Frasi e citazioni di Paolo Flores d'Arcais
Selezione delle migliori frasi e citazioni di Paolo Flores d'Arcais (Cervignano del Friuli, 1944) scrittore, filosofo, pubblicista e ricercatore universitario italiano, fondatore, insieme a Giorgio Ruffolo, di MicroMega (1986), rivista di cultura, politica, scienza e filosofia,
"che si è caratterizzata per le sue posizioni di sinistra 'eretica', in polemica con i partiti della sinistra organizzata, cercando di dar voce alla 'sinistra sommersa' della società civile e alla speranza di un 'partito azionista di massa'. Ma anche come sinistra 'illuminista', contro le derive del politically correct e del disprezzo per la scienza".
Ha affermato Flores d'Arcais:
"Arrivare a una nuova convinzione razionale non è mai stato e non sarà mai per me una «sconfitta», ma un arricchimento: da quel giorno, infatti, quella sarà la mia convinzione, un mio «di più» rispetto a quello che vedevo fino al giorno prima. È stato questo il mio vissuto quando ho abbandonato la religione, o quando ho riconosciuto l’elemento di metafisica della storia che rendeva insostenibile il marxismo".
Le seguenti riflessioni di Paolo Flores d'Arcais son tratte dai libri: Etica senza fede (Einaudi, 1992), Dio esiste? (con Joseph Ratzinger, Somedia, 2005), Gesù (Add, 2011) e Il caso o la speranza? (con Vito Mancuso, Garzanti, 2013), Questione di vita e di morte (Einaudi, 2019).
In tutto il sapere sul cosmo e sull’evoluzione non c’è traccia di Dio, di senso, di immortalità. L’ateismo, almeno il mio, non è una fede ma una constatazione. (Paolo Flores d'Arcais) |
Etica senza fede
© Einaudi, 1992
Ateismo è, più semplicemente, il sobrio rifiuto di occultare la nostra ineludibile finitezza dietro l'ipostasi suprema, quale che sia il nome – o l'impronunciabile – che la fede o la filosofia vorrà darle. O dietro il mistero, il nome che diamo alle consapevolezze insopportabili.
Alienazione è il rifiuto di accettare la nostra condizione di finitezza.
Il disincanto, diffondendo la scepsi, colpisce il sostegno di certezze che religioni, filosofie e altri animismi, hanno assicurato al bisogno di rassicurazioni, identità, coesione, che ha decretato il successo della scimmia nuda.
La religione è una strategia di fuga per esorcizzare i terrori della natura, e Dio si spiega con la sofferenza della condizione umana, terremoti, inondazioni, tempeste, malattie, e l'enigma doloroso della morte.
Siamo noi a piantare e innestare il melo del bene e del male. Siamo condannati all'abisso di risponderne solo a noi stessi.
Dio esiste?
Un confronto su verità, fede, ateismo
con Joseph Ratzinger, Somedia © 2005 - Selezione Aforismario
Il credente è interessato a convertire il non credente (è interessato, nel senso più alto del termine, ovviamente). L’ateo non è assolutamente interessato a convincere il non credente della inesistenza di Dio, non ha nessun interesse a far perdere la fede a qualcuno.
Troverei ridicola e bizzarra l’idea di un impegno per “s-convertire” coloro che credono… Ci sono cose molto più appassionanti nella vita che dedicarsi a questo.
Essere atei – parola che qualcuno ritiene di cattivo gusto, ma perché non bisogna sobriamente dire quello che si è? – significa semplicemente ritenere che tutto si gioca qui, nella nostra esistenza, finita e incerta. E, quindi, che contano i valori che si scelgono in questa esistenza e la coerenza fra questi valori e i propri comportamenti.
Bisogna affermare la fede come un diritto che però è in contrasto con la ragione.
Si può vivere senza fede, la fede non è affatto necessaria per dare senso alla propria esistenza, si può dare senso alla propria esistenza in tanti modi.
