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Frasi e pensieri di Giuseppe Rensi

Selezione di aforismi, frasi e citazioni di Giuseppe Rensi (Villafranca di Verona 1871 - Genova 1941), filosofo e aforista italiano. Nel 1927, Giuseppe Rensi, uno dei rari rappresentanti dell’opposizione all'idealismo crociano e gentiliano, viene sospeso dall'insegnamento per incompatibilità col regime fascista. Nel 1930 viene arrestato insieme alla moglie per cospirazione politica, e nel 1934 definitivamente destituito dalla cattedra e confinato in un ufficio della Biblioteca Universitaria. In quegli anni di profonda sofferenza Giuseppe Rensi scrive testi in stile aforistico: Scheggie (1930), Impronte (1931), Cicute (1931, Sguardi (1932) e Scolii (1934).
Foto di Giuseppe Rensi
Solo l'ateismo è puro e pio, solo l'ateismo è la grande vera religione. (Giuseppe Rensi)

Apologia dell'ateismo
1925 - Selezione Aforismario

Negare l'ateismo è cadere nell'allucinazione, nella pazzia, nella mentalità crepuscolare dei bambini e dei selvaggi, incapaci di distinguere l'è dal non è.

Da trenta secoli si "dimostra" Dio, e non solo ancora non ne sono persuasi tutti, ma anzi i non persuasi sono cresciuti di numero. Ciò non vi dice nulla?

Dio e il Nulla sono sinonimi.

O Dio è limitato, circoscritto, conforme alle condizioni formali dall'esperienza, oggetto fra oggetti, e non è più Dio. O è l'infinito e allora cade fuori dall'Essere, è non Essere. O Essere e non-Dio, o Dio e non-Essere.

Non solo Dio in linea di fatto non è, ma appunto perché il suo concetto è contraddittorio, è, altresì, in linea per così dire, di diritto di logica, impossibile e assurdo soltanto pensare o supporre che sia. In altre parole, ancora una volta, per pensare che Dio sia − vale a dire per pensare che esista ciò il cui concetto contraddice se stesso − bisogna essere pazzi.

L'ateismo è una religione; perché l'essenza di questa sta nel preoccuparsi della realtà ultima, nel pensiero diretta a questa, in una affermazione intorno a questa nella quale sentiamo di racchiudere il nostro maggiore interesse mentale, e, quasi a dire, di porre in giuoco o decidere il nostro destino.

Solo l'ateismo è puro e pio, solo l'ateismo è la grande vera religione.

Veramente come con efficace scorcio lirico ci rappresenta Nietzsche, Dio è morto per le sue contraddizioni.

Schegge
Pagine di un diario intimo, 1930

Definizione di «sofista». Sofista è colui il quale, tesi che ci sono sommamente antipatiche, sostiene con argomenti che non sappiamo confutare.

Proprio quando leggo qualche formidabile e inconfutabile dimostrazione dell'esistenza di Dio, mi sento sicuro che non esiste. – Ma guarda un po' se è possibile che la certezza della sua esistenza dipenda dalla tua dimostrazione; se è possibile, cioè, che, qualora esistesse, ci fosse bisogno che tu lo dimostrassi!

Religione è nient'altro che solidarietà con le forze del bene contro quelle del male.

Un uomo che pensa al proprio sviluppo spirituale farebbe una sciocchezza se scrivesse. Ciò che uno scrive serve (se mai) allo sviluppo spirituale altrui, non al proprio. Quindi, chi pensa al proprio, legge soltanto. Perché non lasciare che gli altri, scrivendo essi, siano servi dello sviluppo spirituale mio?

Preghiera. Ti ringrazio, mio Dio, delle amarezze, delle delusioni, degli insuccessi, dei dolori di cui hai cosparso la mia vita. Ti prego dal profondo del cuore di continuare. Se mi avessi ricolmo dei beni del mondo, sarei rimasto con la convinzione che non solo la mia vita, ma la vita, è buona. E la sete di vita avrebbe continuato in me insaziabile. Così tu mi hai fatto apprendere la grande e rara lezione, che pochi al mondo apprendono, l'apprendere la quale imprime ad un animo la vera nobiltà e superiorità, e impartendo la quale tu impartisci adunque un raro privilegio e un eccelso favore. La lezione che ogni forma fenomenica di vita è cattiva, è male, è dolore, che la vita lo è, che nella vita, in qualsiasi forma di vita dal male e dal dolore non si esce. In tal guisa, hai estinto in me la cupida sete e mi hai reso pronto e disposto pel Nulla.

