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Frasi e citazioni di Paolo Mieli

Selezione di frasi e citazioni di Paolo Mieli (Milano, 1949), giornalista, saggista, conduttore televisivo e opinionista italiano, direttore de La Stampa dal 1990 al 1992 e del Corriere della Sera dal 1992 al 1997 e dal 2004 al 2009. Il giornalista Claudio Rinaldi ha così definito lo stile giornalistico di Paolo Mieli:
"Inconfondibile miscela di spirito alto e materia bassa; attenzione a tutto quanto è televisivamente popolare e popolarmente televisivo; suggestioni perlopiù antiretoriche, non di rado articolate attraverso disseminazioni di dubbi su mitologie consolidate; apparente leggerezza; allegra e spavalda disponibilità al gossip (vulgo: "pettegolezzo"), quindi al divertente, all'eclettico, al frammentario; visione conflittuale della realtà, con conseguente sottolineatura di 'casi', 'polemiche', 'duelli' e, quando possibile, spargimento di polpettine di zizzania destinate soprattutto a uomini politici e intellettuali che si prendono troppo sul serio; culto del dettaglio, ancora, talvolta tirato fino all'estremo limite, e cioè ben oltre la vicenda in cui esso dettaglio s’inscriverebbe". [La Stampa,  1997].
La maggior parte delle seguenti riflessioni di Paolo Mieli sono tratte dai libri: Storia e politica (2001), L'arma della memoria (2015), In guerra con il passato (2016), Lampi sulla storia (2018), La terapia dell'oblio (2020). 
Foto di Paolo Mieli
La pacificazione con il passato ci impone di riconoscere gli errori di qualunque parte
e soprattutto di non andare a cercare nella storia antefatti
alle prospettive politiche del tempo presente. (Paolo Mieli)

Storia e politica
Novecento secolo delle tenebre © Rizzoli, 2001

L’espressione «disfarsi della memoria» è considerata alla stregua di una bestemmia. Sono ancora troppo recenti i lutti del secolo che si è appena concluso: chi vuole smettere di ricordare, abbandonarsi all’oblio, è guardato con sospetto.

L’oblio ha una sua nobiltà, un suo posto nella storia dei miti e della grande letteratura per cui non può essere ridotto a contraltare abietto del ricordare.

L'arma della memoria
Contro la reinvenzione del passato © Rizzoli, 2015

L’onesto uso della memoria è il più valido antidoto all’imbarbarimento. E lo è in ogni stagione politica, in ogni momento del dibattito culturale, in ogni epoca della storia. Un uso onesto che, in quanto tale, presuppone non ci si rivolga al passato in cerca di una legittimazione per le scelte di oggi. Anzi, semmai, per individuare in tempi lontani contraddizioni che ci aiutino a modificare o a mettere a registro quel che pensiamo adesso.

Diffuso, purtroppo, è il ricorso a forzature della memoria come arma per farci tornare i conti nel presente. Un’arma usata con infinite modalità di manipolazione che producono danni quasi irreparabili alla coscienza storica generale, deformano il passato, intossicano il ricordo collettivo anche dei fatti più prossimi. E che, come tale, merita di essere combattuto.

L’arma principale che si è infiltrata nel dibattito storiografico (allargato alle discussioni giornalistiche) è, da tempo, il complottismo. Cioè la pretesa di modificare i termini della discussione con l’inserimento di tesi suggestive ancorché indimostrabili. 

Infinite sono le leggi che regolano lo studio del tradimento nella storia. Ma due sono superiori alle altre. La prima: chi vince non verrà mai considerato un traditore. La seconda: il tradimento è questione di date, ciò che oggi è considerato un tradimento, domani potrà essere tenuto nel conto di un atto coraggioso.

In guerra con il passato
Le falsificazioni della storia © Rizzoli, 2016

La guerra contro il passato è la più praticata ma anche la più stupida di tutte le guerre. È una forma di belligeranza, peraltro mai dichiarata, che si propone di frantumare la storia, semplificarla, smontarne la complessità così da rendere gli accadimenti dei tempi remoti adattabili alle categorie e alle esigenze del presente.

Manipolazione e contraffazione sono le armi più comuni con le quali si combatte questa guerra al passato.

A cosa porta questa guerra contro il passato? A confondere le idee sul presente. 

La memoria è considerata l’unica «promessa di permanenza» a nostra disposizione. È attraverso la memoria che cerchiamo di riconciliarci con il nostro passato, con il mondo che abbiamo perduto e con le tracce misteriose che conservano il segreto della nostra identità.

È la memoria che in un certo senso «rende il presente a se stesso» e ci permette di preparare l’avvenire. Siamo infatti costretti a confrontarci con la nostra incapacità di anticipare il futuro.

È una torsione storiografica foriera di divisioni considerare il passato come qualcosa di stabilito, anche solo a grandi linee, una volta per tutte.

