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Aforismi, frasi e pensieri di Arturo Martini

Selezione di aforismi, frasi e citazioni di Arturo Martini (Treviso 1889 - Milano 1947), scultore, pittore, incisore e aforista italiano. I seguenti pensieri di Arturo Martini sono tratti dal libro La scultura lingua morta, pubblicato per la prima volta nel 1945. Curiosamente, il volume si conclude con quest'affermazione di Arturo Martini: "Nego la paternità di qualunque pensiero io abbia espresso, da chiunque raccolto e fissato, su questo argomento, perché si tratta di parole immature forse contrarie alle mie conclusioni".
Perché la scultura che può fare una venere, non può fare un pomo?
(Arturo Martini)
La scultura lingua morta
1945 - Selezione Aforismario

Fonte d'estasi oggi un limone quanto una venere.

Il contrasto di forme e di valori diversi soccorre risolutamente, nelle arti, alla costruzione ritmica dell'opera.

In arte qualsiasi sentimento dev'essere dato e non sentito: chi sente trema e non farà mai centro.

Insipida come ogni primizia l'arte dei ragazzi prodigio.

La scultura è sempre vissuta di vita parassitaria; aderendo come un rampicante alla superficie di un 'immagine e assumendone la forma, ha finito per credere quella forma la sua propria essenza.

La scultura resta quello che è: lingua morta che non ha volgare, né potrà mai essere parola spontanea fra gli uomini.

La sensibilità deriva sempre da pochezza sanguigna, è una specie di convalescenza che anche l'uomo sano può procurarsi facilmente prendendo una purga.

L'arte non è interpretazione, ma trasformazione.

L'arte non è un fenomeno inventivo dell'artista, ma del naturale disporsi della sua sostanza.

L'arte non sopporta teorie, generi, stile. È un discorso spontaneo, misterioso ma fatale, come lo svolgersi della nascita nel grembo materno, una facoltà naturale eterna che stupisce per la semplicità di ripetersi nel tempo come il filo d'erba.

L'artista che si copia riduce la sua opera a una specie di commercio personale, redditizio perché a serie, ma infinitamente monotono e triste.

L'aspetto della scultura è squallido e triste come quello di un seme posato sul marmo, cioè fuori di ogni possibilità di vita.

Lo scultore è come un albero: le foglie sono la sua sensibilità; né l'albero si occupa di questa esistenza fragile e passeggera che il tempo farà cadere inesorabilmente.

Nessuna magia di esecuzione può fare di un errore una verità, da cui trarre leggi universali.

Obbedire al proprio sviluppo naturale, sopportare la potatura di tutte le ramificazioni nate dalla ricerca, mutando in purità le passioni, e il proprio fuoco in un amore che si chiama pazienza: questa è la strada che conduce all'universale.

Oggi gli scultori non fanno che tentare qualche variazione su temi ai quali, uno per uno, gli antichi hanno già dato scacco matto.

Oggi, per un artista che partecipi al suo tempo, è più viva una "natura morta", ispirata da un avanzo di verdura, che tutti i miti esaltati nel tempo antico.

Ogni arte è un moto generale verso l'intimo, espressione di se stessa libera da moventi estranei; perché tutte le arti vivono e si esprimono nella loro essenza.

Parole note volumi non sono che materiali, mezzi che l'artista di volta in volta tramuta in valori essenziali.

Perché la scultura che può fare una venere, non può fare un pomo?

Riprova la servitù della scultura al soggetto l'impossibilità di metafora.

Troppo umana, la statua, per raggiungere l'anonimo.

Un disegno ha una potenza d'arte mille volte superiore alla statua perché trova la sua atmosfera nello stesso foglio di carta, mentre la statua non ha che un casuale sfondo estraneo alla creazione.

Se a qualche giovane immacolato balenerà la speranza di una rinascita, lascio, suggeriti in solitudine dalla scultura, questi comandamenti.
Fa che io serva solo a me stessa.
Fa di me un arco dello spirito.
Fa che io non sia più rupe, ma acqua e cielo.
F a che io non sia piramide, ma clessidra per essere capovolta.
Fa che io non sia un oggetto, ma un'estensione.
Fa che io non sia un confronto, ma un'unità.
Fa che io non sia un'immagine, così non mi esalteranno.
Fa che io non sia una pietra miliare dell'uomo, ma della mia natura. .
F a che io non sia una vistosa virtù, ma un oscuro grembo.
Fa che io non sia un peso, ma una bilancia.
Fa che io non serva come una moneta per comodità pratiche.
Fa che io non resti nelle tre dimensioni, dove si nasconde la morte.
Fa che io non sia prigioniera di uno stile, ma una disinvolta sostanza.
Fa che io sia l'insondabile architettura per raggiungere l'universale.

Libro di Arturo Martini consigliato
La scultura lingua morta 
e altri scritti 
Curatrice: Elena Pontiggia 
Editore: Abscondita, Milano, 2001 

"La scultura resta quello che è: lingua morta che non ha volgare né potrà mai essere parola spontanea fra gli uomini". Tutti gli aforismi del grande scultore italiano Arturo Martini sull'arte e la scultura, e altri suoi scritti. "La scultura lingua morta" fu pubblicato dall'autore in sole cinquanta copie a proprie spese, ma provocò molte reazioni tra i critici e gli stessi artisti. "Una mattina a scuola ho fatto questa domanda agli allievi: un pomo in pittura vale una Venere. Perché un pomo in scultura non vale una Venere? Da quella mattina (fu nel marzo '44) ho cominciato a scrivere". Così Martini ricostruiva la genesi de "La scultura lingua morta", che pubblicherà a Venezia, in cinquanta copie, nel 1945. Lo scritto è una drammatica sconfessione della statuaria, accusata di essere una lingua morta e una creazione di immagini episodiche, ma finisce in certi momenti per incrinare i protocolli della scultura stessa. C'è qualcosa di tragicamente grandioso nella radicalità di Martini. Chi si sta accanendo con tanta violenza contro la scultura non è un intellettuale, un filosofo, un professore di estetica, ma il maggior scultore italiano contemporaneo. E l'abiura non avviene nelle aule di un simposio accademico, nell'ambito di una querelle universitaria, ma sullo sfondo degli anni più terribili della guerra. Del resto, quanto del dramma storico in atto penetra nelle pagine di Martini? Quanto de "La scultura lingua morta" nasce dalla cognizione della malattia mortale dell'Italia, dell'Europa? "Ogni cosa è andata a fondo" aveva scritto nel dicembre 1943.

Note
Vedi anche: Aforisti del '900