Cicute
Dal diario di un filosofo, 1931 - Selezione Aforismario

C'è chi pensa per far libri, quindi unicamente sotto il senso di responsabilità pel suo «sistema», dominato, vincolato, limitato da questa in ogni direzione e moto della sua attività intellettuale. C'è chi pensa per il bisogno di pensare: per fare del suo pensiero un delicato barometro che si risenta variamente della varia pressione della realtà.

Di colui che non crede nella transustanziazione, nella divinità e nella resurrezione di Cristo, nella Vergine e nei Santi, si dice da tutti "non crede; è pazzo!". − Il non accettare la pazzia creduta da tutti, ciò appunto diventa pazzia.

L'indice se uno ha incorporato e rivive in sé profondamente il senso e l'ideale classico, è, per me, quello di non poter sopportare la lettura del Nuovo Testamento, di sentirne una ripugnanza insormontabile come per un amalgama informe di squilibri mentali, aberrazioni, superstizioni, rapimenti e trasporti psichici, svenevolezze sentimentali e morbosità.

La credenza nell'immortalità umana è il più scandalosamente piatto e ridicolo prodotto della concezione antropomorfica. Se credi, se sai, se vedi, che una formica, un gatto, un cane, quando morti sono distrutti per sempre, quale enorme sciocchezza credere che avvenga diversamente per l'uomo.

La prova che siamo pazzi è che discorriamo – cioè ci comunichiamo idee. Se non fossimo pazzi, ci troveremmo circa ogni questione tutti nel punto della ragione, che è sempre solo uno, quello. Ossia penseremmo tutti la stessa cosa, e quindi non avremmo più niente da dirci.

La religiosità e il vizio, insieme, sono l'indice che la vita sociale è diventata così triste e cattiva da non essere più tollerabile e da richiedere quindi una forma di stordimento, lo stupefacente vino o cocaina, o la stupefacente religione, che giovi a farci deviare l'attenzione da essa e a farci riporre, in un modo o nell'altro, fuori di essa, il fondamento d'ogni nostra possibile contentezza.

La vita non è se non la corsa verso un abisso, senz'ancora che possa trattenere, senza alcuna seria speranza di trovare nel fondo di esso qualsiasi forma di salvezza, senza che nulla valga la pena di fare, poiché tutto si cancella e si distrugge. Puro e semplice precipitare in un vuoto.

Ogni religione è dimostrata falsa dalla stessa religione; cioè o dalla religione successiva o da altre contemporanee. Tutte dunque sono false.

Occorre limitarsi a sorridere bonariamente della superstizione saldamente regnante che c'è, senza indignarsi né sforzarsi di combatterla, consci che ciò sarebbe inutile, perché la vita dell'umanità non ha mai dato altro spettacolo che questo: una ridicola superstizione dall'immensa maggioranza ravvisata con assoluta certezza e ardente intolleranza come l'evidente realtà.

Perché il precetto così prominente in tutte le religioni, in tutte le legislazioni, in tutte le morali (e nell'istinto) «non uccidere», se fosse vero che questa vita è l'effimero passaggio ad un'altra vita eterna, e se non si avesse invece il sicuro senso che questa vita è tutto e che la distruzione di essa è la distruzione di tutto?

Questo non disse S. Francesco. O tu, che, in varie forme, dalla nascita in poi, mi fosti presso ogni giorno e mi starai vicino sino alla morte, compagno più fedele d'ogni altro, l'unico che io possa sicuramente contare di ritrovare sempre al mio lato, il solo che mi dà l'assoluta certezza di mai abbandonarmi e tradirmi, fratello Dolore!

Sei annoiato degli avvenimenti della vita, sempre gli stessi? Vuoi una novità? Una vera novità? Di tutto hai fatto l'esperimento, tutto più o meno conosci. Una sola cosa v'è di cui non hai alcuna idea come di cosa veramente vissuta ed esperimentata, che nella tua vita non hai mai provato, che non riesci nei particolari nemmeno ad immaginare. Questa sarà la genuina, la grande novità, il fatto veramente e sostanzialmente diverso da tutti gli altri che ti sono accaduti, l'avventura straordinaria, nulla di simile alla quale hai mai conosciuto. Non senti mai la curiosità di sapere come sarà? Cos'è? La morte.

