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Frasi e citazioni di Max Stirner

Selezione di frasi e citazioni di Max Stirner (pseudonimo di Johann Caspar Schmidt, Bayreuth 1806 - Berlino 1856), filosofo tedesco. Stirner studia a Berlino, dove segue i corsi di Hegel, Schleiermacher e Michelet. Dal 1839 insegna in un collegio femminile. Dal 1842 frequenta il circolo dei «Liberi», costituito dai più noti radicali della sinistra hegeliana, e comincia a collaborare a giornali e riviste, tra cui la Rheinische Zeitung, di cui Stirner diventerà redattore.

Nel 1844 pubblica il suo capolavoro, L'Unico e la sua proprietà (Der Einzige und sein Eigentum), preceduto e seguito da vari scritti polemici e occasionali tra cui: Il falso principio della nostra educazione (1842) e Storia della reazione (1852). A causa delle sue idee, giudicate troppo radicali persino dai "Liberi", finisce per essere isolato dalla maggior parte degli intellettuali dell'epoca. Assillato da continui problemi economici, finisce due volte in prigione per debiti e infine muore, oscuramente, all'età di cinquant'anni.

L'Unico e la sua proprietà, testo d'ispirazione anarco-individualistica, in cui non "l'Uomo", ma l'individuo nella sua irripetibilità è considerato fonte e misura di tutti i valori, costituisce un'opera "anomala", "unica" nell'intera storia della filosofia. Aspramente criticata subito dopo la sua pubblicazione, soprattutto da Marx ed Engels ne L'ideologia tedesca, e trascurata negli anni successivi, è stata rivalutata verso la fine dell'Ottocento dai teorici del movimento anarchico. L'unicità, l'insostituibilità, la irripetibilità dell'individuo con il suo egoismo è, per Stirner, l'unico valore. Rispetto al singolo, ogni altra realtà è senza verità: non solo Dio e la Chiesa, ma anche lo Stato, la società, i partiti. Tutto ciò che subordina a una gerarchia, o richiede il sacrificio di sé, contrasta col sentimento umano fondamentale che è l'egoismo. Perciò Stirner rifiuta sia il socialismo (che subordina l'individuo alla società), sia la rivoluzione (perché sostituisce una costituzione politica con un'altra); e propugna una semplice associazione di egoisti che sia un mezzo per il rafforzamento del singolo, da raggiungere mediante una insurrezione che abolisca ogni dimensione politico-statuale. [1] Come scrive Roberto Calasso: "La vera “filosofia del martello”, che Nietzsche non sarebbe mai riuscito a praticare, perché troppo irrimediabilmente educato, si compie nelle brevi, tempestanti, offensive frasi che compongono l'Unico".

Come si è detto in precedenza, simili concezioni non potevano che attirare le critiche degli intellettuali dell'epoca; a una di queste critiche, redatta dal filosofo Kuno Fischer, Stirner risponde su Epigonen firmandosi G. Edward, in un modo che non lascia dubbi sulla radicalità e la "diversità" della propria visione del mondo e della società: 
"Io voglio soltanto essere io; io disprezzo la natura, gli uomini e le loro leggi, la società umana e il suo amore, e recido ogni rapporto generale con essa, perfino quello del linguaggio. A tutte le pretese del vostro dovere, a tutte le designazioni del vostro giudizio categorico contrappongo 'atarassia' del mio io; e già faccio una concessione, se mi servo del linguaggio, io sono l''indicibile', 'io mi mostro soltanto'.
Ritratto di Max Stirner
Io non mi considero qualcosa di particolare: io mi considero unico. (Max Stirner)

L'unico e la sua proprietà
Der Einzige und sein Eigentum, 1844 - Selezione Aforismario

Adulti, i giovani lo divengono quando cinguettano come i vecchi; li s'incalza con la scuola, affinché imparino la vecchia lagna, e quando ce l'hanno ormai dentro, li si dichiara adulti.

All'egoista deve apparire immorale, esclusivamente tutto ciò che è sanzionato dalla moralità. La "morale borghese" è la nemica contro la quale ogni spirito libero deve esercitare tutta la potenza della propria energia.

