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Frasi di Giacomo Leopardi dalle Operette Morali

Selezione di frasi e citazioni di Giacomo Leopardi (Recanati 1798 - Napoli 1837) tratte dalle Operette morali (1827-1834), e in particolare da: Dialogo di Malambruno e Farfarello, Dialogo della Natura e di un'Anima, Dialogo di un fisico e di un metafisico, Dialogo di Torquato Tasso e del suo Genio Familiare, Dialogo della Natura e di un Islandese, Il Parini ovvero della Gloria, Detti memorabili di Filippo Ottonieri, Cantico del Gallo Silvestre, Dialogo di Plotino e di Porfirio, Dialogo di Tristano e di un Amico.
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Ritratto di Giacomo Leopardi
La vita debb’essere viva, cioè vera vita; o la morte la supera incomparabilmente di pregio.
(Giacomo Leopardi)

Dialogo di Malambruno e Farfarello

Assolutamente parlando, il non vivere è sempre meglio del vivere.

Dialogo della Natura e di un'Anima

Tutti gli uomini per necessità nascono e vivono infelici.

Nell’universale miseria della condizione umana, e nell’infinita vanità di ogni suo diletto e vantaggio, la gloria è giudicata dalla miglior parte degli uomini il maggior bene che sia concesso ai mortali, e il più degno oggetto che questi possano proporre alle cure e alle azioni loro.

Dialogo di un fisico e di un metafisico

Se la vita non è felice, che fino a ora non è stata, meglio ci torna averla breve che lunga.

L’uomo non desidera e non ama se non la felicità propria. Però non ama la vita, se non in quanto la reputa instrumento o subbietto di essa felicità. In modo che propriamente viene ad amare questa e non quella, ancorché spessissimo attribuisca all’una l’amore che porta all’altra.

La vita debb’essere viva, cioè vera vita; o la morte la supera incomparabilmente di pregio.

Dialogo di Torquato Tasso e del suo Genio Familiare
Selezione Aforismario

A me pare che la noia sia della natura dell’aria: la quale riempie tutti gli spazi interposti alle altre cose materiali, e tutti i vani contenuti in ciascuna di loro; e donde un corpo si parte, e altro non gli sottentra, quivi ella succede immediatamente. Così tutti gl’intervalli della vita umana frapposti ai piaceri e ai dispiaceri, sono occupati dalla noia.

Che rimedio potrebbe giovare contro la noia? Il sonno, l’oppio, e il dolore. E questo è il più potente di tutti: perché l’uomo mentre patisce, non si annoia per niuna maniera.

Dal vero al sognato, non corre altra differenza, se non che questo può qualche volta essere molto più bello e più dolce, che quello non può mai.

Il piacere è un subbietto speculativo, e non reale; un desiderio, non un fatto; un sentimento che l'uomo concepisce col pensiero, e non prova; o per dir meglio, un concetto, e non un sentimento.

Il piacere è sempre o passato o futuro, e non mai presente.

La vita umana, per modo di dire, e composta e intessuta, parte di dolore, parte di noia; dall'una delle quali passioni non ha riposo se non cadendo nell'altra.

Per la noia non credo si debba intendere altro che il desiderio puro della felicità; non soddisfatto dal piacere, e non offeso apertamente dal dispiacere.

Dialogo della Natura e di un Islandese

La vita di quest'universo è un perpetuo circuito di produzione e distruzione, collegate ambedue tra sé di maniera, che ciascheduna serve continuamente all'altra, ed alla conservazione del mondo; il quale sempre che cessasse o l'una o l'altra di loro, verrebbe parimente in dissoluzione. Per tanto risulterebbe in suo danno se fosse in lui cosa alcuna libera da patimento.

Il Parini ovvero della Gloria
Selezione Aforismario

Più di uno scrittore, non solo in vita, ma eziandio dopo la morte, è frodato al tutto dell'onore che se gli dee. Perché, vissuto senza fama per l'odio o l'invidia altrui, morto si rimane nell'oscurità per dimenticanza; potendo difficilmente avvenire che la gloria d'alcuno nasca o risorga in tempo che, fuori delle carte per sé immobili e mute, nessuna cosa ne ha cura.

A conoscere perfettamente i pregi di un'opera perfetta o vicina alla perfezione, e capace veramente dell'immortalità, non basta essere assuefatto a scrivere, ma bisogna saperlo fare quasi così perfettamente come lo scrittore medesimo che hassi a giudicare.

