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Frasi e citazioni di Marc Augé

Selezione di frasi e citazioni di Marc Augé (Poitiers, 1935), antropologo, etnologo, saggista e filosofo francese, directeur d'études (Logica simbolica e ideologia) all'Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales di Parigi, di cui è stato a lungo presidente. 
Foto di Marc Augé
La paura può rendere ciechi. Ma può anche aprirci gli occhi su una realtà
che normalmente guardiamo senza vedere. (Marc Augé)

Nonluoghi
Introduzione a una antropologia della surmodernità, 1992

Gli ellenisti ci hanno insegnato che sulla casa greca classica vigilavano due divinità: Estia, dea del focolare insediata nel centro, umbratile e femminino, della casa e Hermes, dio della soglia rivolto verso l'esterno, protettore degli scambi e degli uomini che ne avevano il monopolio. Oggi la televisione e il computer hanno preso il posto del focolare al centro della casa. Hermes si è sostituito a Estia.

L'individuo, dal canto suo, è in un certo senso decentrato rispetto a se stesso. Si dota di strumenti che lo pongono in contatto costante con il modo esterno più remoto. I telefoni cellulari sono anche apparecchi fotografici, televisori, computer. L'individuo può così vivere singolarmente in un ambiente intellettuale, musicale o visuale completamente indipendente rispetto al suo ambiente fisico immediato.

Siamo di giorno in giorno più coscienti di abitare uno stesso pianeta, corpo fisico fragile e minacciato, infinitamente piccolo in un universo infinitamente grande; tale coscienza planetaria è una coscienza ecologica e inquieta: condividiamo tutti uno spazio ridotto che trattiamo male.

Oggi una grande metropoli accoglie e divide tutte le varietà e le disuguaglianze del mondo. È una città-mondo.

Assistiamo all'inizio del turismo spaziale (e del pianeta come paesaggio) che consentirà ai viaggiatori di osservare la Terra da lontano (da un'altitudine di cento chilometri), in assenza di gravità. Da quella distanza il pianeta Terra offre un'immagine di unità e di armonia. Ma questa immagine si turba se la osserviamo da troppo vicino.

Il nostro ideale non dovrebbe essere quello di un mondo senza frontiere, ma di un mondo nel quale tutte le frontiere siano riconosciute, rispettate e attraversabili, cioè un mondo in cui il rispetto delle differenze cominci con il rispetto degli individui, indipendentemente dalla loro origine o dal loro sesso.

Una frontiera non è un muro che vieta il passaggio, ma una soglia che invita al passaggio.

Diario di guerra
Journal de guerre, 2002

Il nostro pianeta ci appare insieme piccolo e pericoloso. La sensazione di trovarsi in trappola, ordinaria e legittima quando colpisce i rifugiati e gli esuli di tutto il mondo, si diffonde anche all'interno delle cosiddette regioni sviluppate.

La paura può rendere ciechi. Ma può anche aprirci gli occhi su una realtà che normalmente guardiamo senza vedere.

Il dio oggetto
Le dieu object, 2002

L’impensabile è la materia pura, l’omogeneità minerale. È necessario animarle per comprenderle, per cominciare a pensarle. I “feticisti”, si diceva con stupore, adorano “il legno e la pietra”. Non hanno scelta: pensano.

Ogni cultura può essere considerata come un insieme di “sistemi simbolici”.

È stato necessario che l’universo significasse dal momento in cui è apparso il linguaggio

Perché viviamo?
Pour quoi vivons-nous?, 2003 - Selezione Aforismario

Nel mondo di oggi, aumenta ogni giorno la distanza tra i più ricchi e i più poveri. Gli uomini sono ogni giorno più ineguali davanti alla malattia, alla povertà e alla morte e forse anche davanti alla solitudine, poiché i più poveri dei poveri sono tentati di cercare la salvezza nella fuga, nello sradicamento, nel volo spesso solitario verso le luci sfavillanti e mortifere del mondo sviluppato.

Certo non potremmo affermare che tutti i più o meno ricchi sono contenti e tutti i più o meno poveri infelici: c’è una disposizione personale alla felicità o alla disgrazia che sfugge a questo determinismo.

Quando la miseria è troppo grande, la questione della felicità può apparire un lusso; non la rende illegittima, ma la mette al suo vero posto: quello di un privilegio o di una speranza.

L’individuo non è libero di non essere ciò che l’epoca vuole che sia. E questa vuole che lui sia felice. Che consumi e sia felice, mentre propone contemporaneamente una definizione della disgrazia e dell’insoddisfazione: non consumare.

Il morale della nazione (e delle imprese) si misura sulla base delle fluttuazioni dell’indice dei consumi familiari. Chi consuma esprime la sua fiducia nell’avvenire, la sua speranza di poter continuare a consumare. Ma è felice?

L’avvenire economico si definisce a partire, tra l’altro, dall’indice di fiducia delle famiglie, a sua volta misurato sui loro consumi o sulle loro intenzioni di consumo. In altre parole, in questo mondo di indici e misure, il solo dovere è quello di consumare. Bisogna consumare per poter continuare a consumare.

Il rinnovamento dei prodotti assicura solo a se stesso una larga parte dello sviluppo del mercato: computer, cellulari, prodotti tecnologici in generale invecchiano e si rinnovano di continuo. Non viviamo nel mondo dell’abbondanza, ma in quello dei cocci, delle eccedenze distrutte e dei modelli superati.

La felicità delle persone felici, vista dall’esterno, è fatta di modestia, di tolleranza, di buona volontà. Non è altro che un’ipotesi, anche ai loro stessi occhi; non ne hanno mai veramente coscienza.