Che cosa non dev'essere mai la mia causa! Innanzitutto la buona causa, poi la causa di Dio, la causa dell'umanità, della verità, della libertà, della filantropia, della giustizia; inoltre la causa del mio popolo, del mio principe, della mia patria; infine, addirittura la causa dello spirito e mille altre cause ancora. Soltanto la mia causa non dev'essere mai la mia causa. «Che vergogna l'egoista che pensa soltanto a sé!».

Chi deve logorarsi la vita per sopravvivere non può goderla e chi va in cerca della sua vita non l'ha ancora e quindi non può goderla nemmeno lui: l'uno e l'altro sono poveri.

Chi si sente spirito libero non è oppresso o angustiato dalle cose di questo mondo, perché non le considera. Se uno sente ancora il loro peso, vuol dire che è tanto limitato da dar lui stesso peso a quelle cose.

Cosi come questa rosa è fin da principio una vera rosa e questo usignolo è sempre un vero usignolo, allo stesso modo io non sono un «vero uomo» solo se adempio la mia missione e vivo secondo la mia vocazione, ma lo sono da sempre. Il mio primo balbettio è il segno vitale di un «vero uomo», le mie lotte per la vita sono le sue espressioni di forza e il mio ultimo respiro è l'ultimo esaurirsi «dell'uomo».

Di fronte al sacro perdiamo ogni potenza e intrepidezza: nei suoi confronti siamo impotenti e trepidi. E tuttavia nessuna cosa è sacra in virtù di sé stessa, ma invece perché io la dichiaro sacra, cioè in virtù della mia sentenza, del mio giudizio, delle mie genuflessioni, insomma della mia - coscienza.

Dio e l'umanità hanno posto la loro causa su nulla, su null'altro che su sé stessi. Nello stesso modo io pongo la mia causa su di me. Io, che al pari di dio, sono il nulla di tutti gli altri, io che sono il mio tutto, io che sono l'unico.

Dobbiamo finalmente renderci conto del fatto che lo spirito, cioè l'unica cosa che il cristiano ama, non è niente, ossia che lo spirito è una − menzogna.

Egoistico è non attribuire a nessuna cosa un valore proprio o "assoluto", ma cercare sempre in me il suo valore.

Essere un uomo non significa adempiere l'ideale dell'uomo, ma invece rappresentare sé stesso come singolo.

Finché tu credi alla verità, tu non credi a te stesso e sei un  − servo, un − uomo religioso. Tu solo sei la verità o, piuttosto, tu sei più della verità, la quale senza di te non è proprio niente.

Gli ideali riescono a vincere completamente solo quando non avversano più l'interesse personale, cioè quando soddisfano l'egoismo.

Il divino è la causa di Dio, l'umano la causa «dell'uomo». La mia causa non è né il divino né l'umano, non è ciò che è vero, buono, giusto, libero, ecc., bensì solo ciò che è mio, e non è una causa generale, ma - unica, così come io stesso sono unico. Non c'è nulla che m'importi più di me stesso!

Il Mammona terrestre e il Dio celeste richiedono entrambi nello stesso modo e nella stessa misura che uno rinneghi sé stesso.

Il mio vivere è tanto poco una missione quanto lo è la crescita e il profumo del fiore.

Il mondo è grande e ci si arrangia come si può.

Il prossimo comincia da sé stessi!

Il rude pugno della morale non ha alcun rispetto della nobile essenza dell'egoismo.

Io faccio derivare ogni diritto e ogni legittimità da me stesso; io sono legittimato a fare tutto ciò che ho il potere di fare. Io sono legittimato a rovesciare Zeus, Yahweh, Dio, ecc., se sono capace di farlo; altrimenti, questi dèi avranno sempre più diritto e più potere di me. 

Io non mi considero qualcosa di particolare: io mi considero unico.

Io non sono un io accanto ad altri io, bensì l'io esclusivo: io sono unico. Perciò anche i miei bisogni sono unici e così pure le mie azioni, insomma tutto di me è unico. E io mi approprio di tutto solo in quanto sono questo io unico, così come agisco e mi sviluppo solo in quanto tale: io non mi sviluppo in quanto uomo e non sviluppo l'uomo, ma, in quanto sono io, sviluppo - me stesso. Questo è il senso dell'unico.

