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Frasi e citazioni di Telmo Pievani

Raccolta di frasi e citazioni di Telmo Pievani (Gazzaniga 1970), filosofo, accademico ed evoluzionista italiano. La maggior parte delle seguenti riflessioni sono tratte dai libri di Telmo Pievani: Homo sapiens e altre catastrofi (2002); Nati per credere (2008); Evoluti e abbandonati (2014);  Imperfezione (2019);  Serendipità (2021).
La specie umana è un’evenienza recente, fragile e sublime:
un glorioso accidente della storia. (Telmo Pievani)
Homo sapiens e altre catastrofi
© Meltemi, 2002 - Selezione Aforismario

La specie umana è un’evenienza recente, fragile e sublime: un glorioso accidente della storia. Come tutte le società e le culture che ha prodotto, essa è incompiuta e interdipendente: non può fare a meno di consegnarsi a un futuro incerto e di dipendere da una rete di relazioni culturali e biologiche che va oltre l’orizzonte delle sue conoscenze.

Noi Homo sapiens non saremmo qui se non avessimo imparato a trovare alternative che a prima vista non sembravano esistere.

Siamo un ramoscello alla periferia della biodiversità terrestre e il mondo ha funzionato per il 99,9% del suo tempo senza di noi. 

Vagheggiamo di migrare su altri pianeti o di “terraformarli”. Tuttavia, ci vorrà moltissimo tempo e la Terra rimane la sola oasi di vita che sappiamo abitare. Per ora non c’è un pianeta di ricambio e per moltissimo tempo non ci sarà.

Homo sedicente “sapiens” dovrà onorare fino in fondo l’aggettivo che Linneo gli attribuì nel 1758, altrimenti Pioneer 10, dalle sue distanze siderali, assisterà a un pessimo spettacolo sulla Terra.

Concepire Homo sapiens come una specie biologica in mezzo a tante altre, costituita da un mosaico di popolazioni geneticamente omogenee, ospite di un pianeta che ne ha viste di tutti i colori e immersa in un flusso evolutivo ricco di svolte e di sorprese, corrisponde a un esercizio di umiltà epistemologica. Significa spogliarsi per un attimo dei panni del dominatore e, nudi come mamma evoluzione ci ha fatti, indossare gli occhiali del tempo profondo.

Creazione senza Dio
© Einaudi, 2006

Darwin ci ha consegnalo una possibilità radicale: quella di concepire le origini della specie umana in termini esclusivamente naturali e con gli strumenti della scienza, prescindendo completamente da cause trascendenti o finalistiche.

La possibilità laica del naturalismo: pensare la specie umana come un’innovazione storica nella famiglia dei primati, come il frutto di un’evoluzione biologica e culturale unica ma non trascendente, e proprio per questo capace di assumersi le proprie responsabilità e di darsi regole etiche e sociali di convivenza senza alcun bisogno di ricorrere a un fondamento sovrannaturale.

Nati per Credere
© Codice Edizioni, 2008 - con Vittorio Girotto e Giorgio Vallortigara - Selezione Aforismario

Posti di fronte a fenomeni incomprensibili o molto dolorosi che ci sovrastavano, come la morte di un familiare o di un compagno, abbiamo cercato di spiegarli attraverso storie e agenti invisibili. In tal modo, usando, sfruttando e potenziando le competenze cognitive che avevamo a disposizione, siamo finiti per diventare delle autentiche “macchine di credenze”.

Capire che un comportamento è il frutto dell’evoluzione biologica della nostra specie non significa che sia, per questo, giusto di per sé, né che sia scolpito una volta per tutte nella pietra.

È un errore purtroppo ancora troppo diffuso quello di associare naturale a normale. Affermare che siamo nati per credere non significa offrire alcun alibi per manifestazioni di credenze irrazionali. Non significa che avere una fede religiosa sia più naturale che non averla, né rassegnarsi all’idea che l’educazione scientifica, anche precoce, debba per forza incontrare ostacoli cognitivi insormontabili.

