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Frasi e citazioni di Carlo Cassola

Selezione di frasi e citazioni di Carlo Cassola (Roma, 1917 - Montecarlo, 1987), scrittore e saggista italiano. "Alla scrittura esistenziale alterna, nel dopoguerra e negli anni tardi delle battaglie antimilitariste, quella impegnata. La sua opera più nota è La ragazza di Bube (1960, premio Strega), da cui nel 1963 Luigi Comencini trasse il celebre film omonimo".
Foto di Carlo Cassola
È cattiva la gente che non ha provato il dolore. Perché quando si prova il dolore,
non si può più voler male a nessuno. (Carlo Cassola)

Alla periferia
Edizioni de «Il fiore», 1942

Amo la periferia più della città. Amo tutte le cose che stanno ai margini. 

Fausto e Anna
Einaudi, 1952

Il novanta per cento delle donne si sposa per interesse e negli altri casi avviene questo: che dopo i primi tempi l'amore svanisce e resta solo il legame dell'abitudine.

Io gli uomini in casa non ce li posso vedere. Meglio vagabondi che uggiosi.

Quando due si vogliono bene davvero, continuano a volersene anche dopo sposati.

Sentiva il fascino del matrimonio e, insieme, il fascino della religione; ma continuava a credere che la famiglia e la chiesa fossero i due cancri dell'umanità.

Il taglio del bosco
Fabbri, 1953

L'uomo che si annoia, che fatica, che soffre, si consola andando col pensiero ad altri momenti della sua vita: tira fuori dal passato ricordi cari, anticipa le dolci aspettative dell'avvenire.

Rosa Gagliardi
Feltrinelli, 1958

Tutto può succedere, siamo nelle mani di Dio, ma perché pensare sempre che debba succedere il peggio? 

La ragazza di Bube
Einaudi, 1960.

È cattiva la gente che non ha provato il dolore. [...] Perché quando si prova il dolore, non si può più voler male a nessuno.

Un cuore arido
Einaudi, 1961

La felicità, quella gioia acuta che sconvolge il cuore, quella specie di spasimo dell'anima.

Bisognerebbe non conoscerlo mai, l'amore. Continuare a sperarci... Ma che non venisse mai.

Il cacciatore
Einaudi, 1964

Gli uomini hanno tutti cattive intenzioni: solo, che non bisogna dargli pretesto.

Tempi memorabili
Einaudi, 1966

L'amore: gli era antipatica anche la parola. E cos'erano tutte quelle storie, far la corte a una signorina. Fingere di provare chissà che cosa per lei, dirle ogni sorta di stupidaggini.

Si può esprimere un sentimento parziale, un sentimento rivolto a un oggetto particolare; ma quando un sentimento ti riempie l'animo, coincide con la tua vita, con la vita, anzi; quando riguarda tutte le cose [...] è forse possibile esprimerlo?

Paura e tristezza
Einaudi, 1970

Le promesse si fanno apposta per non mantenerle. 

Monte Mario
Rizzoli, 1973

La moda è per le ragazzine...Ma le signore o le ragazze attempate fanno ridere quando si mettono la mini o la maxi o tutta quell'altra chincaglieria addosso.

Uno non farebbe mai niente nella vita, se ci stesse tanto a pensare.

Non puoi sapere se sarai felice con un uomo se non ci vai insieme a letto.

Ognuno deve farsi la sua vita e infischiarsene degli altri.

Basta un comando sbagliato a far perdere la faccia a un ufficiale. La truppa continuerà a temerlo, ma non lo rispetterà più. 

Fogli di diario
Rizzoli, 1974

Ciò che vi è di personale nell'uomo continuerà ad aver bisogno dell'arruffio e del disordine. Un pesco cresciuto per caso in mezzo agli olivi, un olivo nato troppo vicino alla macchia e inselvatichito, la forma irregolare di un campo, l'andamento incerto di un viottolo, appagano il nostro animo perché sembrano persone come noi. Hanno un'individualità inconfondibile. Imbattendosi in uno di loro, sembra d'incontrare un amico.

Le formule rinascimentali, romantiche e decadenti dell'uomo che fabbrica il proprio destino e piega al proprio volere le cose, elimina cioè il caso dalla propria vita, mi hanno sempre ripugnato. Bisogna sottomettersi alla vita, non pretendere di modellarla.

