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Frasi e citazioni animaliste di Peter Singer

Selezione di aforismi, frasi e citazioni di Peter Singer (Melbourne 1946), filosofo e animalista australiano. La maggior parte delle seguenti riflessioni di Peter Singer sono tratte dal suo libro più famoso: Liberazione animale (Animal Liberation, 1975), che costituisce un classico della letteratura animalista e antispecista.  Come ha affermato il filosofo e animalista Tom Regan: "Non c'è uno scritto sul problema del trattamento degli animali che non abbia debiti enormi nei confronti di Singer. La crescente consapevolezza da parte del grande pubblico dei raccapriccianti dettagli dell'allevamento degli animali su scala industriale va collegata in larga misura alla grande e meritata fortuna delle sue opere, specialmente di Animal Liberation".
La liberazione animale è anche liberazione umana. (Peter Singer)
Liberazione animale
Animal Liberation, 1975 - Selezione Aforismario

Ciò che dobbiamo fare è includere gli animali non umani nella sfera della nostra considerazione morale e cessare di vedere le loro vite come spendibili per qualunque futile scopo ci capiti di avere.

Ai vegetariani nelle società onnivore si chiede sempre la ragione della loro strana dieta. Ciò può essere irritante, o addirittura imbarazzante, ma dà anche l'opportunità di informare la gente di crudeltà di cui può non essere consapevole.

Coloro che traggono profitto dallo sfruttamento su larga scala degli animali non hanno bisogno della nostra approvazione. Ciò di cui hanno bisogno è il nostro denaro. L'acquisto dei cadaveri degli animali che allevano è la principale forma di sostegno che gli allevatori industriali richiedono al pubblico (l'altra, in molti paesi, è costituita dai considerevoli sussidi statali).

Diventare vegetariano non è meramente un gesto simbolico. Non è neanche il tentativo di isolarsi dalle sgradevoli realtà del mondo, di mantenersi puro e senza responsabilità per la crudeltà e per la carneficina che ci circondano. Diventare vegetariano è il passo più concreto ed efficace che si può compiere per porre fine tanto all'inflazione di sofferenze agli animali non umani, quanto alla loro uccisione.

Finché la gente sarà disposta a comprare i prodotti dell'allevamento intensivo, le usuali forme di protesta e di azione politica non porteranno mai a una riforma decisiva.

Fintantoché non boicottiamo la carne, e tutti i prodotti delle fabbriche di animali, tutti noi, individualmente, contribuiamo al mantenimento, alla prosperità e alla crescita delle fattorie industriali e di tutte le altre crudeli pratiche in uso nell'allevamento degli animali per cibo.

È un tratto distintivo delle ideologie quello di resistere alla confutazione. Se i fondamenti di una posizione ideologica vengono distrutti alla base, nuovi fondamenti saranno trovati, altrimenti la posizione ideologica resterà semplicemente in sospeso, sfidando l'equivalente logico della legge di gravità.

Il principio fondamentale di eguaglianza non prescrive eguale o identico trattamento; prescrive eguale considerazione. Un'eguale considerazione di esseri differenti può portare ad un trattamento differente e a differenti diritti.

Le persone che sostengono la dottrina della «santità della vita» si oppongono all'aborto e all'eutanasia. Dato però che solitamente esse non si oppongono all'uccisione degli animali non umani, sarebbe forse più esatto denominarla dottrina della «santità della vita umana». L'idea che la vita umana, e solo la vita umana, sia inviolabile è una forma di specismo.

La sola cosa che distingue il neonato dagli animali, agli occhi di chi vuole attribuirgli un «diritto alla vita», è il fatto che esso sia biologicamente un membro della specie homo sapiens, laddove scimpanzé, cani e maiali non lo sono. Ma usare questa differenza come base per garantire un diritto alla vita al neonato e non agli altri animali è, naturalmente, puro specismo.

Noi tolleriamo nei confronti di membri di altre specie crudeltà che ci indignerebbero se fossero eseguite su membri della nostra. È lo specismo che consente ai ricercatori di considerare come attrezzi gli animali su cui sperimentano: strumenti di laboratorio anziché creature che vivono e soffrono.

