Frasi anarchico-individualiste di Émile Armand
Selezione di aforismi, frasi e citazioni di Émile Armand, pseudonimo di Lucien-Ernest Juin (Parigi, 1872 – Rouen, 1962), anarchico e filosofo francese, esponente della corrente individualista ed edonista, fautore dell'amore libero, del pacifismo e del naturismo.
Le seguenti riflessioni di Émile Armand sono tratte da: Piccolo manuale dell’anarchico-individualista (1911) e Iniziazione individualista anarchica (1923), tradotto in italiano col titolo Vivere l'anarchia.
Ci sono padroni solo perché ci sono schiavi, e gli dèi restano solo perché i fedeli si inginocchiano. (Émile Armand) |
Piccolo manuale dell’anarchico-individualista
Petit Manuel Anarchiste individualiste, 1911 - Selezione Aforismario
Essere un anarchico significa rifiutare l'autorità e rigettarne il corollario economico: lo sfruttamento – e rigettarlo in ogni dominio dell'attività umana.
L'anarchico desidera vivere senza dèi o padroni; senza padroni o direttori; a-legale, senza leggi e senza pregiudizi; amorale, senza obblighi e senza moralità collettiva. Egli vuole vivere liberamente, vivere la sua propria idea di vita.
Nell'intimo del suo cuore, l'anarchico è sempre asociale, insubordinato, un estraneo, marginale, un'eccezione, un disadattato.
L'anarchico desidera vivere la sua vita, il più possibile – moralmente, intellettualmente, ed economicamente – senza coinvolgersi con il resto del mondo, sfruttatori o sfruttati, senza voler dominare o sfruttare gli altri, ma pronto a rispondere con tutti i mezzi contro chi volesse interferire con la sua vita o impedirgli di esprimere il suo discorso con la penna o con la parola.
Nemici dell'anarchico sono lo Stato e tutte le sue istituzioni, che tendono a mantenere o a perpetuare il loro giogo sul singolo.
Non c'è possibilità di conciliazione tra l'anarchico e qualsiasi forma di società che poggi sull'autorità, che essa sia emanata da un'autocrazia, da un'aristocrazia, o da una democrazia.
Il compito dell'anarchico è soprattutto un lavoro di critica. L'anarchico procede, seminando rivolta contro ciò che opprime, ostacola o si oppone alla libera espansione del singolo vivente.
L'anarchico combatte, per gli stessi motivi, l'insegnamento fornito dallo Stato e quello dispensato dalla Chiesa.
Ci sono padroni solo perché ci sono schiavi e gli dèi restano solo perché i fedeli si inginocchiano.
L'anarchico pone alla base di tutte le sue concezioni di vita: l'atto individuale. Ed ecco perché egli vuole definirsi anarchico-individualista. Egli non crede che i mali sofferti dagli uomini vengano solamente dal capitalismo o dalla proprietà privata. Crede che essi siano dovuti soprattutto alla difettosa mentalità degli uomini, presi in blocco.
L'anarchico-individualista non è mai schiavo di una formula-tipo o di un testo ricevuto. Egli ammette solo opinioni. Propone solo tesi. Non impone alcun termine a se stesso.
L'anarchico-individualista non rende mai conto a nessuno tranne che a se stesso per le proprie azioni e necessità.
L'anarchico-individualista considera l'associarsi solo come espediente, un ripiego. Infatti, egli vuole associarsi solo in casi di urgenza – e sempre volontariamente. Ed egli desidera associarsi, in genere, per breve termine.
L'anarchico-individualista non decreta una fissa moralità sessuale. Sta ad ognuno determinare la propria vita sessuale, affettiva o sentimentale, cosi come per un sesso tanto per l'altro.
Iniziazione individualista anarchica
L’Initiation individualiste anarchiste, 1923 - Selezione Aforismario
L'opera maggiore, essenziale dell'individualismo consiste nello sviluppare, in tutti coloro che sono raggiunti dalla sua propaganda, l'odio, il disgusto, il disprezzo personale per la dominazione dell'uomo sull'uomo per mezzo dell'uomo,
Il movimento individualista anarchico consiste in ima attività intellettuale mirante a suscitare degli esseri capaci di assimilare, esperimentare, propagare, ciascuno a propria guisa, l'antiautoritarismo nelle varie manifestazioni dell'attività umana: etica, intellettuale, sociale, economica.
Taluni trovano che isolati, sono più forti che associati.
Gli individualisti si battono contro i dominanti, lottano contro le istituzioni autoritarie, diminuendo lembo a lembo l'imperio dell'ambiente coercitivo
Un individualista non vuol essere sfruttatore più di quanto voglia essere sfruttato.
È un crimine il forzare qualcuno ad agire diversamente da come egli crede utile, o vantaggioso, o gradevole per la propria conservazione, per il proprio sviluppo e per la propria felicità.
