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Frasi e citazioni di Aldo Grasso

Selezione di frasi e citazioni di Aldo Grasso (Sale delle Langhe, 1948), giornalista e critico televisivo italiano; professore ordinario di Storia della radio e della televisione all’Università Cattolica di Milano e direttore scientifico del CERTA (Centro di Ricerca sulla Televisione e gli Audiovisivi); dal 1990 è critico televisivo e editorialista del Corriere della Sera
Per anni la televisione non ha fatto altro che spostare i confini,
dell’accettabile, del visibile, del sopportabile. Sulla buona
televisione c’è stata rassegnazione. (Aldo Grasso)
Storia della televisione italiana
© Garzanti, 1992

Le telenovelas non vanno assolutamente confuse con le soap, anche se le loro vite s'intrecciano da più di un cinquantennio. Sponsorizzata da un detersivo, la soap nasce intorno agli anni Trenta come trasmissione radiofonica mattutina, di un quarto d'ora circa: un piccolo sceneggiato quotidiano che ha come protagonista quasi sempre una donna afflitta da problemi familiari. Ogni puntata dura quanto un bucato a mano e serve, in qualche modo, a «detergere» i problemi delle ascoltatrici. 

La telenovela è una specie di fotoromanzo animato.

Al paese dei Berlusconi
 © Garzanti, 1993

La televisione ha assunto il pollaio come modello di civiltà.

Prima lezione sulla televisione
© Laterza, 2011 - Selezione Aforismario

La tv vide la luce al termine di quel mezzo secolo straordinario per la storia dell’umanità che ci ha regalato tra l’altro la fotografia, il cinema, la radio, il telefono. La sua invenzione non ha rappresentato una svolta così straordinaria rispetto alle precedenti dal punto di vista tecnologico: ne è stata una perfetta sintesi.

La prima constatazione – oggi di sapore beffardo – è appunto che la tv è nata fra la ritrosia e l’ostilità degli intellettuali: troppo occupati dal riscatto delle masse, troppo legati al valore catartico dei vari “realismi”, troppo ingenuamente romantici.

La frase più abusata per suggellare molte chiacchiere o discussioni era questa: «L’ha detto la televisione». Punto e basta.

Non credere più ciecamente nella televisione è stata una lunga, lenta conquista. Per anni, contando sulla sua natura magica e favolistica (che esperienza fatata dev’essere stata quella di vedere per la prima volta un evento ripreso da una telecamera, l’ebbrezza del mondo che entra in casa!), la televisione ha dispensato conoscenze più vere del vero, come se provenissero da una sorta di entità suprema.

Oggi si sottolinea come il ruolo dei media e della televisione nella costruzione di uno spazio pubblico nazionale sia stato il contributo più rilevante che l’industria culturale ha svolto nel processo di modernizzazione.

L’Italia era stata fatta, o meglio “rifatta”, ricostruita sui miti fondativi della liberazione dal nazifascismo, della Resistenza, della Repubblica e della Costituzione. Ora occorreva “fare gli italiani”. A questo compito verrà chiamata, in maniera più o meno consapevole dalla classe dirigente d’allora, anche la televisione.

L’avvento della tv segna un confine temporale nella storia nazionale, un prima e un dopo. Grazie alla tv l’Italia si trasforma rapidamente e inizia il suo faticoso processo di modernizzazione.

L’avvento della televisione è stato un sommovimento tellurico di lunga durata (una decina d’anni almeno) che a poco a poco ha coinvolto l’intera nazione; qualche picco di forte intensità e molte onde sismiche che hanno sospinto la televisione da fenomeno parziale a fenomeno dominante della società contemporanea.

La televisione, secondo Tullio De Mauro e Umberto Eco, ha unificato linguisticamente la penisola, là dove non vi era ancora riuscita la scuola.

Lo scopo iniziale della televisione era anche quello di costruire una sorta di struttura connettiva capace di rendere pensabile l’idea di un “noi” nazionale, non solo come comunità legata a un territorio, ma anche come emotional community.