La moltitudine dei lettori, non solo nei secoli di giudizio falso e corrotto, ma in quelli ancora di sane e ben temperate lettere, è molto più dilettata dalle bellezze grosse e patenti, che dalle delicate e riposte; più dall'ardire che dalla verecondia; spesso eziandio dall'apparente più che dal sostanziale; e per l'ordinario più dal mediocre che dall'ottimo.

Io reputo che la fama degli scrittori ottimi soglia essere effetto del caso più che dei meriti loro.

Gli scritti più vicini alla perfezione, hanno questa proprietà, che ordinariamente alla seconda lettura piacciono più che alla prima. Il contrario avviene in molti libri composti con arte e diligenza non più che mediocre, ma non privi però di un qual si sia pregio estrinseco ed apparente; i quali, riletti che sieno, cadono dall'opinione che l'uomo ne avea conceputo alla prima lettura.

Oramai l'affaticarsi di scrivere perfettamente, è quasi inutile alla fama. Ma da altra parte, i libri composti, come sono quasi tutti i moderni, frettolosamente, e rimoti da qualunque perfezione; ancorché sieno celebrati per qualche tempo, non possono mancar di perire in breve: come si vede continuamente nell'effetto.

Chi non sa che quasi tutti i piaceri vengono più dalla nostra immaginativa, che dalle proprie qualità delle cose piacevoli?

La condizione dell'uomo non è capace di alcun godimento notabile, che non consista sopra tutto nella speranza, la cui forza è tale, che moltissime occupazioni prive per sé di ogni piacere, ed eziandio stucchevoli o faticose, aggiuntavi la speranza di qualche frutto, riescono gratissime e giocondissime.

Spesse volte le più stupende opere filosofiche sono anche imputate di oscurità, non per colpa degli scrittori, ma per la profondità o la novità dei sentimenti da un lato, e dall'altro l'oscurità dell'intelletto di chi non li potrebbe comprendere in nessun modo.

La condizione degli uomini disusatamente superiori di sapienza alla propria età, non è molto diversa da quella dei letterati e dotti che vivono in città o province vacue di studi: perocché né questi [...] da' lor cittadini o provinciali, né quelli da' contemporanei, sono tenuti in quel conto che meriterebbero; anzi spessissime volte sono vilipesi, per la diversità della vita o delle opinioni loro da quelle degli altri, e per la comune insufficienza a conoscere il pregio delle loro facoltà ed opere.

La gloria degli scrittori, non solo, come tutti i beni degli uomini, riesce più grata da lungi che da vicino, ma non è mai, si può dire, presente a chi la possiede, e non si ritrova in nessun luogo.

Quelli che sono desiderosi di gloria, ottenutala pure in vita, si pascono principalmente di quella che sperano possedere dopo la morte, nel modo stesso che niuno è così felice oggi, che disprezzando la vana felicità presente, non si conforti col pensiero di quella parimente vana, che egli si promette nell'avvenire.

Gli scrittori grandi, incapaci, per natura o per abito, di molti piaceri umani; privi di altri molti per volontà; non di rado negletti nel consorzio degli uomini, se non forse dai pochi che seguono i medesimi studi; hanno per destino di condurre una vita simile alla morte, e vivere, se pur l'ottengono, dopo sepolti.

Detti memorabili di Filippo Ottonieri
Selezione Aforismario

I libri per necessità sono come quelle persone che stando cogli altri, parlano sempre esse, e non ascoltano mai. Per tanto è di bisogno che il libro dica molto buone e belle cose, e dicale molto bene; acciocché dai lettori gli sia perdonato quel parlar sempre. Altrimenti è forza che così venga in odio qualunque libro, come ogni parlatore insaziabile.

I diletti più veri che abbia la nostra vita, sono quelli che nascono dalle immaginazioni false

I fanciulli trovano il tutto anche nel niente, gli uomini il niente nel tutto.

Eccetto il tempo del dolore, come eziandio del timore, io per me crederei che i peggiori momenti fossero quelli del piacere: perché la speranza e la rimembranza di questi momenti, le quali occupano il resto della vita, sono cose migliori e più dolci assai degli stessi diletti.

Ognuno di noi, da che viene al mondo, è come uno che si corica in un letto duro e disagiato: dove subito posto, sentendosi stare incomodamente, comincia a rivolgersi sull’uno e sull’altro fianco, e mutar luogo e giacitura a ogni poco; e dura così tutta la notte, sempre sperando di poter prendere alla fine un poco di sonno, e alcune volte credendo essere in punto di addormentarsi; finché venuta l’ora, senza essersi mai riposato, si leva.

