Frasi e citazioni di Piero Dorfles

Selezione di frasi e citazioni di Piero Dorfles (Trieste, 1946), giornalista, saggista, critico letterario e personaggio televisivo italiano. Ha curato diversi programmi radiofonici e televisivi per la Rai; da anni affianca i conduttori della fortunata trasmissione televisiva Per un pugno di libri su Rai3.
Foto di Piero Dorfles
Senza libri e senza lettura ci sarebbe meno maturazione, meno principio di realtà
e meno coscienza. E questo vorrebbe dire meno democrazia. (Piero Dorfles)

Carosello
© Il Mulino, 1998

È probabile che Carosello sia nato proprio perché il pubblico stava crescendo, visto che sarebbe stato inutile produrre pubblicità televisiva per un canale praticamente sperimentale, mentre è certo che l’aumento dell’audience rendeva molto interessanti gli introiti pubblicitari.

Non sappiamo esattamente quale sia stato il peso che Carosello ha avuto sullo sviluppo della televisione in Italia, ma è difficile negare la coincidenza: è quando nasce Carosello che la televisione passa da oggetto di consumo occasionale, collettivo e ancora molto limitato ad un ascolto domestico di massa, ed è a questo punto che è utile sfruttare la crescente popolarità del mezzo per inserirvi della pubblicità. 

Il ritorno del dinosauro
Una difesa della cultura © Garzanti, 2010 - Selezione Aforismario

La regola per cui la maggioranza decide per tutti è un principio dal quale possono derivare guasti terribili. Ma sempre meno terribili di quelli che ha prodotto e produrrebbe ancora un regime in cui pochi – anche se i migliori e i più degni e colti – decidessero per tutti, dove non ci fossero garanzie né diritti per i singoli, e mancasse cioè la democrazia.

Ci deve essere una strada per coniugare progresso tecnologico e cultura. E non voglio tornare indietro: voglio andare avanti, in un mondo che abbia più cultura, più consapevolezza, più coscienza di sé.

Alle volte l’arte, il cinema, la letteratura riescono a trasmetterci più consapevolezze di un saggio filosofico.

Giornali, radio, televisione e nuovi media producono una quantità crescente di informazione e intrattenimento, ma privilegiando una comunicazione elementare, basata sul pettegolezzo e sulle curiosità più che sull’analisi critica dei processi sociali, politici e culturali che costituiscono la vita della nazione.

L’unico strumento che abbiamo per modificare il presente è la diffusione di una nuova cultura, che ci dia consapevolezza di quanto e quando siamo governati dall’indifferenza e dal conformismo.

Chi la tv la fa, ha trasformato i cittadini che la guardano da telespettatori in merce, e cioè li vende a chi vuole vendere loro altre merci. 

La tv può aprire le coscienze ma può anche ottunderle, può sensibilizzarci ma può anche abituarci al veleno del cattivo gusto.

La televisione commerciale, la più democratica, la meno autoritaria, quella che si basa sul libero mercato, ci fa tornare più giovani, più bambini; potrà sembrare una battuta gratuita ma, senza falsi pudori, credo che possiamo dire tranquillamente che ci rimbambisce.

Ci sono livelli diversi di apprendimento, e può darsi che una parte dell’umanità, che con i libri e la lettura non avrà mai dimestichezza, non abbia né il desiderio né la capacità di confrontarsi con problemi complessi; e che per loro tv, computer e videogiochi possano essere lo strumento per avere un’istruzione che altrimenti non avrebbero. 

Senza libri e senza lettura ci sarebbe meno maturazione, meno principio di realtà e meno coscienza. E questo vorrebbe dire meno democrazia.

C’è qualcosa che la televisione non potrà mai insegnare, e non sono le nozioni, ma la predisposizione allo studio e il principio stesso dell’apprendimento. 

Chi sostiene che leggere è inutile, chi si vanta di non leggere, chi non si preoccupa che i giovani leggano, chi, come il Grande fratello di 1984, sostiene che «l’ignoranza è forza», sta già affilando le armi per le prossime dittature (sia pure addomesticate), per le prossime guerre, per le prossime persecuzioni, per la prossima barbarie.

Studiare, conoscere, vuol dire anche avere un’apertura mentale che permetta di viaggiare senza essere dei provinciali, incapaci di confrontarci con chi vive in paesi diversi dal nostro.

