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Frasi e citazioni di Dietrich Bonhoeffer

Selezione di aforismi, frasi e citazioni di Dietrich Bonhoeffer (Breslavia 1906 - Flossenbürg 1945), teologo luterano tedesco, protagonista della resistenza al Nazismo.
Sigismund Payne Best, un ufficiale del servizio segreto britannico, ha detto: "Bonhoeffer era tutto umiltà e dolcezza; sembrava sempre diffondere un'atmosfera di felicità, di gioia in ogni più piccolo evento della vita, e di profonda gratitudine per il solo fatto di essere vivo. C'era qualcosa che somigliava al cane nello sguardo di fedeltà nei suoi occhi e nella sua gioia se gli dimostravamo che ci piaceva. Era uno dei pochissimi uomini che abbia mai incontrato per i quali Dio era reale e sempre vicino".
Dio non esaudisce tutti i nostri desideri,
ma tutte le sue promesse. (Dietrich Bonhoeffer)
Sequela
Nachfolge, 1937

Grazia e azione devono restare unite. Non c'è fede senza opera buona, come non c'è opera buona senza fede. 

Grazia a buon prezzo è annunzio del perdono senza pentimento.

La grazia a buon prezzo è il nemico mortale della nostra Chiesa.

La grazia è a caro prezzo soprattutto perché è costata molto a Dio.

Resistenza e resa
Widerstand und Ergebung, 1951 (postumo) - Selezione Aforismario

La giustizia immanente della storia premia e punisce soltanto l’azione, l’eterna giustizia di Dio esamina e giudica i cuori.

Che il Male si manifesti sotto l’aspetto della luce, del benvolere, dello storicamente necessario, del socialmente giusto, è un fatto semplicemente disorientante per chi viene dal nostro mondo tradizionale di concezioni etiche; per il cristiano, che vive della Bibbia, ciò è proprio la conferma dell’abissale malvagità del Male.

Chi resiste? Soltanto colui che non ha come ultima istanza la propria ragione, il proprio principio, la propria coscienza, la propria libertà, la propria virtù, ma è disposto a sacrificare tutto questo quando viene chiamato a un’azione responsabile e obbediente, nella fede e in un vincolo esclusivo con Dio; il responsabile, la cui vita non vuole essere che una risposta all’interrogativo e alla chiamata divini.

Dio non è un tappabuchi: non bisogna riconoscerlo soltanto al momento in cui siamo allo stremo delle risorse, ma nel pieno della vita; nella vita e non quando la morte è vicina, nella salute e nel vigore, non nella sofferenza, nell'azione e non soltanto nel peccato.

Dio non esaudisce tutti i nostri desideri, ma tutte le sue promesse.
[Nicht alle unsere Wünsche, aber alle seine Verheißungen erfüllt Gott].

Non è possibile far comparire Dio come il tappabuchi dei nostri vuoti di conoscenza; quando poi - come è inevitabile - i confini della conoscenza vengono spostati più lontano, si finisce per far retrocedere con quelli anche Dio, che viene a trovarsi in continua ritirata. Dobbiamo ritrovare Dio in quello che conosciamo, non in quello che non riusciamo a conoscere. Dio esige d’essere compreso da noi non nelle questioni irrisolte, ma in quelle risolte.

Dio è sempre più estromesso dal dominio di un mondo diventato adulto e dal dominio della nostra vita e della nostra conoscenza.

Io credo che Dio può e vuole far nascere il bene da ogni cosa, anche dalla più malvagia. Per questo egli abbisogna d’uomini che si pongano al servizio di ogni cosa per volgerla al bene.

Il nostro rapporto con Dio non è un rapporto ´religioso con l’Essere più alto, più potente, più buono: questa non è vera, autentica trascendenza; il nostro rapporto con Dio è una nuova vita nell'esistere-per-gli-altri,

Dobbiamo amare tanto Dio, nella nostra vita e in ciò che egli ci concede di bene, e dobbiamo avere una tale fiducia in lui, che quando giunge il momento - ma solo allora! - si possa andare a lui con amore, fiducia e gioia.

Dobbiamo trovare Dio in ciò che conosciamo, non in ciò che non comprendiamo; Dio vuole che constatiamo la sua presenza, non in problemi irrisolti ma in quelli risolti. Questo è vero della relazione fra Dio e la conoscenza scientifica, ma è anche vero dei più grandi problemi umani della morte, della sofferenza e della colpa. Oggi, anche per queste domande, è possibile trovare risposte umane che non tengano alcun conto di Dio.

La liberazione interna dell’uomo per una vita responsabile di fronte a Dio è l’unico reale superamento della stupidità.