Niuno stato è così misero, il quale non possa peggiorare; e nessun mortale, per infelicissimo che sia, può consolarsi né vantarsi, dicendo essere in tanta infelicità, che ella non comporti accrescimento.

Ancorché la speranza non abbia termine, i beni degli uomini sono terminati; anzi a un di presso il ricco e il povero, il signore e il servo, se noi compensiamo le qualità del loro stato colle assuefazioni e coi desiderii loro, si trovano avere generalmente una stessa quantità di bene.

Nessuno stato è felice. Non meno i sudditi che i principi, non meno i poveri che i ricchi, non meno i deboli che i potenti, se fossero felici, sarebbero contentissimi della loro sorte, e non avrebbero invidia all’altrui: perocché gli uomini non sono più incontentabili, che sia qualunque altro genere: ma non si possono appagare se non della felicità. Ora, essendo sempre infelici, che maraviglia è che non sieno mai contenti?

Laddove la maggior parte degli uomini non hanno in verità che sperare alcuno aumento della quantità di bene che posseggono; a niuno mai nello spazio di questa vita, può mancar materia non vana di timore: e se la fortuna presto si riduce in grado, che ella veramente non ha virtù di beneficarci da vantaggio, non perde però in alcun tempo la facoltà di offenderci con danni nuovi e tali da vincere e rompere la stessa fermezza della disperazione.

Cantico del Gallo Silvestre

Certo l'ultima causa dell'essere non è la felicità; perocché niuna cosa è felice. Vero e che le creature animate si propongono questo fine in ciascuna opera loro; ma da niuna l'ottengono: e in tutta la loro vita, ingegnandosi, adoperandosi e penando sempre, non patiscono veramente per altro, e non si affaticano, se non per giungere a questo solo intento della natura, che è la morte.

Dialogo di Plotino e di Porfirio

Nessuna cosa è più ragionevole che la noia. I piaceri sono tutti vani. Il dolore stesso, parlo di quel dell'animo, per lo più è vano: perché se tu guardi alla causa ed alla materia, a considerarla bene, ella è di poca realtà o di nessuna. Il simile dico del timore; il simile della speranza. Solo la noia, la qual nasce sempre dalla vanità delle cose, non è mai vanità, non inganno; mai non è fondata in sul falso. E si può dire che, essendo tutto l'altro vano, alla noia riducasi, e in lei consista, quanto la vita degli uomini ha di sostanzievole e di reale.

La vita è cosa di tanto piccolo rilievo, che l'uomo, in quanto a sé, non dovrebbe esser molto sollecito né di ritenerla né di lasciarla.

Dialogo di un Venditore d'almanacchi e di un Passeggere

Quella vita ch'è una cosa bella, non è la vita che si conosce, ma quella che non si conosce; non la vita passata, ma la futura. Coll'anno nuovo, il caso incomincerà a trattar bene voi e me e tutti gli altri, e si principierà la vita felice. Non è vero?

Dialogo di Tristano e di un Amico
Selezione Aforismario

I mariti, se vogliono viver tranquilli, è necessario che credano le mogli fedeli, ciascuno la sua; e così fanno; anche quando la metà del mondo sa che il vero e tutt'altro.

Chi vuole o dee vivere in un paese, conviene che lo creda uno dei migliori della terra abitabile; e lo crede tale. Gli uomini universalmente, volendo vivere, conviene che credano la vita bella e pregevole; e tale la credono; e si adirano contro chi pensa altrimenti.

Il genere umano crede sempre, non il vero, ma quello che è, o pare che sia, più a proposito suo.

Il genere umano, che ha creduto e crederà tante scempiataggini, non crederà mai né di non saper nulla, né di non essere nulla, né di non aver nulla a sperare.

Calpesto la vigliaccheria degli uomini, rifiuto ogni consolazione e ogn'inganno puerile, ed ho il coraggio di sostenere la privazione di ogni speranza, mirare intrepidamente il deserto della vita, non dissimularmi nessuna parte dell'infelicità umana, ed accettare tutte le conseguenze di una filosofia dolorosa, ma vera.

La magnanimità, il coraggio, le passioni, la potenza di fare, la potenza di godere, tutto ciò che fa nobile e viva la vita, dipende dal vigore del corpo, e senza quello non ha luogo. Uno che sia debole di corpo, non è uomo, ma bambino; anzi peggio; perché la sua sorte è di stare a vedere gli altri che vivono, ed esso al più chiacchierare, ma la vita non è per lui.

I libri specialmente, che ora per lo più si scrivono in minor tempo che non ne bisogna a leggerli, vedete bene che, siccome costano quel che vagliono, così durano a proporzione di quel che costano.

Note
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