Gli individualisti anarchici sono avversari dello sfruttamento per le stesse ragioni che li fanno nemici della dominazione. Lo sfruttamento ripugna loro quanto l'autorità.
lo posso vivere senza autorità.
Aver compiuta la propria rivoluzione individuale, vuol dire essersi sbarazzati il più e meglio possibile delle influenze che pesavano sul proprio io ed essersi così rivelato a sé stesso.
Nessuna concessione verso ciò che origina o perpetua la dominazione, lo sfruttamento, la signoria, la violenza, l'obbligazione, l'obbedienza, la sottomissione, il conformismo ovunque e comunque si incontrino: ecco il terreno solido, la fortezza inespugnabile, entro la quale si trincerano gli individualisti.
Dal punto di vista individualista poco importa che sia l'autocrazia piuttosto che la democrazia a tenere in pugno la sferza: questa, è sempre uno strumento di tortura.
Si scorge a proprie spese che nove volte su dieci l'uomo — l'uomo medio — è lupo all'uomo e che ciò dipende meno dalla costituzione della società che dalla sua natura fondamentale di organismo destinato ad abitare il nostro pianeta.
L'uomo non è né buono, né cattivo; è il prodotto delle sue brame individuali e delle necessità della vita collettiva. Occorre prenderlo tal quale egli è; non farsene un'idea trascendentale, ma considerarlo nulla più che un incorreggibile super-bruto.
Bisogna stare in guardia, un sorriso può dissimulare un gesto traditore e una parola affabile può nascondere dell'odio.
L'immensa maggioranza degli uomini cerca di parere o di piacere, non di essere.
Desiderare essere «forti»; tendervi ostinatamente per sé e desiderare che i «suoi», quelli del «suo mondo», vi tendano egualmente: ecco ciò che implica l'Iniziazione, ecco a che invita, incita, l'iniziatore Individualista anarchico.
La rinuncia alla lotta per la vita, alla nostra lotta per conquistare e vivere la nostra vita, conduce alla rassegnazione, vale a dire ad uno stato d'animo mille volte peggiore della prigionia, che dopo tutto non è che una limitazione della attività corporale.
La vita non può essere bella da vivere se non per chi ha compiuto lo sforzo per vivere la sua vita.
Nessuno trova la vita insipida o tediosa tranne che i timorosi della vita: moraliteisti, eremiti, pietisti, bacchettoni et similia.
Limitare le passioni! Restringere l'orizzonte della gioia di vivere? Il cristianesimo lo ha tentato e non ci è riuscito. Il socialismo va tentando di ridurre l'umanità ad un medesimo comune denominatore di necessità e fallirà esso pure.
La vita è bella da vivere per chi la realizza incurante delle restrizioni imposte della rispettabilità, dalla paura di «quello che si dirà» o dei pettegolezzi delle comari. La vita è bella da vivere per l'individualista!
Vivere per vivere, per godere aspramente, profondamente, di tutto ciò che offre la vita, per sorseggiare fino all'ultima goccia la coppa di delizie e di sorprese che la vita tende a chiunque acquista coscienza del proprio essere − tutto ciò non vale forse il guazzabuglio empirico dei metafisici religiosi e laici?
Vivere per vivere, senza opprimere altrui, senza calpestare le aspirazioni o i sentimenti di chicchessia, senza dominare o sfruttare, ma da esseri liberi che resistono con ogni loro forza alla tirannia dell'Uno come all'assorbimento nelle Moltitudini.
Né capi, né gregari, né padroni, né servitori, ecco ciò che vogliono gli individualisti.
L'idea di compiacersi delle proprie sofferenze è una concezione d'origine giudaica che vuole: o che la sofferenza sia la punizione per una disubbidienza alla Legge, o che per mezzo della sofferenza si riscattino le proprie colpe o quelle degli altri. È allora il prodotto di una autosuggestione. Si può anche per morbosità trovare che la sofferenza «ha del buono». Ma noi non siamo né mistici né deboli.
Il nostro individualismo, non è un individualismo da cimitero, un individualismo di tristezza e di ombra, un individualismo di dolore e di sofferenza. Il nostro individualismo è creatore dì gioia: in noi e fuori di noi.
Vi è l'individualismo di coloro che vogliono creare la propria gioia dominando, amministrando, sfruttando i loro simili, servendosi della loro potenza sociale: governativa monetaria, monopolizzatrice. È l'individualismo dei borghesi. Esso non ha nulla di comune col nostro.
Io mi sento uno schiavo sol che accetti che chiunque all'infuori di me ponga dei limiti al mio godimento o controlli la mia percezione della vita. Mi sento un servo non appena consento che altri guidino le mie passioni.