Noi non siamo Cristo, ma se vogliamo essere cristiani, ciò significa che dobbiamo partecipare della larghezza di cuore del Cristo nell'azione responsabile che liberamente accetta l’ora e si sottopone al pericolo, e dobbiamo avere una autentica compassione, quella che sgorga non dall'angoscia ma dall'amore liberatore e redentore del Cristo verso tutti i sofferenti.

I cristiani stanno accanto a Dio nella sua sofferenza, ecco che cosa li distingue dai pagani.

Il nostro essere cristiani si riduce oggi a due cose: pregare e operare tra gli uomini secondo giustizia. Ogni pensiero, parola, organizzazione nelle cose del cristianesimo, dovrà rinascere da questa preghiera e da questa azione.

Non è l’atto religioso a fare il cristiano, ma la partecipazione al dolore di Dio nella vita mondana.

Un’attesa inerte e un ottuso stare a guardare non sono comportamenti cristiani. I cristiani non vengono mossi ad agire e a compatire dalle esperienze fatte sulla propria pelle, ma da quelle sul corpo dei fratelli, per amore dei quali Cristo ha sofferto.

La Chiesa è Chiesa solo se e in quanto esiste per gli altri. Per cominciare, deve donare ogni suo avere agli indigenti. I pastori devono vivere esclusivamente dei contributi volontari della comunità, eventualmente devono esercitare una professione laica.

I problemi cui bisognerebbe dare risposta sono: che significato hanno una Chiesa, una parrocchia, una predica, una liturgia, una vita cristiana in un mondo senza religione?

La Chiesa deve assolutamente uscire dalla stagnazione. Dobbiamo tornare all'aperto, al confronto e alla contestazione con il mondo. Dobbiamo persino rischiare di dire cose contestabili, purché si riesca a toccare questioni di importanza vitale.

L'atto religioso è sempre qualcosa di parziale, la fede qualcosa di totale, un atto vitale. Gesù non chiama a una nuova religione, ma alla vita.

Fede è partecipazione.

In generale ho forti dubbi quando sento parlare dei limiti umani (sono ancora un vero limite la morte stessa, se gli uomini ormai quasi non la temono più, e il peccato, se gli uomini ormai non lo capiscono più?): ho sempre l’impressione che si voglia in tal modo timidamente fare spazio a Dio; io vorrei parlare di Dio non ai confini, ma nel centro, non nella debolezza, ma nella forza, non nella morte e nella colpa, ma nella vita e nella bontà dell’uomo. Giunto ai limiti, mi pare meglio tacere, e lasciare irrisolto l’irresolubile.

Noi oggi non adoriamo più niente, nemmeno gli idoli. In questo siamo veri nichilisti.

Stiamo andando incontro a un tempo completamente non-religioso; gli uomini, cosí come ormai sono, semplicemente non possono piú essere religiosi. Anche coloro che si definiscono sinceramente “religiosi”, non lo mettono in pratica in nessun modo.

Forse a nessuno è stata risparmiata l’esperienza del tradimento. La figura di Giuda che un tempo ci era così incomprensibile, oggi non ci è quasi più estranea. L’atmosfera in cui viviamo oggi è così inquinata di diffidenza che rischiamo di restarne soffocati.

Qualsiasi ostentazione esteriore di potenza, politica o religiosa che sia, provoca l’istupidimento di una gran parte degli uomini. Sembra anzi che si tratti di una legge socio-psicologica. La potenza dell’uno richiede la stupidità degli altri.

Per il bene la stupidità è un nemico più pericoloso della malvagità. Contro il male è possibile protestare, ci si può compromettere, in caso di necessità è possibile opporsi con la forza; il male porta sempre con sé il germe dell'autodissoluzione, perché dietro di sé nell'uomo lascia almeno un senso di malessere. Ma contro la stupidità non abbiamo difese.

Qualsiasi ostentazione esteriore di potenza, politica o religiosa che sia, provoca l'istupidimento di una gran parte degli uomini. Sembra anzi che si tratti di una legge socio-psicologica. La potenza dell'uno richiede la stupidità degli altri. Il processo secondo cui ciò avviene, non è tanto quello dell'atrofia o della perdita improvvisa di determinate facoltà umane – ad esempio quelle intellettuali – ma piuttosto quello per cui, sotto la schiacciante impressione prodotta dall'ostentazione di potenza, l'uomo viene derubato della sua indipendenza interiore e rinuncia così, più o meno consapevolmente, ad assumere un atteggiamento personale davanti alle situazioni che gli si presentano.

Il fatto che lo stupido sia spesso testardo non deve ingannare sulla sua mancanza di indipendenza. Parlandogli ci si accorge addirittura che non si ha a che fare direttamente con lui, con lui personalmente, ma con slogan, motti, ecc. da cui egli è dominato.