Anche se credere non è un’attività infantile né stupida, ma centrale per il funzionamento della nostra mente, nulla esclude che possiamo farne un cattivo uso in molte occasioni, per esempio negando la validità di una teoria scientifica sulla base di argomentazioni fallaci anche se intuitivamente persuasive.

Gli esseri umani, e forse non soltanto loro, amano le spiegazioni basate sull’intenzionalità, su deduzioni di progetto e di finalità. Sembra essere una specializzazione adattativa della nostra specie, che ha sviluppato più di ogni altra un sistema di riconoscimento di agenti animati che si muovono nel contesto esterno. Credere dunque che vi sia un agente intenzionale, che abbia o meno fattezze umane, nascosto dietro la complessità della realtà potrebbe essere molto più naturale di quanto pensiamo.

Il desiderio di trovare una scorciatoia cognitiva per conciliare la scienza e le proprie credenze religiose fa proseliti.

L’appoggio psicologico offerto dalla religione è indiscutibile. Le sue virtù consolatorie sono per alcuni una sorta di elisir di lunga vita: offre una prospettiva sull’esistenza, rinfranca i più deboli, aiuta nelle decisioni, favorisce la solidarietà, almeno all’interno del gruppo dei credenti, e talvolta la resistenza ai soprusi e alle ingiustizie.

I comportamenti dispendiosi e apparentemente irrazionali dell’Homo religiosus potrebbero aver avuto un senso adattativo in tempi antichi e averlo poi perso. Sarebbero in tal caso un vestigium, un’inerzia non ancora eliminata dalla selezione, un atavismo che ci trasciniamo nonostante i suoi effetti disadattativi, come il nostro debole per le torte della nonna e per il loro eccessivo carico di zuccheri. 

La religione degli altri – o quella da cui ci si è allontanati – ci appare facilmente come una malattia, un’infermità della mente da estirpare, mentre le nostre credenze sono sicuramente benigne. Tendiamo a essere abbastanza atei rispetto agli dèi degli altri.

Evoluti e abbandonati
Sesso, politica, morale: Darwin spiega proprio tutto? © Einaudi, 2014 - Selezione Aforismario

Le anacronistiche esigenze del nostro cervello dell’età della pietra ci condizionano. Dobbiamo studiarle al piú presto se vogliamo comprendere la società contemporanea.

Pare che il cervello umano sia fermo all’età della pietra. È in ritardo. È atavico. Un residuato bellico ossessionato dal sesso. Un reduce da mille battaglie evoluzionistiche, frustrato e alcolizzato. Arranca. Non ce la fa piú. Questa anticaglia paleolitica non può sopravvivere nella palude di un social network dove tutti si piacciono, si cliccano e poi si insultano.

L’uomo è un fecondatore seriale, compulsivo – ci suggerisce ancora il nostro cervello dell’età della pietra – mentre la donna è piú riflessiva e selettiva. Il bisogno maschile di iniettare geni nelle femmine domina infatti tutta la vita, dalla pubertà alla morte.

Disperdere spermatozoi è la ragion d’essere del maschio, un impulso ancor piú forte di quello all’assassinio. Gli esemplari migliori devono riprodursi.

Le donne, da par loro, circondate da frotte di maschi ansiosi di eiaculare, scelgono con chi copulare. In base a quali criteri? Beh, alla quantità di «risorse» esibite: ricchezza, status sociale e apparente disponibilità a occuparsi della prole (verificata attraverso molteplici «prove d’amore» che escludano di essere in presenza della nota tipologia maschile «mascalzone», cioè il maschio che si accoppia e poi va a comprare le sigarette).

Poiché la selezione naturale si nutre di differenze individuali, pare che gli esseri umani tendano a essere estremamente individualisti e le ideologie che sostengono che siamo tutti uguali siano destinate al fallimento.

A uno sguardo alieno, Homo sapiens è un soggetto di studio spinoso. Meglio andarci cauti.