Frammenti d'una filosofia dell'errore e del dolore, del male e della morte
1937

Contro Spinoza, Fichte, Aristotele, contro tutti gli allucinati dalla fissazione intellettualistica che la vita di pensiero dia la felicità, ha ragione l'Ecclesiaste (1, 18): "chi accresce la scienza, accresce il dolore".

Filosofo e farmacista. Un filosofo maturo ed esperto a chi gli chiede consiglio sui libri di filosofia da studiare, dovrebbe rispondere: che filosofia vuoi? Perché io so già che tu ne vuoi una: ossia che tu vuoi una dottrina filosofica che ti dimostri ciò che previamente e già sin d'ora credi e vuoi credere. Che vuoi adunque? Dio o gli atomi? La libertà o il determinismo? Dimmelo. Io ho qui nella mia farmacia i barattoli che contengono ciascuna di queste cose. Ti posso dare dell'una o dell'altra a seconda dei tuoi desideri o bisogni.

Hai disgrazie d'ogni sorta, economiche, pubbliche, familiari, ecc.? Non crucciartene! Anche quando tutte le tue disgrazie fossero tolte e sciolte tutte le difficoltà e i problemi ad esse inerenti, ti resta l'altra disgrazia ineliminabile, l'altra difficoltà insolubile, la morte. Questa è la disgrazia totale e finale, a cui, anche risolte e tolte tutte le altre, dài di cozzo in modo irreparabile. Perché angustiarti di quelle e cercar di levartele di dosso? Che cosa, riuscendovi, avresti ottenuto, poiché ti rimane questa? Se riuscissi a liberarti di quelle, non otterresti che di far giganteggiare questa. La presenza di quelle ti serve perché getta su questa un velo.

Il sepolcro e il tempo seppelliscono ugualmente sotto una sabbia uniforme la cortigiana e la santa, il martire e il carnefice, il tiranno e la sua vittima. Tutto è indifferente. Vedute le cose con questa latitudine di sguardo, virtù o vizio, santità o brutalità, tutte del pari insignificanti sciocchezzuole umane, si equivalgono: tutto è uguale; tutto è uguagliato nell'annullamento, tutto è ugualmente senza importanza e nullo.

"L'essere", questo è ciò che senz'altro è per sé stesso il male e il delitto. Esso non può reggersi se non mediante l'uccisione, la distruzione, l'incorporazione di altro essere, cioè di altri esseri (il nutrirsi, il nascere). Giusto è perciò morire, la morte è la giusta e meritata pena inflitta a quel delitto che è l'essere e nello stesso tempo è l'uscita da esso, cioè, la liberazione e la purgazione da esso. il vero e unico Σοτήρ, la vera e unica Σοτήρία.

L'importanza della tua vita non è quale la vedi e la senti tu, ma quale la vede e la sente l'altro. Questo dell'altro infatti è il giudizio obbiettivo, spassionato, svincolato dalla visuale interessata soggettiva. – Sei insegnante? Hai un metro eccellente per giudicare il valore della tua vita e della vita umana in generale. Il tuo studente che sorriderà con soddisfazione perché la tua morte gli procurerà un giorno di vacanza, e che ventiquattr'ore dopo se n'è già dimenticato: questa è la veduta dell'Altro, la veduta obbiettiva, dunque veramente la valutazione esatta di che cosa sia e che cosa conti la tua vita.

Le credenze e le preoccupazioni morali e religiose rovinano irreparabilmente la concezione filosofica e la conoscenza della realtà. Dal momento che tu vuoi che le cose siano (religione) o debbano essere (morale) in un certo modo, non riesci più a vedere come effettivamente sono.

La vecchiaia non è altro che il crescere del bisogno del riposo, e la morte il suo diventare continuo, permanente, assoluto.

Più vera dell'affermazione socratica che piacere e dolore sono attaccati a un unico capo, è quella che lo sono infelicità e speranza. Lo sono perché la speranza è la List della natura, o la «funzione fabulistica» che, nell'economia della vita, serve a tener testa all'effetto micidiale dell'infelicità, della sfortuna, del dolore e quindi a questi si accompagna, in uguale misura di essi, come al veleno il contravveleno.

