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Aforismi, frasi e trattatelli di Michele Colombo

Selezione di aforismi, frasi e citazioni di Michele Colombo (Campo di Pietra 1747 - Parma 1838), sacerdote, scrittore e aforista italiano. I seguenti pensieri di Michele Colombo sono tratti da Trattatelli, un testo di piacevole lettura pubblicato nel 1820 e, in un'edizione rivista e corretta, nel 1824.
Se vuoi chiuder tranquillamente i tuoi occhi quando ti sei coricato,
tienili ben bene aperti durante il giorno. (Michele Colombo)
Trattatelli
Tradotti dalla lingua malabarica nell'italiana favella, 1820-1824 - Selezione Aforismario [1]

Dei libri è da farsi come dell'ostriche; pigliare il buono, e lasciare il resto.

Dei mali del corpo tutti vorrebbero, ma molti non posson guarire: di quelli dell'animo potrebbero tutti, ma pochi vogliono.

Di tutti gli animali qual è il migliore? l'uomo. Ed il peggiore? l'uomo.

Dovremmo amar più le avversità che le prosperità: queste vagliono a farci uscir di noi stessi, e quelle vi ci fanno entrare.

È ben raro il caso in cui una tigre e una iena ne sbrani un'altra. E gli uomini si uccidon tra loro a migliaia.

È falso che il mondo peggiori sempre. Certo ai dì del diluvio non eran gli uomini angioletti di paradiso; e se d'allora in poi fossero iti deteriorando ogni dì, noi or saremmo centomila volte peggiori dei diavoli dell'inferno

È peggiore un cattivo filosofo che un idiota. Questi non ragionando lascia sussistere gli errori che ci sono; quegli mal ragionando ne accresce il novero.

Fuvvi chi per ischerno chiamò un de'nostri poetastri ciabattino di versi. Non l'onorar tanto, gli disse un altro; il ciabattino racconcia, e costui storpia.

Ha mai 1'uomo trovato alcuno in cui non ravvisasse nessun difetto? - Sì, uno. - Chi? - Sé medesimo.

I più savii nella teorica, allorché si viene alla pratica, sono sovente i più pazzi.

Il maligno dice male de' buoni; lo sciocco or de' buoni, or de' malvagi; il saggio di nessun mai.

Il nemico che prima erati amico, è il più accanito di quanti n'hai. All'odio ch'egli ti porta, unisce lo sdegno d'averti amato.

Il temere le ingiurie è viltà; il non curarle sciocchezza: il dissimularle prudenza; il vendicarle debolezza; il perdonarle generosità; l'obliarle altezza d'animo.

In altri tempi il filosofo filosofava, l'orator perorava, lo storico narrava, e ciascun facea il suo mestiere. A' giorni nostri il filosofo perora, l'oratore filosofa, lo storico filosofa e perora, e ciascun guazzabuglia.

In una gran parte degli uomini la modestia è un raffinamento d'ipocrisia. Tocca il loro amor proprio alquanto in sul vivo con una censura onesta e civile bensì, ma un po'rigorosa; e vedrai quel che sono. Dove il vero modesto ci starà saldo, e te ne ringrazierà, costoro sbufferanno; ed alzando la maschera, scopriranno la boria che c'era sotto.

Ipocrita, se faresti quel bene che non sta in poter tuo, e perché dunque non fai tu il ben che potresti?
L'ambir molto gli onori è grande indizio di meritarli poco.

L'uomo nella stessa guisa del pendolo dall'un degli estremi si spinge all'altro, e non sa restarsi nel mezzo, dove sta la virtù.

La bugia è brutta anche quando essa giova: or che sarà quando nuoce?

La libertà è prezioso dono del Cielo; tutti da lui la ricevono, ma pochi n' hanno la debita cura: i più la perdono stoltamente; e non la conserva se non il saggio.

La lode ubriaca, siccome il vino; ma con questa differenza, che l'uno offusca la ragione per poche ore, e l'altra per sempre.

La misura della ricchezza non son gli averi, ma l'uso che l'uom ne fa.

Le catene d'Amore paion d'oro, e sono di ferro: perdono facilmente la lor lucentezza, e si copron di ruggine.

Le passioni sono per lo più le guidatrici dei nostri passi. E la ragione che fa? dorme, o sonnecchia.

Le viziose abitudini sono altrettante catene che ritengono l'uomo in una misera schiavitù. Guardisi dal contrarne veruna chi vuol conservare intera la sua libertà.

Nelle medaglie osserviamo più attentamente il dritto che il rovescio; e negli uomini più il rovescio che il dritto.

Noi ci troviamo propriamente in casa nostra quando siamo entrati in noi stessi; e quanto più v'abitiamo, tanto meglio acconciamo gli affari proprii.

O miseri schiavi di abitudini inveterate, voi vi strascinate dietro da tanti anni le vostre catene; e vi pensate che la libertà sia fatta per voi?

Quando alcuno ti fa solenni proteste di generosa amicizia, guarda bene se, oltre alla faccia davanti, e'n'avesse, come Giano, un'altra di dietro.