Io sono un ossesso che si vuol sbarazzare del suo «spirito maligno». Come farò? Commetterò senza timore il peccato che per il cristiano è il più tremendo di tutti, il peccato che consiste nel bestemmiare contro lo Spirito Santo. «Chi bestemmia contro lo Spirito Santo non riceverà perdono in eterno, ma verrà condannato per sempre!» Io non chiedo perdono e non ho paura della condanna.

La devozione ha subito, nell'ultimo secolo, tanti mai colpi, e il suo essere sovrumano si è sentito chiamare tante mai volte "inumano", che ormai non c'è più alcun gusto ad attaccarla. E tuttavia si sono fatti avanti quasi sempre, come avversari, soltanto uomini morali, che combattevano l'essere supremo in nome di − un altro essere supremo. 

La lotta per l'autoaffermazione è inevitabile, perché ogni cosa tiene a sé stessa e nello stesso tempo si scontra continuamente con altre cose.

La rivoluzione ha come obiettivo delle nuove istituzioni. La rivolta ci porta a non lasciarci più amministrare ma ad amministrare da soli. La rivolta non attende le meraviglie delle istituzioni future. Essa è una lotta contro ciò che esiste. Una volta riuscita, ciò che esiste crolla da solo.

La società vuole sì che ognuno possa godere del suo diritto, ma con questo intende tuttavia solo il diritto sancito dalla società, il diritto della società, non il suo diritto reale, come singolo. Ma io mi do o mi prendo il diritto che voglio nella pienezza della mia propria potenza e contro ogni prepotenza io sono il delinquente più incallito. Padrone e creatore del mio diritto - io non riconosco altra fonte del diritto che - me stesso, non Dio, non lo Stato, non la natura e neppure l'uomo stesso con i suoi «eterni diritti dell'uomo», né il diritto divino né il diritto umano.

Liberati quanto puoi e avrai fatto ciò che sta in tuo potere; infatti non è dato a tutti di superare ogni barriera, ossia, per parlare più chiaramente non per tutti è una barriera ciò che lo è per alcuni. Perciò non preoccuparti delle barriere degli altri: è sufficiente che tu abbatta le tue.

Lo Stato si fonda sulla schiavitù del lavoro. Se il lavoro diventerà libero, lo Stato sarà perduto.

Mille volte meglio - se proprio bisogna parlare di «meglio» - un ragazzo maleducato di uno saputello, meglio un uomo ribelle di uno docile in ogni occasione. Il ribelle maleducato ha ancora la possibilità di formarsi secondo la propria volontà; il docile saputello, invece, viene determinato dal «genere», dalle necessità generali,

Nelle mani dello Stato la forza si chiama diritto, nelle mani dell'individuo si chiama delitto.

Nessuna religione ha mai potuto fare a meno di promettere “ricompense”, sia che queste si riferissero all'aldilà che all’aldiquà (lunga vita etc.); l’uomo infatti è avido, e gratis non fa niente.

Non pensare che io scherzi o che parli per immagini se considero tutti gli uomini che sono fissati su qualcosa di superiore − e sono l'enorme maggioranza, quasi tutta l'umanità − completamente matti, matti da manicomio.

Non si è degni di avere ciò che ci si lascia prendere per debolezza; non se ne è degni perché non se ne è capaci.

Ogni essere superiore a me stesso, sia Dio o l'uomo, indebolisce il sentimento della mia unicità e impallidisce appena risplende il sole di questa mia consapevolezza. Se io fondo la mia causa su di me, l'unico, essa poggia sull'effimero, mortale creatore di sé che se stesso consuma, e io posso dire: Io ho fondato la mia causa su nulla. 