Quando si riflette che il mondo è costruito in guisa che gli esseri viventi, tanto animali quanto vegetali […] non possono persistere nell'esistenza se non nutrendosi gli uni degli altri, cioè uccidendosi a vicenda; quando si scorge da ciò che quindi il mondo è costruito sulla necessità di farsi male, sulla necessità del male; quando si pensa che da questo carattere dell'Essere totale deriva inevitabile a quella parte di esso che è l'umanità un'esistenza del pari necessariamente fondata sulla gara, sulla concorrenza, sulla lotta, sulla rivalità reciproca, e spesso sulla guerra vera e propria; bisogna concludere che, se si vuol parlare di Dio, colui che ne ha dato la più esatta definizione è il Leopardi:  ...il brutto / Poter che, ascoso, a comun danno impera.

Quando si vede avvicinarsi la fine della vita, il pensiero «afferriamo senza scrupolo i godimenti, non moriamo senza aver provato anche questo», è, se non si crede nella vita futura (e chi vi crede sul serio, cioè così come crede alla vita presente?), insopprimibile.

Rendere la medesima cosa disprezzabile o rispettabile e nobile chiamandola con una parola diversa: questa è la potenza della parola. E perciò chi è padrone delle parole è padrone delle cose.

Talvolta si vorrebbe poter sputare fuori la propria vita come un boccone troppo disgustoso; o scrollarla giù dalle spalle come un carico troppo pesante; o stracciarla e gettarla nel cestino come un romanzo che annoia o non piace o disgusta.

Viviamo sotto strati di dolore, uno soggiacente all'altro e che per la presenza di quest'altro non viene percepito, ma che è pronto a far sentire la sua punta non appena quest'altro scompare.

Vuoi la pace? L'hai, ma con la morte. Vuoi la "vita" (cioè l'agitazione e la passionalità vitale)? L'hai, ma con l'irrequietezza, la fluttuazione continua tra mancanza e sazietà, tra contento e malcontento, tra gioia e dolore: l'hai, cioè, col tormento. La pace è la morte. La vita è il tormento.

Lettere spirituali
1943 (postumo)

Anche di fronte alle persone che più amiamo l'ego più intimo non ha finestre. Né esso si dà totalmente all'altro, né l'altro si dà ad esso, lo penetra, vi si confonde. 

Che cos'è il tuo io? Quel gruppo di interessi e moventi di cui è riempito. Interessi economici, ricchezza, coltivazione, scienza, arti, fama. Sopravviene la morte. Tutto ciò, ossia tutto il tuo io, sfuma, come la fiamma d'una candela soffiata, come una bolla di sapone bucata.

Ciascuno ha un mondo esclusivamente suo. Quello che è per davvero il suo mondo è suo soltanto.

Credere che la propria vita spirituale possa totalmente e permanentemente fondersi con quella di un altro (amico, amante, moglie, figlio) è una delle grande illusioni da cui alla fine ci si risveglia. Il nostro vero e proprio fondo è incomunicabile, impartecipabile. 

Dovere di conformismo: non separarsi dalla coscienza della nazione o dell'umanità, contribuire a realizzare l'unità di coscienza umana. Dovere di non conformismo: seguire unicamente i dettami della propria coscienza, contro qualsiasi pregiudizio od errore della moltitudine, e a costo di patimenti e di morte.

Il nostro fondamentale egoismo, il fatto che noi amiamo più noi stessi che qualunque altra persona, padre, madre, figli, il fatto che l'universo è per ognuno di noi il nostro io e che in fondo quando c'è questo c'è tutto e ci basta, è mostrato dalla rarità del suicidio per la morte di persone «amate». Ci consoliamo della morte di tutti, tanto è vero che continuiamo a vivere. Se veramente non ci consolassimo, se non amassimo ancora di più noi stessi, alla morte delle persone amate non vorremmo più vivere. Ama solo chi attesta il suo amore non volendo sopravvivere – chi si suicida.

Il ragazzo che giuoca considera il giuoco come una cosa seria e vi dedica una seria attività (tanto che se ne accalora e spesso litiga e scambia busse) sempre nell'istesso tempo avendo presente l'avvertimento che non si tratta d'una realtà sostanziale e che il mondo del giuoco non è il mondo della vita vera. Questa è la soluzione. Bisogna per tutta la vita aver qualcosa di analogo a quel che è giuoco per i ragazzi: qualcosa che ci interessi come una cosa seria a cui dedicare una seria attività, e che nell'istesso tempo ci lasci l'avvertimento che non è nulla di essenzialmente importante.