Il successo non è [...] importante in se stesso, ma perché dimostra che un certo numero di persone si sono interessate a quello che hai scritto; e se ne sono interessate, vuol dire che ci hanno ritrovato qualcosa della propria vita, del proprio modo di decifrare la realtà. 

L’uomo ha le sue debolezze, può quindi essere geloso e invidioso di un altro, vedere in lui un concorrente, un emulo. Lo scrittore no. Se c’è un campo in cui non esiste concorrenza ed emulazione, è quello della creazione letteraria.

La poesia è terreno opinabile: il consenso dei lettori, anche se fosse quasi plebiscitario, non potrebbe darti la sicurezza di essere uno scrittore autentico. 

Uno scrittore è autentico se è originale. Non dico che questa originalità sia assoluta, ognuno dovendo qualcosa a quelli che lo hanno preceduto.

Il solo che ci appaia assolutamente originale è Omero, ma perché ignoriamo i suoi predecessori.

Ciò che può unire e dovrebbe accomunare gli scrittori è il sapere quanta fatica e quanta sofferenza costi scrivere.

Un’opera letteraria dovrebbe suscitare rispetto anche se modesta, anche se non riuscita. Purché, s’intende, sia stata intrapresa con la stessa serietà, lo stesso scrupolo, lo stesso impegno totale con cui la intrapresero i grandi creatori. 

Una stima e un rispetto particolare meritano gli scrittori mancati: proprio perché il loro sacrificio non è stato ricompensato.

C'è un mondo dei viventi e un mondo dei morti, e il ponte è l'amore, la sola sopravvivenza, il solo significato.

Non credo all'Amore con la maiuscola. Ma credo che la vita abbia un senso solo per quello che si dà agli altri e che si lascia loro quando ce ne andiamo. 

In fondo è giusto che il premio dell'emozione ci venga accordato raramente. E che ne sia privato proprio chi ne va in cerca. L'estetismo è un male, e non deve essere incoraggiato.

L'uomo e il cane
Rizzoli, 1977

Un cane da guardia è una necessità. Di giorno fa poco, ma di notte è lui che salva la casa dai ladri e dagli assassini.

I cani, se lo vuoi sapere, aspirano tutti ad avere un padrone. Cani che amino la libertà più del padrone non se ne sono ancora visti. Anche se il padrone fa fare loro una cattiva vita. Per esempio, se li tiene sempre a catena.

Il cane era una bocca in più, una bocca inutile, e loro non se lo potevano permettere. Ora poi che s’era messo a far danni ai vicini... La decisione del marito era anche umana. Altri non si peritavano di ammazzarlo, il cane, quando diventava vecchio o quando temevano che avesse la rabbia. Un contadino il cane lo aveva ammazzato a bastonate, un altro non lo aveva più sciolto dalla catena e non gli aveva più dato da mangiare e da bere. Nessuno che, per un cane, ci avesse rimesso una pallottola. Alvaro non lo avrebbe ammazzato. Lo avrebbe solo portato via in un sacco, in modo che non ritrovasse la strada. 

Il superstite
Rizzoli, 1978

“Soltanto la malattia fa apprezzare la salute” ha scritto un filosofo dell’antichità. Ficcandosi in testa un simile principio, gli uomini hanno finito col credere che soltanto la guerra facesse apprezzare la pace, e così, hanno decretato il proprio annientamento.

Il guaio è che ci sono andati di mezzo gl’innocenti. Vale a dire le specie animali e vegetali che non avevano colpa degli attentati alla natura perpetrati dall’uomo.

Gli stenti della vita erano la sola cosa che attirasse l’attenzione di tutti, uomini e donne. I partiti facevano la loro fortuna organizzando il risentimento sociale: i partiti di sinistra quello della povera gente, i partiti di destra quello dei pochi signori e dei ceti intermedi che avevano anch'essi in dispregio la condizione dei poveri. Nessuno che s'interessasse del problema della sopravvivenza: forse perché avrebbe dovuto interessare tutti, ricchi e poveri, chi viveva in ozio e chi si ammazzava dalla fatica.