Io credo che la lucidità e la consapevolezza della finitezza, del disincanto, consentano di vivere con una passione e una responsabilità accresciute le vicende quotidiane della nostra piccola e unica vita.
Credo che non esista nessuna legge naturale, che esistano tante leggi umane – le quali spesso nel corso della storia hanno dei tratti comuni, ma che non hanno mai tutti i tratti comuni – e che quindi la pretesa di identificare con una legge naturale una particolare morale, per quanto alta e nobile, porti con sé tutti i rischi di intolleranza.
La creazione è una certezza per chi crede, neanche per tutte le religioni oggi esistenti, ma, diciamo, certamente per le tre grandi religioni del Libro. Ma è semplicemente un’immaginazione, chiamiamola così, per chi non crede.
Certamente, l’idea della creazione non può essere il fondamento di una società pluralista in cui molti non credono e molti pensano che l’universo in cui noi viviamo sia nato dal famoso Big Bang e abbia avuto uno sviluppo che non era definito a priori. La scienza, per i suoi più recenti approdi, ci dice che vi è stata un’evoluzione nell’universo che non era stabilita a priori, poteva prendere altre vie.
È assurdo pretendere che un punto di vista di uno dei cristianesimi coincida con la norma naturale. È una pretesa che inevitabilmente porta a disconoscere il pluralismo.
Probabilmente non avere una fede rende molto più difficile la capacità di rinunciare all’egoismo, di sacrificarsi per gli altri.
Fino a che chi ha fede pensa che quella fede sia anche tutt’uno con la ragione, cioè che non si possa arrivare argomentando razionalmente a verità o a opinioni in conflitto, la tentazione, quando potrà, di imporsi – e di imporsi anche con la forza – ce l’avrà sempre.
Gesù
L'invenzione del Dio cristiano © Add, 2011 - Selezione Aforismario
La fede consente di dire tutto, naturalmente, come già sapeva san Paolo, che usa la parola morìa (follia, stoltezza, comunque l’opposto della «ragione» nel senso greco del termine) a proposito della fede. La ricerca storica no.
Gesù non era cristiano. Era un ebreo osservante, rimasto tale fino alla morte, che mai avrebbe immaginato di dar vita a una nuova religione e meno che mai di fondare una «Chiesa». Per rendersene conto basta leggere con attenzione e soprattutto per intero il Nuovo Testamento.
Gesù non si è mai sognato di proclamarsi il Messia, e se qualcuno degli apostoli ha ipotizzato che fosse «Cristo» (traduzione greca dell'ebraico meshiah e dell'aramaico mashiha, «unto») lo ha fulminato di anatema.
Gesù non è mai stato cristiano. Non si è mai proclamato Messia. Gesù era un profeta ebraico apocalittico itinerante, che annunciava nei villaggi della Galilea la prossima fine del mondo e l’incombente trionfo del Regno dove gli ultimi saranno i primi.
Il caso o la speranza?
Un dibattito senza diplomazia
con Vito Mancuso © Garzanti, 2013 - Selezione Aforismario
Penso avesse ragione Max Weber, che invitava chi sentisse bisogno di visioni del mondo ad «andare al cinematografo»
Penso che due logoi paralleli non facciano un dialogo ma la somma di due autismi filosofici, mentre è proprio nel dia del logos, cioè nel reciproco «mirato tentativo di demolizione» del punto di vista dell’interlocutore, che si realizza dialogo, costringendosi a prendere sul serio l’altrui critica.
La filosofia è dialogo, ininterrotto. Per Socrate era addirittura l’unico modo di pensare adeguato al cittadino libero. Dialogo non certo come diplomazia, accezione che avvilisce, ma anzi come scontro e conflitto.
Homo Sapiens preferisce ancor oggi, statisticamente parlando, il pensiero che rassicura, aspira alla conferma di ciò che già crede, e vuole assaporare il dubbio solo come innocuo e piacevole diversivo. Mentre un dia-logos vero, argomento vs argomento, de-stabilizza, s-conforta, s-consola.