Lo stupido, in quanto distinto dal mascalzone, è completamente soddisfatto di sé; anzi, può facilmente diventare pericoloso, poiché basta poco per renderlo aggressivo. Uno stupido deve quindi essere trattato con più cautela di un mascalzone.

La debolezza della teologia liberale sta nel fatto che concede al mondo il diritto di stabilire il posto di Cristo nel mondo; nel conflitto fra la Chiesa ed il mondo, essa ha accettato le condizioni di pace relativamente facili dettate dal mondo.

Oh, se sapessi dov'è la strada che torna indietro, la lunga strada per il paese dei bambini.

Non di geni né di cinici né di gente che disprezza gli uomini né di tattici raffinati abbiamo bisogno, ma di uomini aperti, semplici, retti. Ci sarà rimasta tanta forza di resistenza interiore contro le situazioni imposteci, ci sarà rimasta tanta spietata sincerità verso noi stessi da poter ritrovare la strada della semplicità e della rettitudine?

Poiché il tempo, per la sua irrecuperabilità, è il più prezioso dei beni di cui disponiamo, ogni volta che guardiamo indietro ci turba il pensiero del tempo perduto. Sarebbe perduto quel tempo in cui noi non avessimo vissuto da uomini, non avessimo accumulato esperienze, non avessimo imparato, fatto qualcosa, gioito e sofferto. Perduto è il tempo non riempito, vuoto. 

L’uomo prudente agisce bene e l’uomo buono prudentemente.

Quante volte noi aspettiamo dall’altro più di quello che noi stessi siamo disposti a fare!

Il pericolo di lasciarci trascinare a disprezzare l’uomo è molto grave. Sappiamo benissimo di non averne alcun diritto e che in tal modo finiremmo per porci in un rapporto quanto mai sterile con l’uomo.

Disprezzando l’uomo incorriamo proprio nell’errore maggiore dei nostri avversari. Chi disprezza un uomo non potrà mai cavarne fuori qualcosa.

Nulla di ciò che disprezziamo nell’altro ci è completamente estraneo.

Dobbiamo imparare a considerare gli uomini non tanto per quello che fanno o non fanno quanto per quello che soffrono.

L’unico rapporto fecondo con l’uomo - e in particolare con il debole - è l’amore, cioè la volontà di mantenere con lui una comunione. 

L’arroganza, che ha la sua essenza nel disprezzo di tutte le distanze umane, è un tratto tipico della plebe, così come l’intima insicurezza, il mercanteggiare i favori dell’arrogante, il fargli la corte, l’abbassarsi al livello della plebe, è la strada per diventare plebei noi stessi.

Quando si è perduta la nozione di ciò che è dovuto a noi stessi e di ciò che è dovuto agli altri, quando il senso della qualità umana scompare e non si ha più la forza di tenere le distanze, allora il caos è alle porte.

Sul piano culturale, l’esperienza qualitativa significa il ritorno dalla radio e dal giornale al libro, dalla precipitazione all’ozio e al silenzio, dalla dispersione alla concentrazione, dalla sensazione alla riflessione, dallo snobismo alla modestia, dallo squilibrio alla misura. Le quantità si disputano lo spazio, le qualità si integrano a vicenda.

Noi non siamo Cristo, ma se vogliamo essere cristiani, ciò significa che dobbiamo partecipare della larghezza di cuore del Cristo

Un’attesa inerte e un ottuso stare a guardare non sono comportamenti cristiani. I cristiani non vengono mossi ad agire e a compatire dalle esperienze fatte sulla propria pelle, ma da quelle sul corpo dei fratelli, per amore dei quali Cristo ha sofferto.

L’ottimismo come volontà di futuro non dev’essere mai disprezzato anche se porta a sbagliare cento volte: rappresenta la sanità della vita

Nella sua essenza, l’ottimismo non è un modo di vedere la situazione presente ma è un’energia vitale, una forza della speranza là dove altri si sono rassegnati: la forza di tenere alta la testa anche quando tutto sembra fallire, la forza di reggere i colpi, la forza che non lascia mai il futuro all’avversario ma lo reclama per sé.

Può darsi che il giudizio universale cominci domani; allora, e non prima, smetteremo di lavorare per un futuro migliore.
Può darsi che il giudizio universale cominci domani;
allora, e non prima, smetteremo di lavorare per un futuro migliore.
(Dietrich Bonhoeffer)
Venga il tuo regno
1969 (postumo)

È capace di credere al Regno di Dio solamente chi è in cammino, chi ama la terra e Dio insieme.

Chi fugge la terra per trovare Dio, trova solo se stesso. Chi fugge Dio per trovare la terra, non trova la terra – come terra di Dio –, ma trova l'allegro teatro di una guerra tra buoni e malvagi, pii ed empi, guerra che lui stesso scatena, trova se stesso.