Un vecchio gatto si riconosceva subito per la sua saggezza. Stava insieme con gli altri gatti, ma non partecipava alle loro zuffe. Sapeva per esperienza che è inutile azzuffarsi per il cibo. I casi infatti sono due: o ce n’è a sufficienza, e allora, dopo che i piccoli si saranno sfamati, potrà sfamarsi anche lui, il gatto grosso; o non ce n’è a sufficienza, e allora a che pro contendersi quel poco cibo che la massaia ha messo nella ciotola? Da ognuna di quelle zuffe, si esce con la fame. Tanto vale allora uscirne indenni anziché con un occhio di meno.

Ecco l’ideale di quei vecchi gatti: essere lasciati in pace.

Ancora ancora si potevano capire le zuffe per il cibo; ma quelle per la femmina? Il vecchio gatto, che di femmine ne aveva ingravidate parecchie, sapeva che quell’istinto lì è forte ma che si scarica subito. Appena finito l’accoppiamento, il gatto si domanda il perché di tutta quella frenesia di prima: se adesso non gliene importa più di quella femmina e la sola cosa a cui aspira è di essere lasciato in pace.

Ciascuno di quei vecchi gatti aspirava a far la vita di coloro che li avevano preceduti nel tempo; dei loro padri e dei loro nonni: che per la maggior parte del tempo stavano stesi al sole, non andavano molestati e un bel giorno scomparivano senza lasciar traccia. 

“Fedeltà canina”, si dice, e s’intende quel genere di fedeltà a un’istituzione, personificata o meno, che è al di fuori di ogni critica. Tutto questo è degradante e fa prendere in odio i cani, per i quali il padrone è un’istituzione prima che una persona.

Proprio i cani sono i più pronti al suicidio, appena venga meno la ragione per cui vivevano. Non potendosi uccidere tutto d’un colpo, si lasciano morire. Rifiutano il cibo e l’acqua e così muoiono. Quanti cani si son lasciati morire perché il padrone li aveva preceduti nella tomba!

In noi uomini, che fino da piccoli sappiamo di dover morire, è uno sgomento cosciente. Ci fa paura tutto quello che lascia presagire la morte. La paura della morte riassume tutti gli altri nostri terrori. Può essere vinta in un modo solo: dalla preoccupazione per gli altri. Chi si preoccupa degli altri non pensa più a quello che potrà capitargli.

Spesso gli altri ci suscitano sentimenti di compassione: perché hanno sprecato il poco tempo disponibile. Come ci sentiamo buoni compatendoli! Invece, compatiamo solo noi stessi: è all’inadeguatezza della nostra vita che pensiamo. Ci specchiamo negli altri: in loro vediamo riflessa l’impossibilità di arricchire la vita di ciascuno con la vita di tutti. Ciò che si chiama la vita è passato sotto i nostri occhi e non ci siamo potuti appropriare di una sola delle sue ricchezze. Non abbiamo potuto godere di nessuno dei beni della vita: cominciando dal più grande di tutti, l’amore. E adesso, ci tocca morire: ecco quello di cui abbiamo paura.

L’amore non è il trionfo dell’altruismo, è piuttosto un impasto di altruismo ed egoismo.

Per questo non me ne importa niente di morire: perché so che continuerò a vivere dentro di te. L’amore è la fusione di due esseri in uno solo. Se tu e io siamo un essere solo, è evidente che io continuerò a vivere con te quando non ci sarò più. O meglio, vivrò in te, sarò te…

Un uomo solo
Rizzoli, 1978

Fin da piccola Grazia aveva avuto l’impressione che ci fosse una cosa che i grandi le nascondevano. E che fosse la cosa più importante della vita. I discorsi dei grandi giravano sempre intorno a quella cosa. Era la cosa che facevano la moglie e il marito. Era in seguito a quella cosa lì che nascevano i bambini. Grazia stava attenta ai discorsi dei grandi: ma non ne aveva ricavato molto. Le avevano insegnato di più i polli. Quando aveva visto un pollo saltare addosso a una gallina, s’era detta che era quella cosa. Ma in che consistesse precisamente, non l’aveva capito. 

Dappertutto il mestolo lo avevano in mano le donne. C’erano le eccezioni, è vero; ma in genere era così. Se si cercava una spiegazione generale al fenomeno, era facile trovarla: l’uomo proprio con la sensualità si metteva nelle mani della moglie.

