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Frasi e citazioni di Eugenio Lecaldano

Selezione di frasi e citazioni di Eugenio Lecaldano (Treviso 1940), filosofo e accademico italiano, professore emerito di Filosofia morale presso il Dipartimento di Filosofia dell'Università La Sapienza di Roma. Le seguenti riflessioni sono tratte dai libri di Lecaldano: Etica (1995); Un'etica senza Dio (2006); Prima lezione di filosofia morale (2010).
Non solo non è vero che senza Dio non può darsi l'etica,
ma anzi è solo mettendo da parte Dio che si può realmente
avere una vita morale. (Eugenio Lecaldano)
Etica
© UTET, 1995

La pretesa dell'etica − come del resto di quasi tutti i rami della riflessione filosofica − è quella di occuparsi di problemi che tutti gli uomini affrontano e incontrano nella loro vita.

La stretta connessione della riflessione etica con situazioni di conflitto e di disaccordo sembra voler suggerire che proprio all'etica in quanto tale spetta di proporre una soluzione e che quindi rientra negli obiettivi specifici dell'etica teorica prescrivere esplicitamente ciò che è bene o giusto fare in situazioni particolari.

Un'etica senza Dio
© Laterza, 2006 - Selezione Aforismario

Il legame indissolubile tra Dio e moralità umana, che tanti dubbi e interrogativi nei secoli ha suscitato nella riflessione umana, appare di nuovo saldo. Ben lungi dal segnare una fase positiva, il riproporsi di questa concezione è un segno di decadenza della nostra cultura che si arrocca su posizioni confutate, non convalidate né dall'esperienza né dalla ragione, e tantomeno dalla vita emotiva che tutti noi condividiamo in quanto appartenenti a un'unica specie.

Non solo non è vero che senza Dio non può darsi l'etica, ma anzi è solo mettendo da parte Dio che si può realmente avere una vita morale. Solo colui che è agnostico o ateo può effettivamente porre al centro della sua esistenza le richieste dell'etica, e solo colui che è senza Dio può attribuire alla morale tutta la portata e la forza che essa deve avere sia nelle scelte che riguardano la sua propria esistenza, sia in quelle che riguardano l'esistenza altrui.

L'ateismo è la cornice concettuale più favorevole all'affermarsi di una moralità.

Soltanto quando gli esseri umani hanno messo da parte – e per così dire sepolto – Dio riescono a vivere pienamente e nella giusta direzione le richieste riguardo alle loro vite che derivano dall'esigenza di essere morali e di fare ciò che è giusto, buono e doveroso.

Un'etica senza Dio non pretenderà mai di imporre con qualsiasi mezzo una pretesa verità morale a coloro che non la ritengono tale; il credere o no in Dio e in quale Dio sarà faccenda pertinente alla sfera privata.

Legare la possibilità di un'etica all'esistenza di Dio comporta in primo luogo che si sia in grado di provarne l'esistenza.

Un'etica che trova il suo fondamento in un Dio inteso come causa prima o Autore della Natura non può essere universale perché escluderebbe gli atei, mentre è evidente che se l'etica deve essere una risposta alla comune umanità di tutti noi non deve escludere nessuno.

Chi sostiene che Dio è condizione necessaria per l'etica dovrebbe dirci a quale Dio far riferimento e perché mai dovremmo privilegiare il suo Dio rispetto a quello di altre religioni.

Legare l'etica all'esistenza di un Dio rivelato comporta che essa sia possibile solo per una parte limitata dell'umanità – quella che crede esattamente nel nostro stesso Dio. I restanti saranno oggetto di un obiettivo rovinosamente anti-etico: quello di essere biasimati, emarginati, perseguitati o, nel caso migliore, costantemente sollecitati ad abbandonare la loro visione del mondo.

Derivare l'etica da Dio significa concepirla come un insieme di comandi emanati, appunto, da un'autorità, e ciò – in un certo senso – equivale a togliere valore etico alle norme morali.

«Se Dio è morto tutto è possibile». Tale formula è un sintomo: chi la esprime, infatti, non è riuscito a liberarsi dell'erronea concezione che fa dipendere l'etica dai comandi divini e, in mancanza di questo sostegno, non trova nella sua persona – abituata a una obbedienza passiva a norme imposte – alcuna risorsa per distinguere tra giusto e ingiusto.

Solo una consolidata abitudine ad accettare visioni incoerenti e assurde può consentire al credente di pacificare la sua anima ricorrendo a giustificazioni nominate come 'mistero' e 'fede'.