Il riposo completo su di una sedia a sdraio, quando tutte le membra e tutte le fibre sono così completamente rilasciate che non si sentono più, è una cosa eterea. Il corpo diviene d'una leggerezza che confina con l'impressione della sua scomparsa, e non resta veramente altra sensazione, e anche solo appena vaga e accennata, che quella puntuale dell'esistenza senza rapporti col prima, col poi, col fuori. Sarebbe questa una premonizione della dolcezza della morte?

Il sentimento religioso veramente grande zampilla dalla distruzione dell'egoismo e solo quando questo è interamente distrutto. E quando lo è? Quando è diventata intima e profonda la convinzione che l'io è nulla. 

L'uomo onesto si trattiene dall'usare influenza intellettuale o morale sui giovani, anche quando, essendo investito d'autorità o avendo altrimenti ascendente su di essi, lo potrebbe. Poiché, mediante l'esercizio di tale influenza essi si infiammano per le sue idee, le abbracciano come vere, le credono. Con ciò egli sa di compiere un falso, poiché egli scorge bene, ciò che essi ancora non scorgono, quanto in quelle sue idee vi sia d'incerto. Poiché sa quanto la verità delle sue idee sia dubbia, chi esercita sui giovani influenza intellettuale od etica è un falsario e un immorale.

La rivelazione stoica, la rivelazione buddhista, la rivelazione cristiana dicono assolutamente, nella loro essenza, la stessa cosa: rinuncia al mondo, regno dello spirito – mondo: vanità, insussistenza, apparenza, male; vera realtà: spirito, valori spirituali. Trovar differenza tra le tre rivelazioni – mentre questo ne è il punto centrale comune – è sottigliezza da erudito o puntigliosità partigiana.

La sincerità è la più raffinata ipocrisia.

Non è soltanto vero che l'uomo muore sempre solo, perché nessuno lo accompagna, né lo può accompagnare, nella morte. Ma vero è altresì che, anche nella vita, l'uomo è in ciò che ha di più suo sempre solo con sé stesso, sempre solo. 

Ogni passione, buona o cattiva, se appena si comincia a contentarla, finisce col diventare una valanga divoratrice.

Più si acquista la consuetudine del pensiero filosofico, e più si tocca con mano che il filosofo è artista. Non già uno che sa, ma uno che guarda. Non uno che sa: che conosce tutte le soluzioni che si sono date ad un problema, che è al corrente della «fase attuale» della logica o dell'estetica o della dottrina della conoscenza, e delle varie tappe che vi hanno messo capo. Ma uno che guarda: che, cioè, come l'artista, ha una certa sua visione personale delle cose e le esprime nel modo in cui le vede. Così, egli fa, al pari del poeta, nei trattati i suoi poemi, nei saggi o nei «frammenti» le sue liriche.

Prova del nostro fondamentale egoismo è la seguente. Osserva bene, perché, veramente e soprattutto, ti colpisca, ti abbatta, ti renda triste, la notizia della morte d'una persona conoscente o amica. Se guardi attentamente fino in fondo di te stesso, scoprirai che per tre quarti l'impressione dolorosa che ne ricevi, ciò che «ti serra il cuore», deriva dal fatto che quella morte ti ridà ancora una volta, in un momento forse in cui non ci pensavi, il ricordo ed il monito che morirai anche tu. Ciò che principalmente ti affligge nella morte altrui è la rinnovata visione della certezza della tua.

Vuoi liberarti d'un tratto dalle molestie che oggi ti affliggono? Riesci a pensarle oggi con la stessa mente con cui le penserai tra vent'anni; ossia con la mente con cui pensi oggi le molestie che ti hanno afflitto venti anni fa.

Libro di Rensi consigliato da Aforismario
Libro di Giuseppe Rensi
Cicute
Dal diario di un filosofo 
Editore La Mandragora Editrice, 1998

Quando lo scetticismo raggiunge il culmine della sua potenza e fa sentire l'inutilità anche del parlare, un filosofo non può che disseminare il suo pensiero in una molteplicità di rivoli espressivi. Il titolo delle Cicute, collezione di pensieri tratti "dal diario d'un filosofo", lascia sospeso il lettore che vi si addentri. Il velenoso lattice vegetale potrebbe essere quello socraticamente bevuto da colui che viene sacrificato al "bene" di turno, ma potrebbe anche essere quello che il filosofo, mediante le fugaci punture espressive, inietta in colui che legge. Assieme a una buona dose di critica al Dio cristiano, al liberalismo e al sistema di autorità. Le Cicute sono una collezione di pensieri che mettono a nudo l’acuminato spirito scettico dell’autore.

Note
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