Quello che è venuto meno non è soltanto il prestigio sociale del docente, ed è già grave; e nemmeno soltanto la disciplina e il rispetto per l’istituzione. È venuta meno la convinzione della collettività che il momento educativo (a casa e a scuola) sia il presupposto per dare ai giovani non solo solide basi culturali, ma anche coscienza di sé.

Il conformismo culturale è un’ipoteca sul futuro di un’intera nazione.

Senza una visione adulta delle cose, senza la coscienza di essere responsabili di quello che facciamo, della sacralità delle leggi, della dignità del paese in cui viviamo come della lingua che usiamo, insomma, senza principio di realtà, si resta bambini, si vive nel mondo della beata irresponsabilità che è l’infanzia. E per fare una tv adulta ci vuole cultura.

Oggi la nostra è un’emergenza culturale, che si concretizza nel rifiuto dei valori della competenza, della conoscenza, della responsabilità, figlia di un’immaturità diffusa.

I cento libri che rendono più ricca la nostra vita
© Garzanti, 2014

Il romanzo che ci parla di passioni, di desideri, dunque, parla in realtà della complessità del sentire e dell’agire umano. Perché il sentimento, l’emotività, costituiscono un motore che agisce dentro di noi, indipendentemente dalla nostra volontà. E i romanzi che parlano di come i sentimenti e le passioni travolgono i protagonisti sono quelli che, con maggior profondità, parlano di noi stessi.

C’è chi sostiene che la macchina del tempo non esiste, ed è una fantasia irrealizzabile. Non credetegli. La macchina del tempo esiste, funziona da un sacco di tempo, è abbastanza facile da usare, e molti ce l’hanno in casa senza essersene resi conto. È il libro.

È l’irruzione nella nostra vita di quello che non conosciamo che ci permette di misurarci con il diverso, e di vedere se siamo preparati ad accettarne la distanza da quello che consideriamo normale. 

Gli uomini, oggi, hanno infinitamente più responsabilità dei loro genitori, che ne hanno avute più dei loro nonni. E hanno più ansie, più dubbi, meno certezze. Perché essere liberi vuol dire anche essere più soli. E il mondo moderno è più complicato, meno schematico e più frammentato di quello di una volta.

Le palline di zucchero della Fata Turchina
Indagine su Pinocchio © Garzanti, 2018

Se il capolavoro di Collodi è uno dei libri più noti in tutto il mondo, è perché Pinocchio [...] è vivo prima di esistere, e la forma-Pinocchio è sempre esistita, da che esistono esseri umani che nascono, crescono e diventano adulti.

Pinocchio è un burattino che diventa un bambino, e un bambino è un uomo in potenza; è il passaggio da uno stato di pulsioni primordiali, di inesausta curiosità, alla formazione della coscienza di sé, all’elaborazione di un progetto per il futuro, alla consapevolezza del proprio essere nel mondo.

La potenzialità della vicenda del burattino è che permette di affrontare, in modo non esplicito e senza essere pedantemente didattica, qualcosa che riguarda le domande ultime sul senso della vita, sulla continuità delle generazioni, sul rapporto tra l’uomo e la natura. E, insieme, sui conflitti della vita associata, sul potere e sul dominio, sul libero arbitrio e sul confronto con le leggi dell’uomo e della natura. 

A chi osserva lo scontrarsi quasi meccanico di Pinocchio con le difficoltà che, nel corso delle Avventure, gli si parano davanti non può non venire in mente il comportamento di un bambino che, appena imparato a camminare, si avventura avido di conoscenza incontro al mondo. Cade, si dimentica subito del dolore e si riavvia, sotto l’occhio preoccupato di un genitore, verso le esperienze che lo attendono. È Pinocchio. È l’infanzia dell’uomo. Siamo noi.

Il lavoro del lettore
Perché leggere ti cambia la vita © Bompiani, 2021 - Selezione Aforismario

Non è una colpa, e non bisogna disprezzare coloro che non hanno la fortuna di saper leggere. Ma è opportuno almeno riflettere su cosa perdono, nella speranza che prima o poi, in Italia, ci si renda conto di cosa manca a un paese di non lettori.

Chi non sa leggere si trova un po’ nella condizione di chi non sa nuotare. Non ha la possibilità di fare un’esperienza unica, che non assomiglia a nessun’altra.