Osservate come si comporta un «uomo morale» che al giorno d'oggi spesso sostiene d'aver liquidato Dio e rifiuta il cristianesimo come un'anticaglia. Se gli si domanda se non ha mai messo in dubbio che l'accoppiamento tra fratelli sia un incesto, che la monogamia rappresenti il vero matrimonio, che la fedeltà e il rispetto siano sacri doveri, ecc., un brivido morale lo percorrerà al solo pensiero che uno possa sfiorare con intenzione erotica la propria sorella, ecc. Perché questo brivido? Perché egli crede a quei comandamenti morali. Questa fede morale ha radici profonde nel suo cuore. Per quanto si accanisca contro i pii cristiani, egli è rimasto tuttavia altrettanto cristiano: un cristiano morale.

Per l'egoista solo la propria storia ha valore, perché egli vuole sviluppare solo sé stesso, non l'idea dell'umanità, non il piano di Dio, non le intenzioni della provvidenza, non la libertà o simili. Egli non si considera uno strumento dell'idea o un ricettacolo di Dio, non riconosce alcuna missione, non s'immagina di essere in questo mondo per contribuire, col suo obolo doveroso, al progresso dell'umanità, ma vive la sua vita fino in fondo, senza preoccuparsi se nel suo comportamento l'umanità trovi o no il suo tornaconto.

Per lo Stato è indispensabile che nessuno abbia una sua volontà; se uno l'avesse, lo Stato dovrebbe escluderlo, chiuderlo in carcere o metterlo al bando; se tutti avessero una volontà propria, farebbero piazza pulita dello Stato.

Potrai vedere un solo ricco senza trovarlo spietato ed «egoista»? Tu ti dichiari forse ateo, ma resti fedele al sentimento cristiano: è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago che un ricco non sia un «mostro inumano».

Qualcosa di sacro esiste solo per l'egoista che non si riconosce, l'egoista involontario, che ricerca sempre il proprio vantaggio e tuttavia non si considera l'essere supremo in rapporto a se stesso; che serve solo se stesso e al contempo pensa sempre di servire un essere superiore; che non conosce nulla di superiore a se stesso e tuttavia si esalta per ciò che è superiore, insomma l'egoista che non vorrebbe esser tale e che si umilia, cioè combatte il proprio egoismo, e tuttavia anche in questo caso si umilia soltanto «per venire esaltato», ossia per soddisfare il suo egoismo. Poiché vorrebbe smettere di essere egoista, egli cerca in cielo e in terra esseri superiori da servire e per cui sacrificarsi; ma, per quanto si agiti e si mortifichi, alla fine, però, quel che fa, lo fa solo per interesse personale e il famigerato egoismo non lo abbandona. Perciò io lo chiamo l'egoista involontario.

Quando il proletario avrà davvero istituito la «società» che si propone, in cui la distanza fra ricchi e poveri verrà rimossa, sarà uno straccione, giacché sa bene come si fa a essere straccioni, e potrà eventualmente innalzare la parola «straccione» facendola diventare un appellativo onorato, così come la rivoluzione ha fatto con la parola «borghese». Lo straccione è il suo ideale, straccioni dovremo diventar tutti.

Se ti fai dar ragione da un altro, devi anche accettare che ti possa dar torto; se la giustificazione e la lode devono venirti da lui, aspetta anche la sua accusa e la sua punizione.

Se un operaio di una fabbrica deve sfinirsi per dodici ore e anche di più, non potrà mai diventare un uomo. E invece qualsiasi lavoro deve avere lo scopo di soddisfare l'uomo. Perciò bisogna che questi possa diventare, nel suo lavoro, un maestro, cioè deve poterlo creare come una totalità. Ma chi, in una fabbrica di spilli, attacca soltanto la capocchia, chi stira soltanto il fil di ferro, ecc., lavora meccanicamente, come se fosse una macchina: resta un poveraccio, non può diventare un maestro: il suo lavoro non può soddisfarlo, ma soltanto sfinirlo.

Se venisse meno la sottomissione, il padrone cesserebbe d'essere.

Sotto la religione e la politica l'uomo si trova a guardare tutto dal punto di vista del dovere: egli deve essere questo o quello, deve diventare questo o quello.