Il silenzio della felicità, come quello degli organi, è un segno di salute, anche se accade che la disgrazia, come la malattia, giunga senza far rumore. Solo dopo, a volte, ma sempre troppo tardi, prendiamo atto della felicità svanita.

Ogni etnologo sul campo, o ogni viandante un po’ curioso sa che non è difficile “far parlare” ciò che si incontra. Ogni atteggiamento aperto, genericamente disponibile, induce l’altro al discorso, proprio come l’attenzione fluttuante dello psicoanalista.

Tra i confini
Città, luoghi, integrazioni, 2007

Se nella vita dell'umanità l'urbanizzazione costituisce una tappa altrettanto importante della nascita dell'agricoltura, non si può fare a meno di notare un paradosso: che essa non definisce, come aveva fatto l'agricoltura, una nuova forma di stanzialità, ma piuttosto nuove forme di mobilità.

Il mondo è una città, un'immensa città in cui si trovano ovunque le stesse grandi imprese economiche e finanziarie, gli stessi prodotti.

Le nuove paure
Che cosa temiamo oggi?, 2013 - Selezione Aforismario

Le nuove paure non sono poi così nuove, ma si diffondono istantaneamente e dappertutto.

Non sarà che, oggi, la paura della vita abbia rimpiazzato la paura della morte? Se diamo un’occhiata alle notizie quotidiane, caratterizzate dall’incremento di violenze di ogni sorta, ricaviamo proprio questa impressione.

Ci sono paure da ricchi e paure da poveri, e queste rispettive paure incutono paura le une alle altre: paure delle paure, paure al quadrato in un certo senso. 

Apro il giornale, lo scorro rapidamente e capisco subito che mi espongo al contagio, poiché la paura, come si dice, è contagiosa.

Dio è morto, Marx è morto, e la Borsa non si sente tanto bene.

I politici di ogni schieramento ci danno l’impressione di giocare col fuoco senza sapere bene chi lo abbia acceso, chi lo alimenti e in quale direzione soffi il vento.

Oggi nessuno si arrischierebbe a prevedere che cosa accadrebbe se il sistema crollasse. Le nostre paure esprimono innanzi tutto l’ossessione del vuoto. I proletari non sognano più di abbattere il sistema: temono che crolli.

Nel complesso, il futuro non è più per nessuno un’apertura sul sogno. Individualmente, i giovani sono in genere preoccupati per la sopravvivenza quotidiana e gli anziani si chiedono se qualcuno toccherà la loro pensione.

Il più delle volte l’individualismo di oggi non nasce dallo spirito di iniziativa ma dalla difficoltà di creare relazioni: l’isolamento o la folla (passiva o fanatizzata) sono due modalità sempre più diffuse di non-rapporto con gli altri. 

Oggi molti fenomeni sociali sono dovuti all’ignoranza e alle sue paure, perciò fanno paura. Non c’è niente di più temibile della paura nata dall’ignoranza.

Contro le paure generate dall’ignoranza il solo rimedio è l’ideale dell’Illuminismo: la conoscenza.

Il contrario della paura della morte non è il desiderio di morte ma l’amore per la vita, quel tenace bisogno di vivere che resiste a tante prove, anche a quella dell’isolamento, che è la più temibile e temuta. 

La paura è sempre stata una componente della vita e, in fin dei conti, un fattore di progresso. Spesso ha saputo scuotere gli individui intorpiditi dall’abitudine e tracciare nuove vie di fuga.

Gli esseri umani non hanno ancora smesso di aver paura, né di sperare. La storia è sempre al di là delle paure e della speranza.

Momenti di felicità
Bonheur du jour, 2017 - Selezione Aforismario

L’aspirazione a una condizione di felice serenità appare oggi in palese contraddizione con la concorrenza febbrile imposta dal capitalismo trionfante e, sul versante opposto, con la vana contestazione messa in atto da emarginati ed esclusi dal sistema.

I momenti di felicità fugace sono rivelatori: non appena scompaiono, ne avvertiamo impellente la necessità. Inchiodati a un letto d’ospedale, misuriamo il valore di una pur breve passeggiata in città. 

La felicità sembra essere un concetto temporale che può presentarsi sotto due aspetti: quale nostalgia individuale, menzogna riguardante il passato, oppure quale utopia collettiva, menzogna proiettata nel futuro.

Le illusioni sopravvivono al passare degli anni e lo sguardo “lucido” che rivolgiamo al passato nulla garantisce per il presente né per il futuro: le nostre previsioni sono spesso miopi e il presente ci coglie spesso di sorpresa.

Ogni percorso compiuto da un essere umano è un’Odissea. Ma il ritorno non ha mai fine, poiché non è possibile ritrovare il passato che è andato perduto: il gioco di spazio e tempo è crudele.

La grande sventura della vita è innanzitutto la povertà, che inasprisce, quando addirittura non provoca i tormenti della solitudine, della malattia, della fatica e del tedio. Altra grande sventura è l’essere rifiutato dall’altro o dagli altri, quando ne venga disgusto e disprezzo di sé. Grande sventura è lo spettacolo dell’arroganza finanziaria o del cieco proselitismo. Grande sventura è lo spettacolo quotidianamente offerto da stupidità, crudeltà, egoismo o indifferenza.

Il presente, sebbene sia sempre in fuga, è l’unica realtà concreta.

Gli anni ci insegnano a vivere il presente, a vivere, come siamo soliti dire, “alla giornata”, e pertanto a trarre dal presente tutto ciò che può offrirci. 

Note
Leggi anche le citazioni degli autori francesi: David Le Breton - Edgar Morin

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