La documentazione fossile è come la scena del delitto per Sherlock Holmes. Pensieri, parole ed emozioni non lasciano tracce fossili dirette. E con questi dati frammentari dobbiamo raccontare una storia plausibile.

Bisogna sospettare di qualsiasi utilizzo delle «leggi di natura» come criterio normativo, perché la natura di per sé non è un’autorità morale, non sancisce normalità e devianze, e non è nemmeno una dimensione buona portatrice di armonia e saggezza.

Chi pensa che esistano «famiglie naturali» o comportamenti sessuali «pro e contro natura», non sa di cosa sta parlando. Questi storpiamenti ideologici delle idee di «natura» e di «naturalità» hanno però un enorme successo di pubblico, grazie al loro contenuto edificante e consolatorio, spaziando dal mondo religioso a quello dell’ambientalismo radicale.

Il ladro e l’assassino seguono la natura tanto quanto il filantropo. La natura è indifferente ai dolori e ai piaceri umani. Anzi, dato che la natura fomenta gli istinti piú immorali, l’etica umana deve andare in senso contrario, deve ripudiare la teoria gladiatoria dell’esistenza.

Il nocciolo della natura (compresa la natura umana) è amorale, o persino immorale; l’etica, costantemente minacciata da questo ribollire di pulsioni, è una scelta opposta al processo cosmico di lotta amorale, cioè una disobbedienza agli imperativi darwiniani. La civiltà è una forma di resistenza. 

L’evoluzione è sperimentazione, diversità, possibilità. 

Siamo una specie unica, in molti e non univoci sensi: non solo abbiamo idee astratte sull’altruismo, sulla giustizia e sulla dignità umana, ma abbiamo anche la prerogativa di essere malvagi in modo gratuito e del tutto svincolato da qualsiasi vantaggio apparente.

Se la giustificazione della moralità non proviene dall’esterno o dall’alto (in quanto trascendente e religiosa, oppure figlia di principî astratti superiori) ma dall’interno e dal basso (cioè dall’evoluzione umana, biologica e culturale), allora la religione si è innestata nella nostra spiccata socialità di gruppo e l’ha rafforzata. Non l’ha creata.

Il «mondo di ieri» non è una presenza esotica lontana: è dentro di noi e permea ancora profondamente le società industrializzate.

L’evoluzione è cambiamento, un cambiamento che rifugge dalle dicotomie facili. È continuità e innovazione, specializzazione e plasticità, risposta a pressioni esterne e costruzione di nicchie, universalità e variabilità.

L’evoluzione è possibilità, non necessità. Soprattutto, non è obbligatoriamente un perfezionamento funzionale.

Gli imperfetti prodotti della storia non sono deviazioni casuali e marginali da una logica stringente e dominante di selezione ottimale: sono proprio ciò che dobbiamo aspettarci da un’evoluzione che scaturisce dall’interazione fra adattamenti, vincoli, accidenti ambientali, inerzie storiche, correlazioni, eventi singolari.

La selezione naturale non ci ha portato fino alle soglie del Neolitico per poi abbandonarci come relitti sulle spiagge della storia. Non abbiamo mai smesso di evolvere.

Il maschio è inutile
Un saggio quasi filosofico © Rizzoli, 2014.(con Federico Taddia)

Non è più tempo di certezze. Una volta, nella mitica savana del Pleistocene, i maschi cacciatori facevano i maschi e le femmine raccoglitrici facevano le femmine, o almeno così ci hanno raccontato. Adesso è tutto più disordinato. I ruoli si invertono, si mescolano, si tramutano, si camuffano.

Il maschio è un pesante fardello per l’evoluzione e si può farne a meno. 

Il futuro evolutivo è donna. Lo si evince dalle molteplici categorie di inutilità che si addicono ai maschi contemporanei. Per esempio, in alcune specie di pesci i maschi sono diventati nani parassiti. In altri casi, il maschio si è trasformato in una vera e propria appendice, minuscola, penzolante dal corpaccione della femmina.

