Frasi e citazioni di Didier Tronchet

Selezione di aforismi, frasi e battute umoristiche di Didier Tronchet (Béthune 1958), scrittore, umorista e giornalista francese. La maggior parte delle seguenti citazioni di Didier Tronchet sono tratte dal suo libro più noto: Piccolo trattato di ciclosofia (Petit traité de vélosophie, 2000).
Non siamo altro che delle fragili fette biscottate
nel tostapane della vita. (Didier Tronchet)
Piccolo trattato di ciclosofia
Petit traité de vélosophie, 2000 - Selezione Aforismario

Con i suoi 10.000 morti l'anno nella sola Francia, l'automobile è diventata il primo predatore dell'uomo. Ciò nonostante la crescita dell'industria automobilistica è considerata un indicatore di prosperità. Nessun altra specie nella storia della creazione ha mai generato il proprio predatore con tanto entusiasmo.

La nuova rivoluzione (cicloruzione) può venire semplicemente da questa alternativa mattutina: prendo l'automobile o la bicicletta?

Il ciclista, ritto come una «I» sulla sua bicicletta olandese, sfoggia un portamento da aristocratico britannico o da ufficiale dell'esercito delle Indie. La tranquilla maestosità del suo veicolo si trasmette a lui per osmosi. Da questo insieme strettamente correlato uomo-macchina si irradia un incontestabile senso di nobiltà. La correlazione vale anche per l'insieme autovettura-conducente. Con la differenza che l'automobilista non dà l'impressione di essere tutt'uno con la sua macchina, bensì di esserne prigioniero.

Vivere in bicicletta implica sbraitare contro le macchine. È una questione di sopravvivenza. Nell'equilibrio naturale, i predatori troppo numerosi minacciano l'estinzione di una specie.

La sensazione di fragilità che permea il ciclista acuisce la sua attenzione al mondo. Egli condivide tale attenzione con la gazzella, e di rimando gode, come lei, di un'esaltazione supplementare nel vivere ogni istante, comune a tutte le specie minacciate.

Nel caso di piccole depressioni, spesso è il movimento che salva. Non la fuga: il cambiamento del punto di vista.

Il posteriore dell’automobilista, incastrato tra lo schienale e il sedile, non può permettersi l’arroganza del sedere del ciclista, che spinge le sue natiche ai margini senza bordo del sellino. No, tutto rattrappito nella sua molle concavità, implica nel suo proprietario una posizione semifetale, che ne tradisce il ripiegamento su di sé; impressione rafforzata da quella specie di guscio d’uovo galvanizzato che è il suo abitacolo, illusoria parodia di sicurezza placentare che s’infrangerà al primo urto.

Il principio ciclosofico fondamentale è: ogni corpo su una bicicletta assiste a uno spostamento del proprio sguardo sul mondo. All'esterno ci si sposta in bicicletta, ma all'interno è la bicicletta che ci sposta.

La differenza tra la visione del mondo del ciclista e quella dell'automobilista è tra le più profonde che si possono immaginare. 

Due amanti in bicicletta non attraversano la città, la trapassano come una nuvola, su pedali di vento.

Dall'alto della bicicletta, il mondo è diverso. Innanzi tutto, proprio grazie all'innalzamento del punto di vista il ciclista è indiscutibilmente, fuori dalla mischia. Busto eretto, mento in alto, il ciclista fluttua al di sopra della moltitudine, senza disprezzo, ma senza nemmeno curarsi delle desolanti contingenze della terraferma.

Il ciclista urbano è per sua natura un inventore di un nuovo equilibrio che rimetterà in marcia la città.

La bicicletta offre una possibilità eccezionale di canticchiare senza vergogna, perché nessuno vi può sentire. Fate la prova: a velocità media, i passanti potranno captare al massimo una sillaba, e voi sarete già dieci metri più avanti.

La simpatia che ispira la bicicletta deriva anche dal fatto che nessuna invasione è stata fatta in bicicletta.

Lentamente, l'automobilista si è lasciato rinchiudere in ragionamenti tronchi in cui gli effetti non hanno più cause; un'altra logica, di corte vedute, indotta dalla sua posizione al volante. Cioè da solo. Una logica profondamente individualista. Questa piccola prigione di acciaio lo ha isolato anche socialmente. Più della capacità di ragionare, è il suo senso della vita di comunità che si è perso per strada.

Nessuna delle nostre piccole sofferenze quotidiane resiste a un buon colpo di pedale. Tristezza, attacchi di malinconia… inforchiamo la bicicletta e fin dalle prime pedalate abbiamo l'impressione che un velo si squarci.

Praticare la cyclette, è come fare surf in una Jacuzzi.

La necessità di rispettare la segnaletica è indiscutibile per chi guida l'automobile. Lo è molto meno in bicicletta. Ci sono segnali totalmente privi di senso per il ciclista, che provocano in lui un'alzata di spalle beffarda. Tra questi la sosta vietata è il più evidente. Che bellezza poter parcheggiare la bicicletta dappertutto (per esempio legata a un cartello di divieto di sosta).

Nessun ciclista morirà per la sua bicicletta. Sospetto invece che l'automobilista ne sia capace per la sua macchina. O quanto meno che sia capace di uccidere. Perché è proprio questa voglia che gli può far venire la vista della sua carrozzeria rigata. Il proprietario di una bicicletta parcheggiata che ritrovi il suo bene rigato sul telaio non se ne accorgerà neppure; oppure alzerà le spalle come a dire che del resto questo è il destino della bici in città e che tutto sommato va ancora, e questo è l'essenziale.

Quando vedrete passare un ciclista trasognato, non fidatevi del suo aspetto inoffensivo e bonario: sta preparando la conquista del mondo.

Raymond Calbuth
1984-2007

L'amore di una donna fa vivere più a lungo di un frigo pieno.
[L’amour d’une femme fait vivre plus longtemps qu’un frigo plein].

Non siamo altro che un miserabile assemblaggio di atomi e di tessuti organici in via di putrefazione in un paio di pantofole a quadri.

Non siamo altro che delle fragili fette biscottate nel tostapane della vita.

Il figlio dello Yeti
Le Fils du yéti 2014

I bambini hanno il dono di ridare la vita, anche dove viene celebrata la morte.

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