La domanda vera è: abbiamo davvero bisogno di Dio nel mondo?

Così come sono falliti i totalitarismi terreni nel XX secolo, possiamo sperare di mettere in moto un processo che potrà portare al fallimento dei totalitarismi religiosi: anche in questo caso il processo sarà liberatorio.

Chi intende la moralità come una serie di comandi assoluti provenienti da Dio non può accettare che le leggi dello Stato facciano valere ciò che è errato o moralmente falso. Solo la verità morale può ispirare i governanti, e quando uno Stato non è retto da questa verità si può cercare di farlo cadere con qualsiasi mezzo, anche violento.

L'atteggiamento di chi crede che la propria moralità derivi da Dio non può che essere impositivo e intollerante.

Un'etica senza Dio può riconoscere senza reticenze l'origine naturale della moralità e rintracciare le sue radici in un nucleo di sentimenti ed emozioni molto umane e terrene, piuttosto che nella sua pretesa origine divina.

L'acquisizione da parte di ciascuno di noi di una vera e propria capacità di essere moralmente responsabile richiede l'autonomia nella scelta. Per essere moralmente responsabili dobbiamo liberarci non solo dal volere di Dio, ma dai più terreni condizionamenti (genitori, amici, maestri, ecc.).

La coscienza morale è tale quando segue i precetti dettati dal cuore.

Nel momento in cui diveniamo consapevoli della nostra natura autonoma di esseri moralmente responsabili, questa consapevolezza si presenta come percezione della rilevanza delle sofferenze e dei dolori altrui e si trasforma in una istintiva partecipazione all'altrui sofferenza, da alleviare o eliminare.

Un'etica senza Dio può proporsi come antidoto all'atrofizzazione dei nostri sentimenti morali, all'impossibilità di correggerli, allargarli e rivederli sulla base delle nostre esperienze particolari delle condizioni effettive dei nostri simili.

Diversamente da quanto pretendono i creazionisti, non si ha bisogno alcuno di ricorrere a un Autore della Natura e ai suoi disegni per spiegare l'origine della vita e della specie umana poiché possiamo farlo in termini evolutivi e naturali, allo stesso modo in cui non abbiamo bisogno alcuno di ricorrere a Dio per spiegare l'etica poiché possiamo farlo appellandoci alla natura umana.

La capacità degli esseri umani di farsi guidare da distinzioni tra bene e male, giusto e ingiusto, virtuoso e vizioso è radicata nella loro natura biologica.

L'etica non è altro che una pratica volta a risolvere le questioni di interazione privata e pubblica tra gli uomini e su questa terra.

La nostra vita ordinaria e quotidiana è così profondamente segnata dalla nostra inclinazione a tracciare distinzioni etiche che sarebbe una bizzarria sostenere che tale inclinazione non è naturale, bensì frutto di una riflessione che fa leva su comandi o rivelazioni sopraggiunti dall'esterno.

Quasi ogni angolo della nostra vita è governato dalle nostre emozioni e dal nostro raziocinio ed è tempo ci si accorga che anche l'etica è una pratica inclusa nella nostra quotidianità e parte della nostra storia sulla terra.

È tempo di rifiutare l'invito di chi vuole che noi si continui a evadere dalla realtà e dalle nostre responsabilità in attesa di soluzioni che verranno da un deus ex machina il cui volere – affidato all'interpretazione di una casta speciale – non è sempre garanzia di miglioramento e tutela delle nostre esistenze ed esigenze.

Spesso si fa appello al principio di un'eguale dignità degli individui per giustificare l'unica soluzione per tutto e tutti: si dimentica che la dignità di una persona viene salvaguardata solo rispettando le sue richieste e i suoi effettivi bisogni.

Noi non siamo tutti figli di uno stesso padre: la storia che ci è alle spalle è la più viva testimonianza della diversità dei modi di concepire la vita.

Un'etica senza Dio non rivendica una comune appartenenza o un'uniformità di condotta, ma proprio il valore positivo della diversità dei soggetti morali, che in quanto tali devono essere liberi e individualmente responsabili.

Nel tempo di una piena secolarizzazione e naturalizzazione dell'etica, la riflessione sulla morale non potrà che fare un passo indietro e abbandonare la pretesa di indicare a tutti gli individui ciò che è assolutamente bene o giusto fare. Essa, non potendo più occupare in modo esclusivo il piano della fondazione dei valori, dovrà limitarsi ad affiancare le persone nel processo di realizzazione della consapevolezza di essere individui moralmente responsabili.