Dal punto di vista culturale, la televisione ha attraversato fasi differenti. Alle origini era pura magia, stupefazione, incanto. Qualunque programma sembrava recare le stimmate della scoperta, dell’arricchimento, della crescita culturale.

Per anni la televisione non ha fatto altro che spostare i confini, dell’accettabile, del visibile, del sopportabile. Sulla buona televisione c’è stata rassegnazione.

I media non sono soltanto uno specchio della realtà esterna; sono realtà essi stessi. Estensione delle nostre capacità sensoriali, entrano a far parte ogni giorno della nostra vita quotidiana.

La televisione, medium quotidiano per eccellenza, ha costituito gran parte della normale esperienza di vita dell’uomo dalla seconda metà dell’altro secolo ai giorni nostri.

Nel mondo moderno nulla esiste se non viene sancito dai media.

Oggi la produzione televisiva è culturalmente bassa perché è basso e periferico il suo pubblico.

La critica televisiva, da quando esiste la rilevazione degli ascolti, da quando a ogni inquadratura corrisponde un valore di share, appare come un rottame. Più del dovuto. Paradossalmente, però, la sua esistenza è garantita dalla profonda avversione che suscita ed è legittimata dagli stessi personaggi televisivi. Che non si accontentano di sbancare l’audience. No, insieme pretendono anche il consenso della critica e se non l’ottengono si infuriano, reagiscono a male parole.

La critica televisiva – come la critica in genere – può insegnare poco: non è normativa, non è orientativa, non è pedagogica. Diciamola tutta: non serve a nulla. Ma insegna una cosa: l’esercizio critico.

Da tempo, la televisione generalista ha abbassato i suoi standard linguistici e instaurato il regno dell’eccezionale. Questo principio regolatore – va in onda solo ciò che può colpire l’audience – ha ormai contaminato la nostra vita sociale, persino la politica.

Sembra quasi un paradosso ma spesso si fa fatica a trovare un romanzo moderno o un film che sia più interessante di un buon telefilm. 

Arte in TV
Forme di divulgazione (con Vincenzo Trione) © Johan&Levi, 2014

La televisione è ed è stata, per moltissimi individui, l’unico aggancio culturale con il proprio tempo. 

Spesso, la cultura nella TV italiana si è manifestata come qualcosa di episodico, di occasionale, di inaspettato: quando appare sullo schermo, ha inevitabilmente le forme dell’apparenza, è timido sussulto, vibrazione esteriore. 

In nome della cultura, l’intelligenza è stata più volte sfregiata, se non umiliata.

Per fare un programma culturale non basta parlare di cultura, per fare un programma sull’arte non basta parlare di arte, serve un racconto, il gusto per il particolare, la seduzione del narratore carismatico e competente. Altrimenti si confondono l’arte e la cultura con il “perbenismo culturale”. Che è la concezione bigotta della cultura.

La cultura è un carattere delle cose, non una posa.

Per fare un programma culturale, di buona divulgazione, non basta parlare di cultura. Non è nemmeno necessario evocare “linguaggi alternativi”: bisogna invece avere competenza, passione e gusto per il racconto. Il segreto della buona divulgazione è saper raccontare una good story, una buona storia.

Resta aperta l’annosa questione sul rapporto fra intellettuali e TV, cioè sulla consolidata tesi secondo cui la TV deprime la cultura dei colti ma innalza quella degli incolti. 

Padiglione Italia
Bestiario fantastico per un paese paradossale © Solferino, 2021 - Selezione Aforismario

Abbiamo veramente bisogno di saggi? L’economia è in regressione, le agenzie di rating ci declassano, l’outlook è sempre negativo, il Paese è variamente allo sbando. Per invertire la rotta non sarebbe meglio istituire una commissione di fool, di pazzi, di visionari? Una pazzia con metodo, come suggerisce Polonio nell’Amleto.

Difficile essere saggi in un Paese che adora i combattimenti verbali.

In tv si urla non per difendere le proprie idee, ma per non ascoltare l’altro.

Se una maestra sgrida un ragazzino, il giorno dopo i genitori protestano. Se bocci qualcuno, quello ricorre al Tar. La delegittimazione di chi ricopre un qualsiasi incarico è continua: il concetto di responsabilità personale è uno dei beni più preziosi che abbiamo perduto, tanto c’è sempre qualcuno che discolpa o giustifica.