Se vogliamo essere in pace con il passato dobbiamo essere disposti a rivedere qualcosa di importante, anche pezzi della memoria collettiva a cui siamo legati. 

La pacificazione con il passato ci impone di riconoscere gli errori di qualunque parte e soprattutto di non andare a cercare nella storia antefatti alle prospettive politiche del tempo presente. 

Il caos italiano
Alle radici del nostro dissesto © Rizzoli, 2017

Mai come oggi la politica italiana sembra in preda a una paralisi. Da anni i partiti sono impegnati in una continua campagna elettorale, con l’unico scopo di minare la legittimità degli avversari e allo stesso tempo lasciare aperte le porte a tutte le alleanze possibili.

Lampi sulla storia
Intrecci tra passato e presente © Rizzoli, 2018

Il presente si modifica in continuazione, e per questo siamo indotti a guardare al passato da angoli visuali sempre nuovi, spesso sollecitati anche dalla scoperta di documenti inediti. Fin qui tutto normale. Ma succede che i «nuovi angoli visuali» inducano a deformare – magari inavvertitamente – il passato stesso.

Si deve saper rinunciare a mettere la propria comunità in condizione di riaprire antiche ferite. È un esercizio complicato quello di tenere fermo il giudizio sul passato, anzi di renderlo ogni giorno più denso di valori e, a un tempo, di imparare a rispettare il passato stesso in tutta la sua complessità. 

Far funzionare una ben mirata legge dell’oblio. Oblio che non deve equivalere a una sciatta dimenticanza che metta torti e ragioni del passato sullo stesso piano, bensì a non far riproporre quei torti e quelle ragioni nelle contese del presente. 

La terapia dell'oblio
Contro gli eccessi della memoria © Rizzoli, 2020 - Selezione Aforismario

Oggi più che nel passato il ricordo si intreccia in modo eccessivo con il presente. Si intreccia cioè con quello in cui «crediamo» nel momento in cui formuliamo le nostre ipotesi sul passato. In aggiunta, ciò avviene in molti casi, anzi quasi sempre, senza che ce ne rendiamo conto. Tale aggrovigliamento tra passato e presente ci intossica. E ci impedisce di porre dei punti fermi che consentano, all’occorrenza, di voltare pagina.

Dovremmo tenere meglio separati il passato e il presente. E far sì che tutto quel che scopriamo (o ci sembra di scoprire) del passato non sia immediatamente inghiottito dal caos delle nostre «menti impegnate». 

Quando si hanno idee forti sul presente, è pressoché inevitabile che quelle idee si impongano sulle interpretazioni del passato. 

O impariamo noi stessi a selezionare, archiviare e magari almeno in parte dimenticare quel che è stato, oppure lo dimenticheremo lo stesso in modo caotico, malato, dannoso per le nostre menti. Per questo, anche per questo, necessitiamo tutti di imparare ad autosomministrarci, sapientemente, una dose di oblio.

L’Italia è un paese unico nel non esser capace di consegnare il passato agli storici. Ci sentiamo quasi obbligati a riproporlo ossessivamente annodato alle passioni del presente. E non riusciamo mai a chiudere un capitolo una volta per tutte. 

È da oltre duemila anni che nel mondo si combattono le diseguaglianze. Tutti coloro che sono favorevoli a una sempre maggiore perequazione economica farebbero bene, però, a ricordare che, con rare eccezioni, la perequazione stessa è stata sempre ottenuta al prezzo di enormi sofferenze.

Le due guerre mondiali sono state tra le più grandi livellatrici della storia. La distruzione fisica provocata dalla guerra su scala industriale, la tassazione confiscatoria, l’interruzione dei flussi globali di beni e capitali, in aggiunta ad altri fattori, contribuirono a spazzar via la ricchezza delle élite e redistribuire le risorse.

Il secolo autoritario
Perché i buoni non vincono mai © Rizzoli, 2023

Il Novecento può essere definito il secolo autoritario. Anzi, il secolo autoritario per antonomasia. C’è stato un tempo, tra l’estate del 1939 e quella del 1941, in cui l’intera Europa (eccezion fatta per la Gran Bretagna e pochissime altre realtà) si ritrovò a vivere sotto un regime dittatoriale. Dittature di destra o di sinistra, ma pur sempre tirannidi.

L’idea che fosse impossibile governare i popoli senza una dose robusta di autoritarismo era antica di millenni, quasi connaturata al principio stesso del comando. Solo negli ultimi due o tre secoli avevamo potuto immaginare di lasciarci alle spalle l’esercizio dispotico del potere e riprendere dall’antichità altri fili che ci avrebbero consentito di tessere una tela diversa.

Note
Leggi anche le citazioni dei giornalisti e saggisti italiani: Corrado AugiasVittorio FeltriGiordano Bruno Guerri

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