La nostra specie è – evolutivamente e dunque biologicamente – nata per credere. Ha bisogno di sentirsi parte di un cosmo animato da un «senso» e orientato verso uno scopo, è la tendenza spontanea del nostro essere neuronale. Le nostre sinapsi sono naturaliter animiste. Ma la stessa materia grigia consente anche il sorgere della filosofia, che dell’animismo e di ogni fede costituisce il potenziale antidoto.
Quella esplosione di complessità che è il nostro cervello (o Spirito, se preferisci), scomparirà assai prima dei ragni e dei lombrichi, e infine, con la morte del nostro sole, l’universo continuerà per chissà quanti miliardi di anni «orbo di tanto spiro» e complessità.
Il «pianeta azzurro» su cui per caso abitiamo gira attorno a una stella che chiamiamo Sole, in una galassia a spirale che chiamiamo Via Lattea di massa solare tra i 250 e i 1000 miliardi di volte quella del nostro Sole. Che è dunque nulla, un miliardo di miliardesimo. Nulla di un nulla, oltretutto, perché la Via Lattea è a sua volta nulla, solo una degli almeno cento miliardi di galassie oggi osservabili (ci sono galassie giganti come M87 o M77 equivalenti ciascuna a diversi miliardi di miliardi di soli). Siamo dunque nulla di nulla di nulla di nulla, nessuna metafora, nemmeno lo sputo nell’oceano, potrebbe rendere la nostra cosmica irrilevanza.
Il sentimento personale, per quanto profondo e intimamente «certo», sotto il profilo della conoscenza conta esattamente zero.
La conoscenza è sempre intersoggettivamente cogente perché empiricamente controllabile, altrimenti si chiama fede.
Sono il primo a ritenere che nell’esistenza impegnarsi a «dare senso» possa essere più importante del «conoscere», trovo invece altamente immorale, oltre che illogico, il confonderli.
Nel cosmo non c’è giustizia. È un nostro bisogno (e neppure di ogni Sapiens). Chi ha avuto solo infelicità non verrà mai risarcito. Questo è l’orrore che troviamo insopportabile, ma che lascia «il tutto del cosmo» perfettamente indifferente.
Se vogliamo lasciare questo insignificante coriandolo di sputo dell’universo un po’ meno ingiusto di come lo abbiamo trovato, dedichiamo energie per l’eguaglianza, non raccontiamo «superbe fole». Proviamo a «seguir virtute e cagnoscenza»6 invece di spacciare leggende cosmiche sulla «virtute» che impregnerebbe teleologicamente «l’intero del mondo».
Ri-conoscere il non-senso dell’universo e agire per creare giustizia sono due facce indisgiungibili perché la speranza non venga sepolta nell’illusione.
Penso sia possibile argomentare razionalmente che a partire da quanto le scienze hanno accertato, e usando la logica, si possa legittimamente e positivamente affermare che Dio non esiste e meno che mai l’anima immortale.
La ragione scientifico-sperimentale non esaurisce l’ambito della ragione, ma mi sembra che siamo d’accordo sul fatto che la filosofia possa bensì «dire altro» – e in questo senso «andare oltre» – rispetto alla scienza, ma non possa contraddirla senza diventare cattiva filosofia.
Dio è perfettamente superfluo: ciò che è avvenuto con il Big Bang, le galassie, il sistema solare, la nascita della vita, l’evoluzione dai procarioti ai mammiferi, fino alla «scimmia nuda» che tutti noi siamo, contraddistinta dalla neocorteccia e dal cammino eretto, è spiegato dal sapere scientifico.
Un’ipotesi superflua è un’ipotesi inammissibile? Da quasi un millennio, grazie a un cristianissimo francescano e grandissimo pensatore, Guglielmo di Occam, sappiamo che è proprio così: ipotizzare come spiegazione un superfluo, quando abbiamo già una spiegazione sufficiente, è peccato imperdonabile contro lo spirito, quello filosofico almeno.
