano di ricreare».

Scrivo per scappare: da quello che faccio, che dico, che appaio. Per cercare qualcosa d'altro e di diverso che so che c'è, ma che continua a sfuggirmi. Scrivo per raccontare la mia disobbedienza, la mia non appartenenza, la mia anarchia, il mio dolore segreto, la mia dissomiglianza. Scrivo per «cercare di ricreare me stessa».

L'anima altrove
© Rizzoli 2012

Non riesco a liberarmi da una specie di sindrome infantile del "no", e quando mi sforzo di dire "sì", senza esserne convinta, somatizzo, mi vengono delle emicranie feroci, nausee, vomito...

Non riesco a mettere radici, e la sola idea di poterle mettere mi dà angoscia, mi provoca il rifiuto. È come se inconsciamente fossi tutta tesa a preservare da qualunque possibile contaminazione un qualcosa che però non so, non conosco. E mi viene anche il dubbio di aver vissuto tutta la mia vita senza viverla per davvero.

Sto male con gli altri, e anche con me stessa... Ho sempre voglia di scappare, e se non riesco a scappare mi prende un'ansia che non riesco a controllare.

C'è il tempo del presente e quello del passato. In mezzo, il tempo dei ricordi. E i ricordi, qualche volta, divorano il presente e il futuro: diventano il tempo unico, immobile, della nostalgia e molto spesso anche del rancore.

C'è il tempo del lavoro (per chi ce l'ha), e il tempo della pensione («Oh, che bella la pensione, non vedo l'ora di andare in pensione!» e di lì a pochissimo si cade in depressione perché non si sa più cosa fare della propria vita). C'è il tempo dei progetti, e il tempo del "vuoto a perdere".

C'è il tempo della guerra. E quello della pace: che non dovrebbe essere solo la pausa tra una guerra e l'altra.

C'era un tempo in cui la buona educazione era una virtù riconosciuta da tutti. Siamo passati al tempo in cui la maleducazione è richiesta nei curricula per fare carriera, e in politica per vincere le elezioni.

La vita è il tempo della vita. Noi siamo il tempo in cui siamo chiamati a vivere.

La giovinezza dovrebbe avere un tempo, ma le è stato tolto: è diventata un'entità astratta e quasi metafisica che si vorrebbe occupasse, almeno all'apparenza, l'intero arco della vita. E il tempo infinito del "sembrare giovani".

Ecco, forse è proprio questo il senso della perdita del luogo delle origini: diventare una viandante, una turista per caso, una che usa i luoghi senza dipendere da nessun luogo, mantenendo costantemente nei loro confronti una qualche vigilanza e distanza critiche.

Rimangono le cose, quelle dalle quali non ti sei mai separato, dalle quali sai che non puoi separarti: le cose che ti hanno seguito ovunque, le fotografie prima di tutto, e poi qualche oggetto bello ma anche "di pessimo gusto", un brutto quadro o una statuina che inneggia con insopportabile retorica alla femminilità o alla maternità.

Prima c’erano le nazioni, e i nazionalismi… Adesso ci sono le regioni, le città, anche i paesi più piccoli, persino i quartieri, le famiglie, ognuno chiuso in se stesso, ognuno a rivendicare la propria diversità, nemica della diversità del vicino. Ognuno ad autoesaltare la propria specificità, che esclude persino la curiosità di voler conoscere la specificità dell’altro. Tutto il mondo è diventato una frontiera, con tutto il bene (forse) e tutto il male (sicuro) legati al tema della frontiera.”

Origami
Figure e figurine del mio Novecento
© Einaudi, 2017

Credo di aver chiesto un’infinità di volte, soprattutto alle donne, dannatamente piú condizionate degli uomini dal passare del tempo sul loro corpo e sul loro viso, «ha paura di invecchiare?» Di una sola ricordo la risposta. Fanny Ardant, la bellissima della Signora della porta accanto, fragile e ardente come il suo cognome: «No che non ho paura. Mi piace l’idea di invecchiare». «Perché?» «Perché la vecchiaia dà finalmente il diritto all’insolenza». Appunto.

Libro di Anna Maria Mori
Femminile irregolare
Uomini e donne aggiornamenti sull'uso
Editore: Sperling e Kupfer, 2002

"Come donna, vedo e denuncio i guasti politici e sociali della società in cui viviamo, ma non posso non vedere anche quelli privati: il disamore che allontana sempre di più uomini e donne, i quali, tolto di mezzo il collante del masochismo femminile, per fortuna sempre più flebile e debole, fanno ogni giorno più fatica a comprendersi e a stare insieme". Dire "femminile" e corredarlo dell'aggettivo "irregolare" è, per l'autrice, fare della tautologia: "il femminile o è irregolare, o è antipatico", è uno dei primi aforismi di questo libro che ne comprende oltre trecento, frutto di qualche anno di note, noterelle, appunti, pensieri e sguardi su di sé, sugli altri e sulle altre. Un libro anch'esso irregolare, metà ironico e metà serio. un libro dedicato alle donne, agli uomini e al loro eterno confliggere, animato da irriducibili speranze e conseguenti delusioni.