La capacità di provare dolore e piacere è una condizione non solo necessaria ma anche sufficiente perché si possa dire che un essere ha interessi − come minimo assoluto, l'interesse a non soffrire.

La carne contamina i nostri pasti. Per quanto cerchiamo di nascondercelo, rimane il fatto che il pezzo forte del nostro pranzo ci arriva dal macello grondante di sangue.

La liberazione animale è anche liberazione umana.

La maggioranza degli animali che subiscono abusi da parte degli esseri umani sono quelli da allevamento.

La nostra volontà di sfruttare gli animali non umani non si appoggia a valide distinzioni morali. È un segno di «specismo», un pregiudizio che sopravvive perché fa comodo al gruppo dominante, che in questo caso non sono né i bianchi né i maschi, bensì gli esseri umani nel loro insieme.

L'allevamento industriale non è nient'altro che l'applicazione della tecnologia all'idea che gli animali siano mezzi per i nostri fini.

L'uso e l'abuso degli animali allevati a scopo alimentare supera di gran lunga, per il numero totale di animali interessati, ogni altro tipo di maltrattamento.

Le grandi società e coloro che devono sostenerne la concorrenza non sono certo interessati all'armonia fra piante, animali e natura. La loro è un'attività competitiva, e i metodi che si adottano sono quelli che riducono i costi e aumentano la produzione. Così, l'allevamento è oggi «allevamento industriale»: gli animali sono trattati come macchine che convertono foraggio a basso prezzo in carne ad alto prezzo, e qualsiasi innovazione verrà adottata se porterà a un «rapporto di conversione» più conveniente.

Molte persone che si oppongono alla crudeltà verso gli animali, si arrestano di fronte alla prospettiva di diventare vegetariane. È di tali persone che Oliver Goldsmith, il pensatore umanitario del diciottesimo secolo, scrisse: «Provano pietà, e mangiano gli oggetti della loro compassione».

Per evitare lo specismo dobbiamo ammettere che esseri simili sotto tutti gli aspetti rilevanti hanno un analogo diritto alla vita, e che la semplice appartenenza alla nostra specie biologica non può costituire un criterio moralmente rilevante ai fini di questo diritto.

Per la maggior parte degli esseri umani, specie quelli che vivono nelle moderne comunità urbane e suburbane, la più diretta forma di contatto con gli animali non umani si verifica all'ora dei pasti: noi li mangiamo.

Quali che siano le possibilità teoriche di allevare gli animali senza sofferenza, la realtà è che la carne venduta nelle macellerie e nei supermercati proviene da animali che hanno sofferto mentre venivano allevati.

Se consideriamo sbagliato infliggere una certa quantità di dolore a un bambino senza buone ragioni, dobbiamo, a meno che non siamo specisti, considerare altrettanto sbagliato infliggere la stessa quantità di dolore a un cavallo senza buone ragioni.

Se il possesso di un superiore livello di intelligenza non autorizza un umano ad usarne un altro per i suoi fini, come può autorizzare gli umani a sfruttare i nonumani per lo stesso scopo?

Se un essere soffre, non può esistere nessuna giustificazione morale per rifiutarsi di prendere in considerazione tale sofferenza. Quale che sia la natura dell'essere, il principio di eguaglianza richiede che la sua sofferenza venga valutata quanto l'analoga sofferenza − fin tanto che comparazioni approssimative possono essere fatte − di ogni altro essere.

L'ignoranza è la prima linea di difesa dello specista.

Le persone che sostengono la dottrina della «santità della vita» si oppongono all'aborto e all'eutanasia. Dato però che solitamente esse non si oppongono all'uccisione degli animali non umani, sarebbe forse più esatto denominarla dottrina della «santità della vita umana». L'idea che la vita umana, e solo la vita umana, sia inviolabile è una forma di specismo.

L'animale che uccide con meno ragioni per farlo è l'animale umano. Consideriamo feroci i leoni e i lupi perché uccidono; ma essi devono uccidere, o morire di fame. Noi uccidiamo gli altri animali per divertimento, per soddisfare la nostra curiosità, per adornare il nostro corpo, per compiacere il nostro palato.

