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Frasi e citazioni di Fernando Savater

Selezione di aforismi, frasi e citazioni di Fernando Savater (San Sebastián 1947), filosofo e scrittore spagnolo. Fernando Savater è uno dei più noti intellettuali spagnoli di oggi. È stato docente di Filosofia per più di trent'anni nei Paesi Baschi e presso l'Universidad Complutense di Madrid. Noto in tutto il mondo per il suo libro Etica per un figlio (Ética para Amador, 1991), è conosciuto per il suo pensiero libertario e anticonformista.
Il senso della vita? Primo, cercare di non sbagliare; secondo,
cercare di sbagliare senza abbattersi. (Fernando Savater)
Etica per un figlio
Ética para Amador, 1991

L'etica non è altro che il tentativo razionale di indagare su come vivere meglio.

L'etica per un uomo libero non ha nulla a che vedere con punizioni e premi distribuiti dall'autorità, umana o divina che sia fa lo stesso.

Credo che tutta l'etica degna di questo nome parta dalla vita e si proponga di rafforzarla, di renderla più ricca.

Il senso della vita? Primo, cercare di non sbagliare; secondo, cercare di sbagliare senza abbattersi.

La vita ha senso, un senso unico; va in avanti, non c'è la moviola, le giocate non si ripetono e non si possono correggere. Per questo bisogna riflettere su quello che uno vuole e pensare a quello che si fa.

Non chiedere a nessuno come devi gestire la tua vita: chiedilo a te stesso.

Se desideri sapere come impiegare al meglio la tua libertà, non perderla mettendoti al servizio di un altro o di altri, per buoni, saggi e rispettabili che siano: sul modo di usare la tua libertà interroga la libertà stessa.

Le cose sbagliate a volte risultano più o meno positive e le cose giuste a volte sono all'apparenza del tutto negative. Che confusione!

Quello che sarà la nostra vita, almeno in parte, è il risultato di ciò che ognuno di noi vuole.

Che cos'è la felicità? Un «sì» alla vita che ci scaturisce spontaneo da dentro, a volte quando meno ce lo aspettiamo. Un «sì» a quello che siamo, o meglio a quello che sentiamo di essere.

Non si tratta di passare il tempo ma di viverlo bene.

Chi è contento ha già avuto il premio più grande e non sente la mancanza di nulla; chi non è felice — per quanto sia saggio, bello, sano, ricco, forte e santo — è un miserabile, privo della cosa più importante.

Il sesso è un meccanismo di riproduzione per gli uomini come per i cervi e i pesci; però negli uomini produce molti altri effetti, per esempio la poesia lirica e il matrimonio, cose che né i cervi né i pesci conoscono (per loro fortuna o disgrazia, non so).

Più si separa il sesso dalla semplice procreazione più diventa umano e meno animale. Da questo, ovviamente, derivano conseguenze buone e cattive, come sempre quando è in gioco la libertà...

Non c'è niente di male in quello che fa piacere a due persone e non danneggia nessuno. Quello che veramente è «male» è credere che ci sia qualcosa di male nel piacere...

Non voglio esagerare (ho una certa tendenza all'esagerazione), ma direi che è più «decente» e più «morale» lo spudorato medio del puritano ufficiale. Il suo modello, in genere, è la signora di quel racconto... ti ricordi? Una che chiama la polizia per protestare perché ci sono dei ragazzi che fanno il bagno nudi davanti a casa sua. La polizia li manda via, ma la signora richiama e dice che stanno facendo il bagno (nudi, sempre nudi) un po' più in là, che lo scandalo non è finito. La polizia li fa allontanare ancora un po' ma la signora protesta di nuovo. «Ma, signora — dice l'ispettore — li abbiamo mandati a più di un chilometro e mezzo dì distanza...». E la puritana risponde «virtuosamente» indignata: «Sì, ma con il binocolo li vedo!».

Qual è l'unico dovere che abbiamo nella vita? Quello di non essere imbecilli.

Gli animali (e non dico i minerali o le piante) non possono fare altro che essere come sono, e fare ciò per cui la natura li ha programmati. Non si possono criticare né applaudire per quello che fanno: «non saprebbero comportarsi in altro modo». Questa predisposizione obbligatoria risparmia loro senz'altro molti mal di testa.

In certa misura anche gli uomini sono programmati dalla natura. Siamo fatti per bere acqua e non candeggina, e nonostante tutte le precauzioni, prima o poi dobbiamo morire.

Saper vivere non è così facile perché esistono criteri diametralmente «opposti» riguardo a quello che bisogna fare. In matematica o in geografia ci sono gli esperti e gli ignoranti, e in genere gli esperti si trovano quasi sempre d'accordo sui principi fondamentali. Quanto al saper vivere invece non c'è affatto unanimità.

Libertà è decidere, ma anche, non dimenticarlo, renderti conto che stai decidendo.

A volte rimuginare troppo su quello che si deve fare può essere paralizzante. È come quando cammini: se ti metti a guardarti i piedi e a dire «adesso il destro, poi il sinistro, eccetera», è sicuro che inciampi o che finisci per fermarti.

Quando facciamo qualcosa, lo facciamo perché preferiamo tare questo piuttosto che altro, o perché preferiamo farlo piuttosto che non farlo. Ma allora si può dire che facciamo sempre quello che vogliamo? Non proprio, ragazzo mio. A volte le circostanze ci impongono di scegliere tra due opzioni che non abbiamo scelto: cioè ci sono occasioni in cui scegliamo anche se avremmo preferito non dover scegliere.

Si può vivere in molti modi, ma ci sono modi che non permettono di vivere.