Tu hai diritto di essere ciò che hai il potere di essere.
Ritratto di Max Stirner
Il prossimo comincia da sé stessi! (Max Stirner)

Giudizi e pareri su Max Stirner
Ancora oggi ci sono certi uomini devoti che per via del suo libro prendono l'anarchico Stirner per un matto e per Satana in persona; e ancora oggi ci sono certi uomini diversamente devoti, che fanno partire da lui una nuova epoca dell'umanità, appunto perché era un anarchico. Ma non era un diavolo e non era un pazzo, anzi era un uomo silenzioso, nobile, che nessun potere e nessuna parola sarebbero riusciti a corrompere, un uomo così unico che non trovava un posto nel mondo, e di conseguenza più o meno fece la fame; era soltanto un ribelle interiore, non era un capo politico, perché agli uomini non lo legava neppure una lingua comune.
Fritz Mauthner

Ogni individuo, per la sua costituzione ereditaria, possiede una originalità di principio. Egli è il solo a essere se stesso: «Nessuno è mio simile», diceva Max Stirner, «la mia carne non è la loro carne, né il mio pensiero il loro pensiero». E, anche biologicamente, il feroce teorico dell'Unico aveva ragione.
Jean Rostand

Se uno lo considera nell'insieme è repellente, sguaiato, spaccone, smargiasso, uno studente degenerato, uno zotico, un egomane, evidentemente uno psicopatico grave. Gracchia con voce alta, sgradevole: io sono io, nulla mi importa salvo me stesso. I suoi sofismi verbali sono insopportabili. La sua bohème avvolta in fumo di sigaro è nauseante. Eppure Max sa qualcosa di molto importante. Sa che l'io non è un oggetto di pensiero. Così ha trovato il titolo più bello e comunque più tedesco di tutta la letteratura tedesca: L'unico e la sua proprietà. In questo momento Max è l'unico che mi visita nella mia cella. Questo, da parte di un egoista rabbioso, mi tocca profondamente.
Carl Schmitt

Anch'io, un po’ alla Stirner, ho fondato la mia vita sul nulla, e posso dire che non c’è niente di più solido.
Giovanni Soriano

Libro di Max Stirner consigliato da Aforismario
Libro di Max Stirner
L'unico e la sua proprietà
Traduzione: Leonardo Amoroso
Postfazione: Roberto Calasso
Editore: Adelphi, 1999

La censura prussiana giudicò questo libro «troppo assurdo per essere pericoloso». Marx e Engels, invece, lo considerarono sufficientemente pericoloso per dedicargli più di trecento pagine persecutorie della Ideologia tedesca. Nietzsche non lo nominò mai, ma confessò a un’amica di temere che un giorno lo avrebbero accusato di aver plagiato Stirner. Da più di un secolo le storie della filosofia lo definiscono «famigerato». In breve: L’unico è l’opera più scandalosa e inaccettabile della filosofia moderna. Provocatore e vagabondo della metafisica, Stirner osò vedere il mondo della secolarizzazione trionfante, che è anche il nostro, come un mondo profondamente bigotto. La Società, l’Uomo, l’Umanità giustificano ora ogni tortura sul singolo che non si adegui al modello ‘giusto’. Che la sua critica sfoci poi in un nominalismo assoluto, e manifestamente insostenibile, non sembra preoccupare Stirner. In certo modo è ciò che voleva: tutto l’Unico è un solo, immane paradosso su cui il pensiero continua a inciampare.

Note
  1. Max Stirner, Enciclopedia Europea © Garzanti 1980.
  2. Non esistono foto o ritratti di Max Stirner eseguiti da suoi contemporanei; le uniche immagini che abbiamo di Stirner sono due disegni di Friedrich Engels eseguiti a distanza di alcuni decenni dalla morte del filosofo, e che sono riportati in questa pagina. Pertanto, le foto che si trovano su diversi siti internet che dovrebbero rappresentare Stirner, sono in realtà immagini di altri autori (di solito Max Stirner è confuso con: Rudolf Steiner, Marc Bloch e Benjamin Tucker).
  3. Leggi anche le citazioni dei filosofi tedeschi: Ludwig FeuerbachKarl MarxFriedrich Nietzsche