Il semplice incrocio di una storia del cosmo spiegabile senza Dio con il rasoio di Occam costringe la ragione ad affermare l’inesistenza di Dio.
Sappiamo perfettamente di essere delle scimmie modificate. La neocorteccia che ci distingue dalle nostre cugine scimmie nasce, come tutte le forme evolutive, da una serie di errori di trascrizione del DNA, errori di successo, in questo caso. Il frutto di questi errori consente e garantisce al nostro cervello funzioni inedite e prestazioni straordinarie rispetto al mondo animale: le chiamiamo «coscienza» o anche «libertà». Questi elementi emergenti e strabilianti restano comunque legati indissolubilmente al fatto fisico «cervello», non hanno origini misteriose e inesplicabili.
La scimmia dalla neocorteccia per sopravvivere deve creare una norma che riesca a surrogare efficacemente la perduta cogenza dell’istinto, e attraverso essa coordinare comportamenti che potrebbero altrimenti diventare catastrofici nell’incoerenza. Questa è la radice biologica dell’etica, che ovviamente non ci dice quale norma. Una qualsiasi, purché funzioni. In tutto questo non c’è alcun mistero.
Homo sapiens scomparirà ben prima di altre specie, e la terra apparterrà a scorpioni e ragni (e a batteri e virus), e dunque evolutivamente parlando la nostra specie sarà (è) «inferiore» agli aracnidi sotto il profilo del successo.
Con la morte questo cervello finisce in polvere, e in questa polvere scompaiono tutte le sue funzioni, per cui nessuna eternità è immaginabile o ipotizzabile per ciò che riassumiamo nell’endiadi coscienza-libertà, o «anima».
La scienza ci assicura che il nostro cervello è semplicemente il cervello modificato di una scimmia, e non si vede perché l’ampliamento di materia grigia «neocorteccia» dovrebbe garantire eternità alle prestazioni inedite che sussumiamo sotto la parola «coscienza» o «anima».
Oggi sono tantissimi i sapiens che di ogni trascendenza riescono a fare tranquillamente a meno. Ma storicamente è stato un fenomeno dominante.
Immagina una lotteria a cui partecipi con un biglietto ciascuno dei sei miliardi di sapiens che oggi abitano il pianeta. Anzi, che siano sei miliardi per sei miliardi, da elevare alla potenza che preferisci. La probabilità che il tuo biglietto vinca (o quello di qualsiasi altro) è praticamente eguale a zero, proprio come l’estrazione di sapiens a partire dai gas primordiali, eppure è certo, apoditticamente certo, che un biglietto vincerà. Quale che sia, guardando a ritroso potremmo dire che era «impossibile» vincesse, eppure ha vinto.
La teologia cattolica spaccia il bene come ordine e il peccato come disordine, coerentemente con la sua pretesa (razionalmente assurda) di possedere le chiavi della verità oggettiva di una morale naturale. Ma ordine/disordine diventa qui un modo di dire del tutto sconnesso dal significato che ha in termodinamica o nella teoria dell’informazione.
Tu sostieni che proprio questo deve fare la filosofia: trattare la molteplicità dei fenomeni e dei meccanismi come parte di una totalità organica animata da un fine. Io penso invece che questo non sia filosofia ma metafisica, e che oggi la metafisica sia esattamente cattiva filosofia.
La filosofia non deve limitarsi a ripetere ciò che è stato accertato dalla scienza, deve anzi avventurarsi in tutto ciò di cui la scienza in quanto scienza deve tacere (ma mai confliggendo con essa), per esempio l’etica e la politica, l’universo delle norme, del dover-essere.
L’indagine su «quale norma» e se e come la morale sia razionalmente fondabile, è discorso squisitamente filosofico su cui la scienza non ha nulla da dire, benché non pochi scienziati – spesso atei militanti – pretendano proprio di stabilire su basi scientifiche quale sia la morale giusta, l’etica «naturale», errore speculare a quello delle ipostasi metafisiche.