Per chi sa leggere i libri sono la migliore consolazione che si possa chiedere.

Leggere è la cosa più astratta che l’uomo abbia imparato a fare. E non leggere vuol dire rinunciare a esercitare l’attività più raffinata, più alta, più caratteristica del suo essere che il genere umano abbia mai escogitato.

La vita ci può riservare terribili sorprese. Ma i libri, se sappiamo leggerli, sono la più straordinaria risorsa per affrontarle.

L’avere coscienza di sé, la scrittura, e quindi i libri, sono quello che, in definitiva, ci distingue dallo stato animale.

Potremmo dire che quello che si perde se non si legge è uno strumento essenziale per indagare sui temi centrali dell’esperienza umana.

Irresoluto, incapace di una autentica volontà nell’affermazione di sé, l’inetto non vive, ma viene vissuto, non combatte, perché è già un vinto, non arriva nemmeno a rifiutare la brutalità dei valori di un mondo arido che non accetta deviazioni dai propri rigidi schemi. È uno sconfitto che non sa accettare le regole di un ambiente mercantile dove il successo è un valore al quale non si può sfuggire e non sa nemmeno ribellarsi.

L’inetto muove gli ingranaggi del racconto della modernità. Senza di lui, avremmo solo personaggi vincenti e trionfanti, che non produrrebbero racconti romanzeschi; e non ci trasmetterebbero la consapevolezza di quanto siano ristretti i valori in cui viviamo.

Dulce bellum inexpertis, expertus metuit. La guerra piace a chi non la conosce, chi l’ha sperimentata la teme. L’adagio latino è tanto noto quanto inascoltato. 

Molto spesso una critica un po’ elitaria taccia automaticamente di essere prodotti commerciali libri che, molto semplicemente, vendono molto. A me, l’idea che i best seller debbano essere automaticamente brutti e volgari solo perché hanno un successo popolare pare del tutto insensata. 

Da sempre, la letteratura è stata anche strumento di indirizzo etico, di richiamo a valori di limpidezza e di correttezza.

Anche se il camminatore non è un sociologo, anche se è distratto e concentrato sul suo camminare, il suo sguardo non può non cogliere il contesto. Camminare è conoscere.

Un delitto apre una prospettiva per cui quello che ci sembrava semplice si complica, quello che sembrava avere un solo significato ne assume altri, quello che appariva logico diventa contraddittorio. E una volta verificata questa inversione, questa piccola rivoluzione dell’ordine costituito, bisogna rivedere ogni cosa: i rapporti tra le persone, i conflitti nascosti sotto una convivenza apparentemente pacifica, il senso ultimo dell’agire di ognuno.

In una società edonistica, che tende a esaurire i propri obiettivi nel successo e nel possesso, il richiamo al senso della vita e all’immanenza della sua fine è quasi un fatto rivoluzionario.

Quando, nella nostra vita reale, enormi edifici cadono come birilli, un ponte crolla come un castello di carte, il nocciolo delle centrali nucleari fonde, non possiamo non pensare all’immagine drammatica di Faust e della folle speranza di aver superato i limiti del nostro destino terrestre. La propensione a usare la scienza non per un progetto, ma in sé e per sé, col rischio di considerarla l’obiettivo ultimo del nostro agire, rappresenta il senso della sfida faustiana che l’uomo continua a perseguire.

Molto prima che ci rendessimo conto che stavamo consumando l’ambiente e trasformando la biosfera in modo irreversibile, la letteratura ha colto il rischio che l’aspirazione a dominare la natura comporta, dimenticando che il divino e la natura sono fatti della stessa sostanza, e che sfidare la divinità non ha mai portato bene, dall’antichità a oggi.

Di letteratura scadente ce n’è a bizzeffe in ogni epoca e in ogni categoria di narrazione. Forse nella letteratura “rosa” più che in quella fantascientifica. 

I libri, la lettura, non portano certezze, ma dubbi. Non felicità, ma conoscenza. Non spiegano il perché della vita, ma stimolano a porre domande e a essere consapevoli di sé. Non possono superare la difficoltà di trovare un senso al nostro essere, ma ci permettono di allontanare il rischio di perderci nel nulla e ci impongono di mettere al centro di tutto la vita. Di chiederci perché, appunto, siamo, oggi, qui.

Note
Vedi anche frasi e citazioni di: Corrado Augias - Aldo Grasso

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