Cerca Autori o Argomenti in Aforismario

Frasi e citazioni di David Le Breton

Selezione di aforismi, frasi e citazioni di David Le Breton (1953), antropologo e sociologo francese, docente all'Università di Strasburgo. Si è occupato, in particolare, della società contemporanea, analizzandone gli aspetti e i fenomeni sia da un punto di vista socio-antropologico che filosofico. La maggior parte delle seguenti citazioni di David Le Breton sono tratte dai libri: Sul silenzio (Du silence, 1997), Il mondo a piedi (Éloge de la marche, 2000) e Fuggire da sé (Disparaître de soi, 2015).
Foto di David Le Breton
Rinunciare a sé è talvolta l’unico modo per non morire o per sfuggire a qualcosa
che sia anche peggiore della morte. (David Le Breton)

Antropologia del dolore
Anthropologie de la douleur, 1995

Non c’è dolore senza sofferenza, cioè senza un significato a livello affettivo che traduce lo spostamento di un fenomeno fisiologico verso il centro della coscienza morale dell’individuo.

Il dolore inerisce alla vita come contrappunto che dà pienezza al fervore d'esistere. 

Ogni dolore implica un danno morale, una messa in causa del rapporto che l’individuo ha con il mondo.

Senza il dolore, l’uomo è legato mani e piedi, è alla mercé di un ambiente la cui ospitalità gli è spesso accordata con parsimonia. Esso protegge l’uomo dalle innumerevoli minacce che pesano sulla sua condizione, difende l’organismo suscitando un immediato ritrarsi e lasciando poi tracce nella memoria, cosa che conduce a un agire più avveduto.

Se il dolore è uno stato spiacevole, è anche una difesa apprezzabile contro le ineluttabili asperità del mondo.

Come la morte, il dolore è il destino comune, nessuno può pretendere di sfuggirgli. Non dimentica nessuno e richiama all’ordine in varie forme, nel corso dell’esistenza, a dispetto della volontà dell’uomo.

Sul silenzio
Du silence, 1997 - Selezione Aforismario

In un contesto in cui il rumore non molla mai la presa sull’umanità contemporanea, in cui le parole si svuotano di significato, si acuiscono la nostalgia del silenzio e l’aspirazione a ritrovarlo.

Il rumore è un esercizio di potere sull’altro, una manifestazione talora deliberata di disturbo quando, per esempio, da una finestra aperta si lascia rimbombare la musica in tutto il vicinato. In questo senso, il rumore è diventato una forma di espressione del risentimento, di rivincita sulla sorte. Il benessere acustico è un lusso.

La musica di sottofondo è un’arma efficace contro una certa fobia del silenzio

Le nostre società aggiungono nuove imposizioni sonore, quali le musiche di sottofondo nei negozi, nei bar, nei ristoranti, nelle hall degli alberghi, quasi che il silenzio dovesse essere sommerso da una produzione permanente di rumori che nessuno ascolta, che talvolta persino indispone, il cui vantaggio consiste però nella possibilità di distillare un messaggio rassicurante, antidoto contro la paura diffusa di non avere niente da dire, infusione acustica di sicurezza la cui improvvisa sospensione suscita un duplice fastidio.

Il silenzio risuona come una nostalgia, fa appello al desiderio di un ascolto senza fretta del fruscio del mondo.

L’imperativo di comunicare, nel senso moderno del termine, è un atto di accusa nei confronti del silenzio, l’eliminazione di qualsiasi forma di interiorità.

L’ideologia della comunicazione assimila il silenzio al vuoto, alla rovina, non riconoscendo che, talvolta, proprio la parola è la lacuna del silenzio. 

Il silenzio libera dal peso di dover essere sempre disponibili e sul chi-va-là, fornendo un’intensa sensazione di essere al mondo.

