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Frasi e citazioni di Piero Cipriano

Selezione di frasi e citazioni di Piero Cipriano (1968), psichiatra e psicoterapeuta. Riguardo alla propria attività lavorativa, ha affermato:
"Ho vissuto metà del mio tempo nei luoghi dove si deposita la follia più indesiderata e tutta la possibile devianza dalla norma. E ho visto, da questo luogo privilegiato, in che modo gli uomini si trasformano, sia i curanti che i devianti".
Foto di Piero Cipriano
Il mondo della psichiatria è un esercito, è l’esercito dei normalizzatori,
convinto di poter/dover ottenere la normalità a qualunque costo. (Piero Cipriano)

Il manicomio chimico
Cronache di uno psichiatra riluttante © elèuthera, 2015 - Selezione Aforismario

Il mondo della psichiatria è un esercito, è l’esercito dei normalizzatori, convinto di poter/dover ottenere la normalità a qualunque costo.

Alcune persone, incapaci di prodursi endorfine, sono più facilmente inclini a diventare dipendenti dagli oppiacei esogeni. Altre, invece, hanno trovato il modo per inebriarsi delle proprie endorfine, con la corsa o la meditazione, per esempio. Io sono tra questi.

I pazienti, bisognerebbe persuaderli a correre, o almeno camminare. Perché ciò che le case farmaceutiche o molti dottori al loro servizio non dicono è che ognuno, camminando, o correndo, o nuotando, o pedalando, si produce da sé i propri oppioidi endogeni, e la propria dopamina, e la propria serotonina, senza comprarla dalle case farmaceutiche.

Sono circondato da dottori che riempiono i poveri pazienti di antipsicotici e antidepressivi e ansiolitici che li rallentano, li fanno mangiare, li fanno ingrassare, e dopo cinque anni sono grassi, più grassi del loro terapeuta che li ha allevati a psicofarmaci, e poi fumano, i dottori, e pure i loro pazienti fumano, e poi sono sedentari, i dottori, e lo stesso i loro pazienti, li vogliono grassi, spenti, lenti, moribondi, come loro.

Altro che cocaina, il vero affare sono gli psicofarmaci.

Gli psicofarmaci sono legali, non alimentano il crimine, vengono spacciati dagli psichiatri (e dagli altri medici) a loro insaputa (la grande maggioranza di essi non ha alcuna consapevolezza di essere usata dalle industrie del farmaco alla stregua di pusher autorizzati), e raggiungono una percentuale di persone che, di anno in anno, grazie ai manuali diagnostici, sarà sempre più elevata, perché sempre più numerose saranno le persone etichettate con diagnosi psichiatriche, fino a che si realizzerà davvero il Mondo nuovo di Aldous Huxley: tutta l’umanità avrà un disturbo e sarà curata con un farmaco.

Tra qualche anno l’umanità tutta, politici, artisti, scrittori, psichiatri compresi, avrà una diagnosi mentale. Tutta l’umanità sarà sotto farmaci per il cervello. Compresi i proprietari delle case farmaceutiche.

Il vero ribelle, tra pochi anni, sarà colui che non ha (ancora) una diagnosi. E sarà ricercato. Perseguitato. Per essere studiato. Diagnosticato anche lui. Disturbo da refrattarietà alla psichiatria lo chiameranno.

È l’epoca della farmacocrazia.

Farà comodo a qualcuno che una fetta sempre più consistente di umanità sia dipendente da droghe e psicofarmaci? La religione non è più l’oppio dei popoli. È l’oppio, adesso, la religione dei popoli.

È probabile che ci sia stata raccontata una storia assurda. La storia assurda sostiene che la schizofrenia, la depressione, il disturbo bipolare, eccetera, sono disturbi creati da un cervello rotto, e che questo cervello rotto lo si può aggiustare solo con i farmaci. Poi, però, i malati che assumono psicofarmaci non guariscono più, e muoiono dieci, venti, trent’anni prima degli altri, per obesità, cardiopatie, diabete.

La società dei devianti
Depressi, schizoidi, suicidi, hikikomori, nichilisti, rom, migranti, cristi in croce e anormali d’ogni sorta © elèuthera, 2016 - Selezione Aforismario

Chi è, oggi, uno psichiatra riluttante? Uno che non accondiscende ai dogmi della psichiatria e alle sue pratiche, quasi sempre repressive. Uno psichiatra critico, radicale.

Pochi esseri umani, a quanto pare, leggendo il manuale diagnostico americano, possono dirsi esenti da un disturbo di personalità. O da un disturbo psichiatrico tout court.

Iperattivo, depresso, bipolare, borderline, schizofrenico, schizoide, hikikomori, psicopatico, ovvero nichilista, ovvero terrorista, zingaro che non si adatta, migrante, apolide, rifugiato e così via. A ognuna di queste etichette, spesso, corrisponde un farmaco, o una tecnica psicoterapica, o un luogo di rieducazione, identificazione, pena, espulsione, insomma tutti questi devianti riluttanti sono pane, sono guadagno per il mondo dei normali, di coloro che sanno lavorare.

Perché gli operatori non li aprono i luoghi chiusi in cui operano? Non li aprono perché, spesso, non possono, e altrettanto spesso perché non vogliono. Non possono perché sono ostaggio delle direttive di primari e direttori custodialisti, capaci solo di gestioni funerarie e carcerarie di questi luoghi. E non vogliono perché la maggior parte di loro non ha proprio idea che un altro modo di aiutare la sofferenza psichica è possibile, che cioè è possibile rifiutare il mandato della custodia, del controllo dei corpi.

Il folle è violento perché è malato. Questo si pensa, di solito. E se invece la sua violenza fosse una risposta alla violenza delle istituzioni della follia?

Legare una persona, a un letto d’ospedale, è solo l’ultimo atto violento di una serie di atti violenti che l’istituzione (psichiatrica in particolare, o medica in generale) attua nei confronti di una persona con un disturbo psichico. 

Basta una banale agitazione, un urlo, un po’ di confusione, o non collaborazione, non adesione ai rigidi regolamenti ospedalieri, e quelle fasce escono dagli scatoloni in cui sono riposte e si avvolgono ai polsi e alle caviglie dei malati, che si ritrovano crocefissi al proprio letto ospedaliero, come fossero morti eppure sono vivi (ecco la medicina come scienza del corpo morto). Questo spettro umilia, impaurisce, ferisce, non solo le vittime, i malati, i legati, ma (in modo diverso, si capisce) pure gli operatori (medici, infermieri) che legano. 

L’uso delle fasce, mai estinto, sopravvissuto sottotraccia alla chiusura dei manicomi, è la prova più eclatante e scandalosa di quanto tenace sia il fascino discreto del manicomio. Di come sia ancora vivo, nella nostra società, questo bisogno di manicomio, ossia di controllo, di custodia, di contenzione.

È avvilente quando anche gli intellettuali adoperano le categorie psichiatriche, o mediche, per offendere. Un tempo si usava dire: taci tu che sei un mongoloide, o zitto tu che sei un deficiente, oggi questi maître à penser si improvvisano psichiatri e danno la patente di schizofrenico a quelli che vogliono insultare. Ma che tristezza.

Note
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