Frasi e citazioni di Moni Ovadia
Selezione di frasi e citazioni di Moni Ovadia (Plovdiv, 1946), attore, cantante e scrittore italiano di origine bulgara.
"Per mezzo secolo mi sono impegnato in diverse battaglie civili e sociali. Ho sostenuto le lotte per i diritti dei lavoratori, degli ultimi, dei perseguitati, delle minoranze e delle alterità, e intendo continuare a farlo finché le energie fisiche e psichiche me lo consentiranno. Ho sempre creduto che l’affermazione dello statuto dei diritti fosse l’assoluta priorità da applicare per intravvedere almeno il fioco lucore dell’alba di una società di giustizia". [Madre Dignità, 2012].
Le seguenti citazioni di Moni Ovadia sono tratte dai libri: L'ebreo che ride (1998), Il conto dell'Ultima cena (2010) e Madre Dignità (2012)
L'ebreo che ride
L'umorismo ebraico in otto lezioni e duecento storielle © Einaudi, 1998 - Selezione Aforismario
Scopo dell’umorismo ebraico è quello di esiliare l’arroganza delle certezze, di introdurre una dimensione imprevista che stimoli a creare una nuova fonte di pensiero consapevole della propria precarietà.
L’umorismo ebraico appartiene ad una forma mentis irriducibilmente anti-idolatrica. La sua ambizione è quella di smascherare la violenza del pregiudizio e di sculacciare la stupidità del mondo.
Il ridere di sé dell’ebreo era salvifico nella sua fuga dal senso, perché smascherava la stupidità di una società violenta ed ottusa che si proclamava sensata e normale.
Oggi tutti pretendono di ridere sgangheratamente di loro stessi, anche gli uomini del Potere, senza possedere i titoli per il diritto all’autoderisione delatoria, titoli che si conquistano solo per mezzo dell’incontro/scontro col divino, con la sofferenza, la persecuzione, l’infinito dolore.
Il dono dell’ubiquità, in realtà una delle massime virtú ebraiche, è stata per gli ebrei fra le principali cause della virulenta impennata di odio antisemita in particolare nell’ultimo secolo.
Gli israeliani oggi vanno orgogliosi non piú del vetusto miracolo sionista, ma di quello ben piú arduo di tenere insieme in una democrazia questo crogiuolo di genti cosí disparate – il 95 per cento delle quali viene da paesi che non hanno avuto esperienza di governi democratici – e di riuscire a far vivere tutti questi pazzi di ebrei gomito a gomito. Senza senso dell’umorismo a fare da cemento, sarebbe possibile un’impresa di questo calibro?
Fortunatamente, gli israeliani hanno coltivato con coraggioso accanimento il loro esprit critico ed hanno saputo concimarlo con la programmatica cattiveria dell’umorismo ebraico, che è privilegio di chi ha sofferto grandi travagli.
Questo continuo sottolineare i difetti degli ebrei e degli israeliani in particolare conduce ad un ambito nel quale l’umorismo riflette criticamente sull’origine della «dispersione» degli ebrei e suggerisce un’ipotesi di rara cattiveria. In fondo perché credete che gli ebrei siano stati dispersi? Perché stando gomito a gomito combinavano un mare di guai.
In Israele ci sono gli ebrei e gli israeliani a volte coincidono con questi, ma non necessariamente.
Per un ebreo c’è un imperativo categorico: battersi con tutte le proprie forze contro l’idolatria. In qualunque forma si presenti. Il pericolo di rigidità mentale, di assolutismo, nutrici dell’idolo, fanno sí che i «figli del precetto» debbano incessantemente vigilare e diffidare, anche di se stessi.
Vivere in Israele non è come vivere nel villaggio globale, ma piuttosto come vivere nel «cortile globale» di casa. Gli ebrei, per statuto, non si fanno mai i fatti loro. Le ebree, in particolare.
Il conto dell'Ultima cena
Il cibo, lo spirito e l'umorismo ebraico (con Gianni Di Santo) © Einaudi, 2010
Se le nostre scelte alimentari sono mirate, possono dar luogo a processi virtuosi di giustizia sociale e di sviluppo sano e onesto per milioni di uomini, per i quali nutrire i propri simili e dar loro piacere diventi un atto di fratellanza e non un espediente per arricchirsi a dismisura, anche a prezzo della perdita irreversibile dell’immenso tesoro di biodiversità che è appannaggio dell’umanità intera, e non di un pugno di speculatori che vogliono distruggerla.
Mangiare vuol dire vivere, non sopravvivere. E se decidiamo la nostra vita a partire da ciò che scegliamo per il nostro desco, quella decisione è un atto di libertà.
Il buon cibo è una benedizione, come una benedizione è l’avere vicino qualcuno che padroneggi l’arte culinaria.
Talora capita di avvertire il desiderio prepotente di entrare in una vita diversa da quella che ci è stata proposta o imposta dall’educazione, di aderire a visioni e modelli altri da quelli in cui si è cresciuti. La religione è un ambito in cui questa pulsione si manifesta assai spesso.
Secondo l’ebraismo, la dignità dell’essere umano precede l’associazione a una fede specifica, ed è sancita dal patto che l’Eterno ha contratto con l’umanità tutta attraverso Noè dopo il Diluvio.