La realtà della contingenza nell’evoluzione della vita, accertata scientificamente e pensata filosoficamente, ci impone di riconoscere che «dare senso» è compito esistenziale di ciascuno, sempre esposto allo scacco e al fallimento, proprio perché un senso dell’essere e del nostro essere al mondo non è rinvenibile nella «cosa stessa».
Non esiste una «direzione» dell’essere dall’arché del Big Bang al telos del bene, pensare di poter semplicemente ri-conoscere un senso della realtà già iscritto nella realtà è rassicurante ma pericoloso.
In questo deserto di senso che è il cosmo preso in sé, ciascuno dovrà dare un senso alla propria esistenza, come vorrà e saprà, ma senza attribuirlo al processo evolutivo, che è cieco.
L’essere umano ha un bisogno biologico di creare una norma, ma quale essa debba essere non è scritto. E di universale non ve ne è alcuna. Uno straordinario campo aperto proprio per l’indagine filosofica.
Il senso, alla nostra esistenza con gli altri, può provare a darlo solo ciascuno di noi, nella fragilità e nell’esposizione allo scacco: un senso sempre a repentaglio, proprio perché non «si dà» come ordito del cosmo.
Questione di vita e di morte
© Einaudi, 2019 - Selezione Aforismario
Sul fine vita non ci dovrebbe essere controversia possibile. Ancor meno che sul diritto alla scelta religiosa (o irreligiosa), alla preferenza sessuale (tra adulti consenzienti, ça va sans dire), all’opinione politica. A meno di non revocare in dubbio l’eguaglianza di dignità fra concittadini.
Ciascuno sulla sua vita è sovrano, altrimenti è schiavo di qualcun altro.
Se sei libero di scegliere chi sposare e se fare figli, o farti prete o monaca, devi essere libero anche di decidere sul tuo fine vita, momento della tua vita cruciale non meno del matrimonio o della maternità/paternità. Se invece è un Potere, che sul tuo fine vita può rivendicare dominio, potrà farlo anche sul tuo matrimonio, sul numero dei tuoi figli, su quello che gli aggraderà.
Tutti dobbiamo morire. Nulla eravamo e nulla ritorneremo. La morte è l’unica certezza della vita, nella totale incertezza del quando e del come.
L’esistenza di ciascuno è unica, è quella esistenza a differenza di ogni altra. È la sua. Ontologicamente insostituibile e per questo inestimabilmente preziosa, anche se funzionalmente fungibilissima. Ogni volta che una persona muore viene meno un mondo.
Se lo Stato si arroga il potere di sottrarti la decisione sul tuo fine vita potrà domani, con la stessa logica, sottrarti la libertà sulla tua vita religiosa (o irreligiosa), sulla tua vita sessuale, e su ogni altro aspetto: perché la volontà della comunità viene prima della tua e può coartarla.
La volontà di Dio si esprime sempre per bocca di un uomo, è sempre e solo la volontà di un uomo, non piú Sapiens di te e di me.
La vita è un dono, molcisci. Come tale appartiene a chi lo riceve, allora. Un dono, sul cui uso e destinazione continuasse a decidere qualcun altro, infatti, tutto sarebbe fuorché dono.
L’eutanasia è un diritto di ciascuno. Non un dovere. Affermarlo come diritto, codificarlo come tale nella legge e anzi nella Costituzione, lascia ciascuno libero di fronte all’eutanasia, non impone nulla a nessuno. Chi vorrà porre fine a un fine vita di torture sarà libero di farlo, chi vorrà bere l’amaro calice fino all’estremo sarà altrettanto libero nella sua vocazione.
Ribellati, amico lettore, democratico lettore. Alza il tuo no! a chi parla di sacralità della vita solo per imporre a te la sua volontà, togliendo dignità alla tua vita.
Note
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