Vedremo mai l’alba di un giorno in cui gli incapaci restano inattivi e gli sciocchi zitti?

La verità si fa presto a dirla, al contrario lo spazio per la post-verità è infinito. Da sempre.

La giustizia è un treno in perenne ritardo; in orario c’è solo il rapido della giustizia sommaria.

Di fronte alla verità, un’angoscia oscura ci pervade. Preferiamo fingere indifferenza.

Quando si comincia a epurare c’è sempre uno più puro che ti epura.

Credere di parlare a nome delle vittime e dei poveri, solo perché si è vittima delle povere idee.

La massa ha bisogno di culti, la democrazia di colti.

Non ci resta che l’ironia, unico segno di salute oggi in circolazione. Significa colpirsi, prima che ci colpisca il panico.

Chi ha un pensiero è parco di opinioni, chi ha solo opinioni pretende di avere un pensiero. 

È incredibile come il fascino della tv spinga molte persone a desiderare una carica spesso poco congrua con le proprie esperienze.

Fa più danni un incompetente di un millantatore, anche se spesso le due cose scientemente ­coincidono.

Superbo e presuntuoso è chi si vanta della propria incompetenza, non altri. E più uno è incompetente, più è arrogante.

Il nulla non si misura in lunghezza né in larghezza, il nulla si misura in profondità: è il tema dell’abisso del «nulla assoluto» che attraversa la storia della filosofia e della teologia. E anche della nostra politica, che da tempo macina il nulla.

Frasi da articoli
Corriere della Sera, 1990/...

In Italia, per ragioni economiche, il talent diventa una sorta di lungo reality, con serate interminabili, liti continue, giudici che rubano spazio ai concorrenti. [...] Il talent italiano crea ascolto ma non scrittura.

Lo spettacolo sportivo si dimostra ancora una sede particolarmente adatta per inscenare i drammi formali che assillano i sogni di una comunità, perché ogni singola gara rappresenta un paradigma, più o meno riuscito, che serve a regolare e conciliare le molte contraddizioni che attraversano la società in cui viviamo. Succede però che ora, specie con la Tv, lo sport rimanga sovente vittima della sua stessa messa in scena, del suo simulacro.

La tv premia, indifferentemente, chi la venera come chi la irride. Basta saperla servire.

Lo sviluppo delle telecomunicazioni ha creato un mondo mediato e iperconnesso e ha costretto noi che lo abitiamo a fare i conti con confini non più locali, ma globali, cambiando anche le regole con cui definiamo il nostro senso di appartenenza a una comunità. Per ora, questa appartenenza si manifesta specialmente attraverso la sofferenza e l'orrore. Una sterminata comunità mediale tenuta insieme dallo spavento.

Questa nostra società variamente descritta, e giustificata, come postmoderna, neobarocca, «copia e incolla», virtuale, vive sostanzialmente sulla citazione. Buona parte della cultura pop, dai libri alle canzoni, è tutta un blob. 

La citazione è insieme lo strumento e la nota dominante della società della sostituzione: in un'epoca dove tutto è già stato detto e visto non ci resta che procedere nella combinazione di nuove figure, assemblando spezzoni di frasi e sequenze.

In tv ormai la lingua italiana è un optional, la sintassi un mistero oscuro.

Uno degli aspetti più seducenti della moderna storia delle idee è la loro perenne mobilità, la loro incessante trasformazione. Temi, figure, pulsioni migrano da un territorio all’altro cambiando, nel passaggio, se stessi e lo scenario che li accoglie. Alcuni «plagiano» con talento, i più in modo goffo, a solo scopo commerciale.

Wikipedia fonda il suo sogno su un altro sogno: il senso di responsabilità di una comunità scientifica. E ai sogni, ogni tanto, bisogna crederci.

Il cinismo è la crudeltà dei delusi: non possono perdonare alla vita di aver ingannato le loro certezze.

Note
Vedi anche frasi e citazioni di: Carlo FrecceroMaurizio Costanzo - Beppe Severgnini