L'ondata di resistenze che accolse la teoria dell'evoluzione e della derivazione della specie umana dagli animali, rivela fino a che punto le concezioni speciste fossero arrivate a dominare il pensiero occidentale.

Lo specismo è un atteggiamento così pervasivo e diffuso che coloro che ne combattono qualche manifestazione (come la strage degli animali selvatici da parte dei cacciatori, o la sperimentazione cruenta, o la corrida) spesso sono essi stessi coinvolti in altre pratiche speciste.

Una volta che gli animali non umani vengono posti al di fuori della nostra sfera di considerazione morale e sono trattati come cose da usare per soddisfare i nostri desideri, il risultato è prevedibile.

Uccidere un animale è di per sé un atto che turba. È stato detto che, se dovessimo uccidere personalmente per procurarci la carne, saremmo tutti vegetariani.

Le belle espressioni sono l'ultima risorsa di chi ha esaurito gli argomenti.

Stiamo letteralmente giocando d'azzardo con il futuro del nostro pianeta – per amore degli hamburger.

Un movimento di liberazione esige un'espansione dei nostri orizzonti morali.

Un patente specismo porta a eseguire esperimenti dolorosi su altre specie, difesi sulla base del loro contributo alla conoscenza e della loro possibile utilità per la nostra specie. Un patente razzismo ha portato a eseguire esperimenti dolorosi su altre razze, difesi sulla base del loro contributo alla conoscenza e della loro possibile utilità per la razza che eseguiva gli esperimenti.

Come mangiamo
Le conseguenze etiche delle nostre scelte alimentari
The Way We Eat: Why our Food Choices Matter, 2006 (con Jim Mason)

La nostra volontà di sfruttare gli animali non umani non si appoggia a valide distinzioni morali. È un segno di «specismo», un pregiudizio che sopravvive perché fa comodo al gruppo dominante, che in questo caso non sono né i bianchi né i maschi, bensì gli esseri umani nel loro insieme.

Non sono soltanto i vegani a dimostrare una certa consapevolezza riguardo al cibo. In tutti i paesi sviluppati, la gente sta imparando a fare domande coraggiose sulla provenienza e le modalità di produzione degli alimenti che acquista.

Se un animale sente il dolore, quel dolore vale tanto quanto il dolore provato da un essere umano.

Libro di Peter Singer consigliato da Aforismario
Liberazione animale 
Il manifesto di un movimento diffuso in tutto il mondo
Curatore: Paola Cavalieri 
Traduttore: Enza Ferreri 
Editore: Net, 2003 

Fin dalla sua prima pubblicazione nel 1975, questo libro è diventato il testo di riferimento per il movimento animalista. Ha rivelato a milioni di persone le atroci sofferenze che le industrie alimentari e cosmetiche impongono agli animali, risvegliando la consapevolezza dello specismo, uno dei più grandi pregiudizi nella storia dell'uomo. Ha convinto intere generazioni che porre fine allo sfruttamento delle altre specie e sperimentare nuovi sistemi di produzione alimentare sia una necessità improrogabile, anche per la sopravvivenza dell'uomo e la salvaguardia dell'ambiente. Se ancora permane una diffusa crudeltà istituzionalizzata verso gli animali, non è per indifferenza, ma per ignoranza: se tutti sapessero cosa avviene negli allevamenti intensivi, nei mattatoi e in alcuni laboratori, moltissimi rivedrebbero le loro convinzioni. Peter Singer, che negli anni ha costantemente aggiornato quest'opera, passa in rassegna la spaventosa realtà delle «fattorie industriali» e la spietatezza della vivisezione, spazzando via ogni falsa giustificazione e proponendo un coerente sistema etico e sociale antispecista, che riconosca a ogni essere vivente il diritto di non soffrire. Liberazione animale, ormai un classico dell'etica applicata, è un appello a estendere al nostro rapporto con le altre specie i principi di decenza, equità e giustizia: una lettura indispensabile tanto per i sostenitori dell'animalismo quanto per gli scettici.