Il maschio si starebbe biologicamente estinguendo per conto suo e fra non molto anche le femmine di primati troveranno soluzioni alternative per far proseguire comunque l’evoluzione.

L’universo trabocca di inutilità e gli uomini rientreranno a buon titolo nella categoria del superfluo.

Imperfezione
Una storia naturale © Raffaello Cortina, 2019

Se questo è il migliore dei mondi possibili, chissà gli altri.

L’evoluzione non è perfetta, ma il frutto di compromessi instabili e precari, che per lo più funzionano ma non sempre.

La prossima volta che vi farete prendere da smanie di grandezza e di perfezione, pensate ai microbi: c’erano prima di noi, hanno trasformato chimicamente il pianeta, senza di loro non potremmo vivere, e tutto lascia pensare che continueranno a dominare la Terra anche dopo la dipartita di Homo sapiens.

Il sesso è il trucco attraverso il quale il dna a ogni generazione produce diversità e la diversità in natura è un’assicurazione sulla vita e sul futuro.

Nemmeno la monogamia è perfetta. Del resto l’evoluzione insegna che un pizzico di infedeltà fa aumentare la variabilità genetica, il che spiace dirlo ma fa bene.

L’imperfezione ci insegna a vedere le cose non solo per quello che sono, ma anche per quello che potrebbero essere. 

L’imperfezione in natura nasce spesso dall’esigenza di trovare compromessi tra interessi diversi (per esempio tra maschi e femmine) e tra spinte selettive antagoniste.

La selezione naturale non è onnipotente e non è il sostituto laico del grande progettista. Deve scendere a compromessi di volta in volta con il materiale a disposizione, che è pieno di vincoli interni e di limiti fisici.

Dove c’è perfezione non c’è storia.

Dove c’è imperfezione, c’è qualcosa che accade, un evento, un processo, un mutamento, una relazione. Al contrario la perfezione è, per definizione, compiutezza atemporale. Dove c’è perfezione, è già successo tutto. L’ingranaggio non fa gioco. Le alternative sono finite. Non rimane più nulla da narrare.

L’imperfezione è una sorgente di “evolvibilità”, cioè di capacità di evolvere, di generare novità evolutive.

L’evoluzione è cambiamento, evento, accadimento contingente, esplorazione ramificata di possibilità, non svolgimento necessario in un tempo assoluto, come vorrebbe farci credere la metafora suadente del progresso. 

Serendipità
L'inatteso nella scienza © Raffaello Cortina, 2021 - Selezione Aforismario

La serendipità non è il codino del Barone di Münchhausen che permette allo scienziato di uscire dalle sabbie mobili di un problema ostico tirandosi fuori per i propri capelli, magari aspettando che la soluzione arrivi miracolosamente in sogno come a Kekulé. Non basta vagare in modalità contemplativa esercitando intuito osservativo e retrospettivo. Non è solo osservazione casuale, né solo arguta abduzione. Non è più la curiosità frivola delle ottocentesche Notes and Queries e non è nemmeno un’eccezione nella scienza. Fa parte dei metodi scientifici in modo trasversale, emerge continuamente, sia da linee di ricerca di base sia da linee di ricerca applicata. La serendipità reca con sé un messaggio importante sulla natura della scoperta scientifica.

La nostra mancanza di informazioni onnicomprensive, anzi il nostro essere probabilmente lontanissimi dall’onniscienza, apre grandi opportunità per le scoperte serendipitose.

La realtà là fuori è così esuberante che permane sempre una sproporzione tra ciò che sappiamo e ciò che non sappiamo. Forse la serendipità mostra proprio questo, è un indizio circa le effettive dimensioni della nostra ignoranza.

Le scoperte serendipitose non sembrano diminuire con il passare del tempo. Non ci sono segni di esaurimento del conoscibile.

Note
Vedi anche frasi e citazioni di: Piero Angela - Danilo MainardiMassimo Polidoro