Per quanto non sapesse niente di preciso, capiva che era così. Se una moglie mandava in bianco il marito, lo metteva alla disperazione. Poteva pretendere qualsiasi cosa, in cambio dell’appagamento della sua brama. L’uomo era ardente, mentre la donna era fredda: ecco il perché della sottomissione dell’uomo. L’ardore lo condannava alla sconfitta. 

E dire che la freddezza era imposta alla donna proprio dall’uomo. Una donna calda era per l’uomo la stessa cosa di una puttana. Se uno non voleva che fosse una puttana la propria moglie, doveva imporle un comportamento riservato. Freddo addirittura. 

Il marito non la preoccupava. S’era sempre fatto dominare dalla madre; una volta sposato, sarebbe stato un trastullo nelle mani della moglie. 

La gente [...] non capisce niente di quello che succede nella vita. Ha l’idea che gli uomini, nelle loro scelte, si facciano guidare dalla ragione. Quando si lasciano guidare dall’istinto. Anche in politica, abbracciano un partito in seguito a un’impressione.

Gli sarebbe piaciuto far parte di una di quelle comitive giovanili. Il guaio è che si sfasciavano subito. Ogni giovanotto si mette con una ragazza, e una volta nate le coppie, addio comitiva. Peggio ancora, al fidanzamento succedeva il matrimonio. Col matrimonio la vita perdeva ogni attrattiva. Quella stessa ragazza che un tempo t’aveva tanto attirato, adesso ingrassava, sfioriva… 

Anche noi uomini cambieremo aspetto dopo sposati, ma per le donne è proprio una rovina. Dopo il primo parto e il primo allattamento, si sciupano e non tornano più come una volta. Si sciupano anche il carattere: diventano autoritarie, bisbetiche… Non ci campi più, con quelle streghe. Potesse tornare indietro, uno non farebbe più lo sbaglio di ammogliarsi… 

Il capitalismo getta sempre il seme della discordia… Per questo vi dico che la guerra è sicura: i Paesi capitalisti saranno costretti a farsi la guerra dal contrasto d’interessi.

Era un’anima candida. Abituato a dividere il bene e il male con un taglio netto, convinto che fossero il frutto dell’organizzazione sociale, non poteva supporre che albergassero nel cuore di tanti. Per lui ogni uomo era come un libro aperto. Sì, la società, la chiesa potevano avere offuscato quella coscienza, ma il fondo di quell’anima era buono, non poteva essere che buono. La natura umana è buona. É la società a corromperla coi suoi cattivi ordinamenti. 

Non aveva fatto esperienza del mondo. Gli uomini gli erano sembrati uguali: tutti buoni, nel fondo, ma spinti dall’interesse o dai pregiudizi a comportarsi male.

In genere si davano alla politica i menomati fisici. Era difficile che un giovane in possesso di tutte le qualità per farsi largo nella vita, diventasse anarchico o socialista. 

I quattrini non sono un impedimento a diventare sovversivi. Qualcuno lo diventa proprio perché è ricco.

In genere è l’appartenenza a una classe che determina le scelte politiche. Se sei un signore, sposi la causa dei signori, se sei un povero, sposi la causa dei poveri.

Le persone sono pecore, non te ne sei ancora accorto? Voi anarchici credete che il supremo desiderio di ciascuno sia la libertà. É questo il vostro sbaglio. La gente ama la servitù.

L’educazione conta poco. Conta tutto il temperamento.

I figli sono una cosa, noi un’altra. Non possiamo ricuperare una stagione della vita grazie a un figlio. Non si può desiderare che un figlio faccia quello che non s’è fatto noi. 

Va bene, tutte le pellicole finiscono coi due che si sposano: ma prima, quanto hanno dovuto tribolare! Non si potrebbe fare un film con le cose che vanno lisce. 

Letteratura e disarmo
Mondadori, 1978

Ho sempre pensato che l'Illuminismo sia stata la migliore cultura che abbia prodotto il mondo. Nota bene: si tratta proprio di una cultura, non di un'ideologia o di un insieme di ideologie, come potrebbe far pensare quell'ismo finale.

Note
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