Chi cerca di sfuggire alla terra non trova Dio, trova solo un altro mondo, il suo mondo, più buono, più bello, più tranquillo, un mondo ai margini, ma non il Regno di Dio, che comincia in questo mondo.

Il Regno di Dio è il regno della risurrezione in terra.

Il miracolo e l'ordine sono le due forme nelle quali si presenta il Regno di Dio in terra, nelle quali esso si scinde : il miracolo come la forza che infrange ogni ordine, e l'ordine come conservazione in vista del miracolo.

I pellegrini amano la terra che li porta – e ciò per il solo fatto che essa li porta incontro a quel paese straniero che amano più di ogni altra cosa – altrimenti non sarebbero in cammino. 

Non siate uomini ai margini della realtà, ma siate forti!

In questo sta la vera maledizione che pesa sulla terra: non che essa deve portare spine e cardi, ma che nasconde il volto di Dio, che nemmeno i solchi più profondi della terra ci rivelano il Dio nascosto.

Memoria e fedeltà
1995 (postumo)

Dio è vicino a ciò che è piccolo, ama ciò che è spezzato. Quando gli uomini dicono: «perduto», egli dice: «trovato»; quando dicono «condannato», egli dice: «salvato»; quando dicono: «abietto», Dio esclama: «beato!».

Fonte sconosciuta
Selezione Aforismario

Se sei salito a bordo del treno sbagliato, non ti serve a molto correre lungo il corridoio nella direzione opposta.

È molto facile sopravvalutare l'importanza dei nostri meriti rispetto a ciò che dobbiamo agli altri.

Nella vita quotidiana difficilmente ci rendiamo conto che riceviamo molto più di quello che diamo e che è solo con gratitudine che la vita diventa ricca.

Giudicare gli altri ci rende ciechi, mentre l'amore è illuminante.

Noi non possiamo essere onesti senza riconoscere che ci occorre vivere nel mondo etsi Deus non daretur... Davanti a Dio e con Dio noi viviamo senza l'ipotesi di Dio... Si tratta cioè di vivere davanti a Dio l'assenza di Dio.

Il senso morale di una società si misura da ciò che fa per i suoi bambini.

Ai pensatori idealistici potrà sembrare fuori luogo per un'etica Cristiana parlare prima di diritti e solo più tardi di doveri. Ma la nostra autorità non è Kant; è la Sacra Scrittura, ed è proprio per questa ragione che noi dobbiamo parlare per prima cosa dei diritti della vita naturale, cioè di ciò che è dato alla vita, e solo dopo di ciò che è richiesto alla vita.

Il senso morale di una società si misura dal  tipo di mondo che lascia ai suoi figli

Portare il peso dell'altro significa sopportare la realtà creaturale dell'altro, consentire ad essa e arrivare attraverso la sopportazione a trarne motivo di gioia.

Solo chi crede è obbediente e solo chi è obbediente crede.

A meno che non obbedisca, un uomo non può credere

Quando un pazzo lancia la sua auto sul marciapiede, io non posso, come pastore, contentarmi di sotterrare i morti e consolare le famiglie. Io devo, se mi trovo in quel posto, saltare e afferrare il conducente al suo volante

Un atto di obbedienza vale più di cento sermoni.

Si rimane sorpresi di primo acchito che nella Bibbia vi sia un libro di preghiere. La Bibbia non è infatti tutta una Parola di Dio rivolta a noi? Ora le preghiere sono parole umane, e perciò, come possono trovarsi nella Bibbia? Se la Bibbia contiene un libro di preghiere, dobbiamo dedurre che la Parola di Dio non è soltanto quella che egli vuole rivolgere a noi, ma è anche quella che egli vuole sentirsi rivolgere da noi.

Dove c'è la croce, la risurrezione è vicina. 

L'inizio dell'amore per il prossimo sta nell'imparare ad ascoltarlo. 

Sono effettivamente ciò che gli altri dicono di me? Oppure sono solamente ciò che io conosco di me stesso?

Tutta la nostra vita è un Avvento, cioè attesa dell'ultimo evento. Attesa del tempo in cui ci saranno un nuovo cielo e una nuova terra, in cui tutti gli uomini saranno fratelli ed esulteranno con le parole degli angeli: «Pace sulla terra e agli uomini di buona volontà». Imparate ad aspettare! Perché egli ha promesso che verrà: «Ecco, sto alla porta e busso». E noi lo invochiamo: «Sì, vieni presto, Signore Gesù». Amen.

Note
Vedi anche frasi e citazioni teologiche di: Hans Küng - Sergio Quinzio