A che pro un altro ideale? E che farne di un Gendarme mistico? Io ho una «morale» personale in cui Dio non entra per nulla. Io non ho bisogno di Dio per sussistere moralmente, o intellettualmente, o sensualmente.
Non attendendo nulla da una vita d'oltretomba, non considerando l'immortalità dell'essere che come una ipotesi irrealizzabile, gli individualisti collocano il loro paradiso e la loro felicità sulla terra, luogo della loro nascita e della loro morte.
Gli individualisti vogliono la vita passionale, ardente, che abbondi in esperienze di ogni specie, dionisiaca; non la vogliono limitata, ristretta, gretta, miserevole. Vogliono l'ebbrezza, non la tristezza della vita. Vogliono consumarsi, non arrugginire.
Assoggettarsi all'astinenza o essere schiavo dei vizi, sono gesti anti-individualisti per eccellenza, poiché entrambi Ì casi implicano una condotta da schiavi.
Negli uomini, così complessi, soprattutto in quelli dotati di una attività intellettuale pronunciata, la volontà di riprodursi geneticamente si sdoppia in quella di riprodursi intellettualmente, la quale sovente sorpassa la prima.
Nulla da aspettarsi in fatto di umanità «nuova» senza una «nuova» mentalità degli uomini.
Mai, fortunatamente, il regno dell'uniformità si estenderà sulla terra, stagnante, monotono e mortifero. Vi saranno sempre dei protestatari, dei ribelli, dei refrattari, degli isolati. Vi saranno sempre dei marginali, dei fuori legge, dei recalcitranti, dei critici, dei ragionatori, dei negatori. Vi saranno sempre degli esseri che ameranno ed odieranno vigorosamente. Vi saranno sempre dei passionali, dei non conformisti, dei perturbatori. Vi saranno sempre degli a-morali, degli a-legali, degli a-sociali. Vi saranno sempre degli antiautoritari.
L'individuo reagirà sempre contro la dittatura, l'Unico non accetterà mai la dominazione della moltitudine e l'Uomo solo non si lascerà punto assorbire dall'insieme.
Coloro che pongono la libertà al di sopra del benessere materiale non faranno mai causa comune con coloro che sono sempre pronti a sacrificare poco o molto della loro indipendenza per un piatto di lenticchie o una scodella di zuppa.
Chiunque si lascia dominare senza opporre resistenza, e chiunque aspira a dominare non saprebbe essere un individualista.
Ogni aspirazione realizzata, ogni scopo raggiunto è gravido d'insoddisfazione, di minaccia di trasformarsi in palude stagnante dalla cui melma non è più possibile liberarsi.
L'uomo che ha «ben vissuto», in altre parole, che ha realizzato la maggior somma d'esperienze compatibili con le sue capacità di percezione e di iniziativa, che ha conosciuto la maggior somma d'emozioni e di sensazioni in rapporto con la sua forza di resistenza o la sua energia di apprezzamento, quest'uomo «muore bene», sazio d'esperienze e non solamente di anni.
Un individualista è un negatore dell'autorità, un anti-autoritario che applica per e da se stesso, nella sua vita quotidiana, il metodo anti-autoritario; è un individuo che non vuole lasciarsi imporre più di quanto non voglia imporsi ad altri.
Vita intellettuale, vita artistica, vita economica, vita sessuale: gli individualisti reclamano per ciascuna di queste forme della vita la libertà di manifestarsi pienamente, secondo gli individui, nel rispetto della libertà dei singoli, al di fuori delle concezioni legalitarie e dei pregiudizi religiosi o civili.
L'individualista riconosce lealmente che le nostre tesi non sono accessibili all'uomo, alla bestia del branco, al bipede zoologico, ma soltanto al compagno, all'amico, all'essere eccezionale che ha la grande preoccupazione di superarsi, liberandosi da quel retaggio animale che ancora gli impedisce di affermarsi trionfalmente come un UNICO. Unico liberato dai pregiudizi come dagli antipregiudizi, dai conformismi come dagli anticonformismi.
In natura non è l'eguaglianza che regna come pensavano, erroneamente, gli scrittori della seconda metà del XVIII secolo. Domina, invece, la ineguaglianza. Ed è sempre così dove la libertà è padrona e sovrana. Le parole liberta ed eguaglianza, accoppiate, stonano maledettamente, ed è il caso di domandarsi se coloro che le avvicinarono nel motto repubblicano francese non abbiano per caso voluto scherzare.
La libertà ingenera necessariamente l'ineguaglianza. È solo il dispotismo che può produrre o piuttosto decretare l'eguaglianza. Per mezzo della costrizione − grazie a misure coercitive diverse − si può condurre, volenti o nolenti, degli esseri umani a subire l'eguaglianza.
Note
Leggi anche le citazioni degli anarchici francesi: Léo Campion - Émile Henry - Pierre-Joseph Proudhon
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