Una delle piú severe proibizioni fatte all’ebreo in campo alimentare è quella di non contaminare carne e latte. Mi pare opportuno rammentare il profondo significato morale che sorregge questo divieto. La carne si ottiene solo attraverso la morte di un essere vivente; il latte, al contrario, proviene da una femmina che ha messo al mondo un neonato e con esso lo nutre, dunque è un alimento indissolubilmente legato al creare e dare vita. Non si deve perciò praticare la perversione di mescolare vita e morte.
La filosofia è una poderosa forma di pensiero. Ci permette di entrare nella complessità della realtà e di coglierne gli aspetti molteplici e contradditori. Quando pensiamo filosoficamente ci diamo la grande opportunità di non subire il mondo ma di interpretarlo, perché sia complice delle nostre necessità e dei nostri sogni.
Una delle attitudini piú comuni e immorali degli uomini nei confronti degli animali è quella di non capirli. Molti non vedono nell’animale un essere vivente con la propria dignità, la propria capacità di sentire e di soffrire, ma solo un oggetto, una cosa da mangiare o da uccidere per divertimento. Questo modo di guardare il mondo animale non nasce necessariamente da cattiveria o indifferenza, bensí dalla mala educazione.
La Bibbia (Genesi, 1, 21-24) usa la definizione nefesh chay («anima vivente») per indicare sia gli uomini sia gli animali, rivelando cosí la decisione suprema di attribuire loro statuto di inviolabilità. Spegnendo la vita di un animale, si provoca l’estinzione di un’anima al pari di quanto accade se si uccide un essere umano.
Conosciamo bene le atroci torture a cui sono sottoposte le povere bestie d’allevamento, le orribili condizioni in cui vengono trasportate: basta visitare un macello per rendersi conto di quanta sofferenza e terrore patiscano. Chi sceglie di mangiare carne dovrebbe almeno avere rispetto dell’animale di cui si ciba ed evitare smodatezza e spreco.
Madre Dignità
© Einaudi, 2012 - Selezione Aforismario
La dignità precede i diritti, e non soltanto alfabeticamente. Essa non è solo precondizione di una società di giustizia, ma è il grembo stesso in cui i diritti sono fecondati e generati.
Paradossalmente, l’Assoluto alberga nel cuore della fragilità umana, e tale fragilità ha necessità di un Garante Indiscutibile: il Divino.
La dignità è il più assoluto dei valori, il più assiomatico, e prima che nell’essere umano è inscritto nella vita stessa, in ciascuna delle sue forme. Per affermarne e proteggerne lo statuto di inviolabilità dalle aggressioni del potere, dichiararne l’origine divina è stata la via maestra.
La famiglia e la scuola sono gli ambiti affettivi, formativi e normativi in cui l’idea e la pratica della dignità devono germinare. L’individuo deve ricevere in quei contesti le prime garanzie.
Un crudele paradosso è stato esercitato sulla carne viva delle donne: quello di essere discriminate come una minoranza pur essendo state sempre maggioranza.
Il maschilismo è un’ideologia di potere schizofrenica. Il mondo occidentale ha glorificato per secoli la figura della madre espungendo da essa la donna, ufficialmente disprezzandone la sessualità o addirittura criminalizzandola.
La lettura maschilista del monoteismo ha una enorme responsabilità nell’origine dell’ideologia criminogena che ha provocato l’infinita pletora di ingiustizie e violenze perpetrate contro la donna.
L’obiettivo più martoriato e sbranato è il corpo delle donne, divenuto merce vile. La sua dignità viene assassinata sotto lo sguardo distratto anche di buona parte del mondo femminile, che è stata narcotizzata da un costante ricatto: se vuoi esistere mediaticamente, se vuoi essere cooptata nel potere, rinuncia alla tua dignità fisica, sociale e interiore.
L’amore senza il pieno riconoscimento della dignità di colui che si ama può divenire compiacimento narcisistico del proprio desiderio di amare, rischiando di tramutarsi in una forma di sopraffazione.
Non c’è dignità laddove non si accoglie la dignità dell’altro.
Riconoscere e affermare la dignità come valore non negoziabile significa riconoscere e affermare la vita come valore non negoziabile.
I regimi totalitari, e il nazismo con particolare radicalità, hanno dimostrato che ogni piccolo sfregio alla dignità sociale e individuale anche di un solo essere umano è prodromo di maggiori e incalcolabili ingiustizie e violenze.
La dignità è inviolabile, non può essere sospesa. Su di essa lo stato non ha potere. Lo stato e i suoi rappresentanti hanno invece il dovere inderogabile di garantirla a chiunque venga affidato alla loro custodia.
La dignità non è negoziabile, non ha prezzo. Riconoscerla anche al peggiore dei carnefici, al più efferato degli aguzzini è la migliore risposta possibile alla logica dell’odio, dello sterminio, del genocidio, traccia un solco invalicabile fra la cultura della vita e il dominio della morte.
La dignità di ogni persona non è a disposizione di nessun potere. La sua assoluta inviolabilità in ogni ambito e in ogni manifestazione, a partire dal lavoro, è imprescindibile per l’edificazione di una società di giustizia.
Note
Vedi anche frasi e citazioni di: Vito Mancuso - Carlo Petrini