Quando io considero quanto l'amor proprio illude ciascuno nella stima ch'egli fa di sé stesso, posso io mai credere di non esserne cosi sedotto, come gli altri, ancor io? Che debbo fare adunque? Diffalcare almeno due terzi di ciò che a me par di valere.

Quando io vedo a qual uso sono da noi destinate certe opere tenute da' nostri avoli in pregio, interrogo me medesimo, e dico: Che faranno i posteri delle nostre?

Sai tu perché tanti maritaggi oggidì si disciolgono così facilmente? perché erano male annodati.

Se l'uomo fosse meno accecato dall'amor proprio, avrebbe in abborrimento, più che la satira, l'adulazione. Quella di sua natura tende a sanare, questa a corrompere la mente ed il cuore.

Se tanto sono gli uomini e allettati dalla bellezza, e disgustati dalla deformità, onde avvien poi, che una gran parte di loro volga le spalle alla virtù, ch'è sì bella; e la faccia al vizio, ch'è sì deforme?

Se tu desideri di levarti qualcun dattorno, prestagli danari.

Se vuoi chiuder tranquillamente i tuoi occhi quando ti sei coricato, tienili ben bene aperti durante il giorno.

Secondo Cartesio, gli uomini pensano sempre ; e secondo me, non pensano mai. Se pensassero, dico io, almen qualche volta, farebbero essi tante pazzie?

Sei pur semplice se tu credi che i più degli uomini faccian della loro amicizia liberal dono: essi la vendono; e d'ordinario ad assai caro prezzo. Ciò per altro non ha d'amicizia se non il nome. La vera amicizia è un commercio d'affetti nobili e generosi. L'amico vuole il ben dell'amico; egli vuole più per lui che per sé. Prova una dolce soddisfazione ch'egli abbia altri amici, e glie ne procura egli stesso; e, se per caso vengono tra toro a rottura, li rappattuma insieme.

Siccome nel corpo, così nell'animo malattia non sentita è di funesto presagio.

T'è sempre cosa utile l'aver moglie. E ella buona? ti fa lieto. È trista? tiene la tua virtù in esercizio.

Tu, che sempre ti lagni delle ingiustizie le quali ricevi dagli uomini, esaminasti mai se sia giusta la bilancia su cui pesi il tuo merito?

Un profondo matematico, un metafisico sublime, un grand'uomo di stato nelle ordinarie conversazioni stanno a disagio, perchè si trovano in un paese dove la lor moneta non corre.

Un uom malnato non dimentica un torto che ha ricevuto, per cento piaceri che gli sien fatti; e un uom bennato, per cento torti che gli sien fatti, non dimentica un piacere che ha ricevuto.

V'ha chi non ti loda quando il dovrebbe? è un emulo geloso del tuo merito. V'ha chi ti loda quando conosci tu stesso di non meritarlo? è un adulatore che ti zimbella. - Cotesto non m' è nuovo; lo so. - Lo sai, ti risenti del primo, e comporti il secondo?

Vuoi essere e più giusto e più saggio? Spalanca men gli occhi sui difetti d'altrui, ed aprili un po' meglio sui tuoi.

Vuoi tu provare un sentimento tenero e delizioso? Rasciuga le lacrime altrui con la tua pezzuola.

Vuoi tu sapere chi è il maggior tuo nemico? Dirottelo: tu medesimo.

Libro di Michele Colombo consigliato
Trattatelli
Tradotti dalla lingua malabarica nell'italiana favella
Editore: Giovanni Silvestri, 1824

Sulla costa del Malahar comperai un manoscritto contenente parecchie migliaia di componimenti, o vogliam dir trattatela, la più parte sulle miserie umane. Erano stati scritti nella lingua di quel paese da un bizzarro cervello, il guai sosteneva che uno scrittore non può dispensarsi dall'esser breve. Non è forse (diceva egli) un atto di poca urbanità, e di molta presunzion tutt'insieme, l'infastidir il lettore a forza di ciance, e il pretendere ch'egli presti il suo orecchio alle tue tanta/ere dal principio alla fine? Mi par che costui ragionasse bene. In conseguenza di ciò, niuno de' suoi trattati oltrepassava i dieci o dodici versi, pochissimi vi giungevano; i più erano di quattro, di tre, di due. Io ne feci traslatore alquanti nel nostro idioma da un missionario che trovavasi in quelle bande. È già noto che nel Malabar si scrivono in versi quasi tutti i componimenti, di qualunque genere sieno; ma perché il traduttore, il quale avea fatto il suo corso di studio nel collegio di Propaganda, non erasi esercitato nella poesia, amò meglio di attenersi alla prosa. Avrei potuto farli tradur tutti quanti; ma quel primo saggio me ne svogliò. Se ho a dirti il vero, mi sembrarono roba alquanto cattiva; e dissi fra me: O il buon missionario ne sa poco di malabarico, e traduce Iddio sa come, o i palati del Malabar sono differenti da' nostri; e, comunque stia la faccenda, una tal fatica sarebbe gittata via. Lettore, io t'offero questi: essi son pochi; e pure io temo non debbano a te parere anche troppi.

Note

  1. Alcuni termini e alcune preposizioni delle frasi di Michele Colombo sopra riportate, sono state rese in italiano moderno da Aforismario.
  2. Vedi anche: Aforisti dell'800