Prima lezione di Filosofia Morale
© Laterza, 2010 - Selezione Aforismario

Già nel XVIII secolo prendeva forma la concezione più ristretta della filosofia morale [...], ovvero come quell’area della riflessione umana che indaga sistematicamente la condotta umana in quanto capace di distinguere tra azioni da approvare e azioni da disapprovare, secondo criteri etici che vanno pubblicamente discussi e giustificati.

Bisogna dissipare l’equivoco che il compito della ricerca filosofica sulla morale sia quello di creare o fare nascere la moralità, ovvero le distinzioni tra bene e male, giusto e ingiusto, virtuoso e vizioso. Se fosse questo il suo obiettivo, la filosofia morale sarebbe destinata al fallimento per una pretesa eccessiva.

Alla radice della moralità c’è una peculiare capacità sentimentale degli esseri umani, istintiva e originaria.

Nessuna elaborazione teorica di un filosofo ha il potere di fare sorgere in un ascoltatore che ne fosse sprovvisto la capacità morale fondamentale, quella di reagire partecipando alle sofferenze di un altro essere.

Gli esseri umani con la loro condotta avrebbero mostrato di considerare la morale niente di più che una vacua retorica, non solo quando si sono impegnati a muoversi guerra reciprocamente, a distruggersi e a incrudelire. Anche le loro abitudini di vita, per così dire, pacifica sarebbero state caratterizzate dal prevalere di un’avidità senza regole né responsabilità, che li ha portati a deteriorare perfino l’ambiente naturale in cui vivono, a depredarlo delle principali risorse in esso presenti e a creare condizioni che fanno prevedere difficoltà sempre maggiori per le generazioni future.

Allargando lo sguardo al di là degli esseri umani, anche gli animali nell’ultimo secolo sono stati sottoposti a uno sfruttamento illimitato attraverso forme di industria alimentare esclusivamente finalizzate a realizzare utili economici producendo una quantità maggiore di cibo, senza minimamente preoccuparsi delle crudeltà verso gli esseri viventi coinvolti.

Non passa giorno che da qualche pulpito non si emettano giudizi morali sulla nostra vita sessuale, sul modo in cui dobbiamo far nascere la nostra prole, istituire relazioni di coppia e condurre la nostra vita affettiva, avvicinarci alla nostra morte, curarci, svolgere le nostre professioni di scienziati e ricercatori ecc. Il più delle volte, non solo la morale in queste forme risulta inutile, ma è proprio intollerabile in nome della libertà di noi tutti e della dignità delle nostre esistenze. 

Proviamo a guardare alla moralità non già come il piano dell’enunciazione di principi assoluti o della predicazione di norme universali, ma come una sensibilità che permette di orientarsi nel giudicare e valutare ciò che gli altri esseri umani stanno facendo e di sottoporre a continuo esame le nostre stesse scelte.

La morale di cui abbiamo bisogno per fronteggiare le violenze, i genocidi, le torture, le discriminazioni non è quella fatta di norme e principi assoluti predicati dall’alto da qualcuno che pretende di fondarli sulla ragione: abbiamo invece bisogno di una morale che sia radicata nei nostri sentimenti ed emozioni.

La moralità tradizionale ha fallito perché ruotava intorno a valori astratti, considerati eterni e assoluti e che si riteneva potessero essere fondati e giustificati esclusivamente con il ricorso a una Ragione universale o a qualche fede religiosa.

Le azioni umane sono moralmente rilevanti laddove rivolte a esseri capaci di soffrire o provare piacere e dunque gli animali sono da considerare direttamente, sia pure solo in quanto pazienti od oggetti, cittadini dell’universo della moralità.

Libro di Lecaldano consigliato da Aforismario
Un'etica senza Dio
Editore: Laterza, 2006

Il riproporsi nel dibattito pubblico dell'idea che lega indissolubilmente etica e Dio (o natura), e la conseguente negazione a coloro che non sono religiosi della possibilità stessa di una vita morale, è un chiaro segno della crisi del processo di sviluppo, apertura e allargamento che la cultura occidentale ha realizzato dall'Illuminismo ad oggi. È il segno di una fase di ripiegamento e di paura della società occidentale, che è incapace di trovare in se stessa le risorse per affrontare i cambiamenti e le tensioni provenienti dall'esterno, dovuti all'infittirsi di relazioni con società assai differenti, e dall'interno, in seguito alle spinte innovative cui sono sottoposti i valori tradizionali, in particolare ai progressi realizzati dalla scienza e dalla medicina e che hanno investito la nascita, la cura e la morte.

Note
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