Quello che mi interessa non è se c'è la vita dopo la morte, ma che ci sia prima. E che questa vita sia buona, non semplice sopravvivenza o continua paura di morire.

Non aspettarti miracoli salvifici né dai nuovi secoli né dai nuovi millenni perché nessun calendario porta mai qualcosa di veramente nuovo nella vita degli uomini. Confida solo in te stesso e nei tuoi simili, in ciò che possiamo (potete!) fare tutti insieme se solo lo vogliamo veramente. Intelligentemente. Per il resto, posso solo augurarti in «bocca al lupo»…

Brevissime teorie
Despierta y lee, 1998

Al principio è la morte. Non parlo del principio del cosmo e neppure del principio del caos, bensì del principio della coscienza umana. Si diventa umani quando si sente e si accetta – mai del tutto, però, sempre a metà – la certezza della morte.

Affermare gioiosamente la vita significa darla per buona, anche se ciò non equivale a considerare buoni tutti i casi e i fattori che incidentalmente si verificano in essa.

Affermare la vita significa rifiutarsi di porle condizioni, di esigere da essa requisiti di accettabilità.

Visto che la morte, ciò che più pesa sulla vita, ciò che la trasforma in cosa gravosa e grave, è fatalità e assenza di senso, la gioia allevia l'esistenza potenziando la libertà rispetto al caso, nonché il senso, ciò che è umanamente significativo, ciò che noi umani condividiamo, rispetto all'assurdità della morte. In questo modo nascono quegli artifici, creatori di libertà e senso, quali l'arte, la poesia, lo spettacolo, l'etica, la politica e perfino la santità.

Gioire significa affermare, accettare e alleviare l'esistenza umana.

Il vero morire è sempre il mio morire. È la perdita irrevocabile di ciò che sono, non quell'incidente accaduto ad altri in un passato «che è stagione propizia alla morte», come dise ironicamente Borges. Morire significa andare perduti.

Dizionario filosofico
Diccionario filosófico, 1999

Una persona può essere religiosa ed esercitare nel contempo la filosofia: ma la filosofia in quanto tale non è religiosa, in nessun caso. Perché se c'è qualcosa di cui la filosofia è mortalmente nemica, in quanto esercizio intellettuale, questa è la religione, l'irrazionalità, la superstizione, le chiese come istituzioni monopolizzatrici di verità indiscutibili, l'obbedienza intellettuale assoluta, l'obbedienza intellettuale all'Assoluto.

Ritengo che il filosofo non debba essere religioso per la stessa onestà di fondo che vieta al doganiere di diventare contrabbandiere.

La religione è il morbo di Alzheimer della filosofia... o il primo sintomo, per alcuni filosofi, di questa malattia.

Essere figli di un Dio paterno, creatore dell'universo e cose del genere, riduce la complessità della nostra carne a una semplice questione di obbedienza e disobbedienza. Ciò non significa niente di morale, ma tutto il contrario: in realtà, acquistiamo la prospettiva etica proprio quando comprendiamo che per orientare la valutazione delle nostre azioni non basta obbedire o disobbedire.

Chi denuncia con fermezza le manovre ecclesiastiche per influire indebitamente su questioni civili − legislazione, istruzione, eccetera − viene solitamente accusato di anticlericalismo "anacronistico", come se invece la fede e l'obbedienza, che costituiscono il nucleo di ogni chiesa, costituissero il massimo dell'emancipazione (o semplicemente un altro elemento innocuo) della modernità.

Immagino che l'unica confraternita religiosa non fondata sull'inganno sia stata quella dei Neminiani che derivano il loro nome dalla parola "nessuno" (nemo), perché i due principi fondamentali della loro dottrina erano che "nessuno ha mai visto Dio" e che "nessuno può sfuggire alla morte". 

Sotto l'ombrello della religione (sarebbe meglio dire ombrellino, perché protegge dalla luce del sole troppo forte) si accomodano in molti [...]. Per tutti loro il pensatore rigorosamente ateo è un guastafeste, privo di grandezza speculativa, di sensibilità poetica e di tensione verso la redenzione collettiva.

Ciò ch'è incompatibile con la morte non è vivere (la vita esige la morte) ma amare: l'amore disconosce la forza della morte, anche se amiamo consci della nostra mortalità e di quelli che amiamo.

La certezza della morte è l'unico segreto che conosciamo a proposito di tutti i nostri simili e di noi stessi, anche se, intimamente, non riusciamo a credere in questa fatale prospettiva.

La vita eterna
La vida eterna, 2007

Anche se creduta solo a metà, la promessa religiosa serve a molti come lenitivo del patimento anticipato della nostra perdizione morale. In vista del beneficio anestetico che fornisce, i credenti ignorano la sua inverosimiglianza, e negoziano come possono la propria condotta quotidiana con le proibizioni e le regole promulgate dai sacerdoti, proclamatisi amministratori del rimedio teologico.

La "volontà di credere" nasce da debolezze e sofferenze umane abbondantemente comprensibili, che nessuno può né deve condannare con insipida arroganza; ma l'incredulità nasce da uno sforzo per approdare a una veridicità senza inganni e a una fraternità umana priva di rattoppi trascendenti che, nell'insieme, mi sembrano anche più degni di rispetto.

Mi risulta difficile accettare che qualcuno capace di ragionamenti elaborati e con una mentalità non sottomessa all'assolutismo del Potere, per quanto paternalistico esso possa essere, veda nell'esistenza di un Dio onnipotente, al cui capriccio creatore apparterremmo, una prospettiva cosmica desiderabile.

Note
Leggi anche le citazioni dei filosofi spagnoli: José Ortega y GassetMiguel de Unamuno