Mentre alcuni soggetti amano ritirarsi nel silenzio come in un rifugio, percependolo come un luogo propizio per ritrovare se stessi, altri ne risultano terrorizzati, al punto da mettere in atto ogni forma di strategia per difendersi dallo stesso.

Unito alla bellezza del paesaggio, il silenzio è un cammino che conduce a sé, alla riconciliazione con il mondo, configurandosi come un momento di sospensione del tempo, come l’apertura di un varco che offre all’uomo la possibilità di ritrovare il proprio posto, di conquistare la pace.

Il silenzio apre alla profondità del mondo, spinge verso la dimensione metafisica, sottraendo le cose al mormorio che normalmente le avvolge e liberando, in questo modo, la potenza che racchiudono.

Il diritto al benessere acustico, la salvaguardia di una parte di silenzio sono diventati un ambito sensibile della socializzazione, un valore unanime in risposta all’aumento del rumore nell’ambiente.

Il mondo a piedi
Éloge de la marche, 2000 - Selezione Aforismario

Si cammina per nessun motivo, per il piacere di gustare il tempo che passa, di concedersi una deviazione per meglio ritrovarsi alla fine del cammino, per scoprire luoghi e volti sconosciuti, per aumentare la conoscenza corporea di un mondo inesauribile di sensi e sensorialità; o anche, semplicemente, per rispondere all'invito della strada.

Camminare significa aprirsi al mondo.

Spesso camminare è un espediente per riprendere contatto con se stessi.

L’atto del camminare riporta l’uomo alla coscienza felice della propria esistenza, immerge in una forma attiva di meditazione che sollecita la piena partecipazione di tutti i sensi.

Perdere tempo a camminare appare come un atto anacronistico in un mondo dominato dalla fretta. Poiché introduce una dimensione dilettevole del tempo, come dei luoghi, il camminare rappresenta uno scarto, uno sberleffo alla modernità.

Nonostante gli ingorghi del traffico nelle città e le innumerevoli tragedie di cui è causa, l’automobile è oggi regina del quotidiano e ha reso il corpo un elemento accessorio per milioni di nostri contemporanei.

Camminare, anche per una modesta passeggiata, concede una licenza momentanea dalle cure che ingombrano l’esistenza inquieta e frettolosa delle società contemporanee.

Viaggiare a piedi è un modo di conoscere che rammenta il significato e il prezzo delle cose, una deviazione fruttuosa per ritrovare la capacità di godere degli eventi.

La passeggiata è un aspetto minore ma fondamentale della marcia. Costituisce un rito personale, praticato da un’infinità di persone, sia occasionalmente sia con regolarità. In solitudine o in compagnia, è un placido invito al rilassamento e alla parola, al bighellonare senza scopo, per riprendere fiato, addomesticare il tempo, ricordarsi di un mondo percepito a misura d’uomo.

La marcia solitaria ha i suoi adepti, da Rousseau a Stevenson a Thoreau; è una ricerca di contemplazione, di abbandono, un bighellonare a proprio agio che la presenza di un compagno guasterebbe, obbligando alla parola, al dovere di comunicare.

Il silenzio è lo sfondo di cui si nutre il camminatore solitario.

La marcia è un’apertura al mondo, che invita a essere umili e a cogliere avidamente il momento. La sua etica della curiosità e del perder tempo ne fa uno strumento ideale per la formazione personale, una scuola di vita che si avvale del corpo e di tutti i sensi.

La marcia è un momento ideale per esercitare il pensiero.

Per la frattura che rappresenta rispetto agli ordinari mezzi di trasporto, per lo scostamento dalla via che impone, la marcia non solo è un processo di conoscenza di sé e dell’altro, uno spaesamento delle conoscenze, ma ha anche l’effetto di sfoltire i pensieri, mobilita un’effervescenza diffusa che si accentua con la stanchezza del procedere.

La pelle e la traccia
La Peau et la Trace, 2003

Se la pelle è soltanto una superficie, essa al contempo raffigura le profondità del sé. La pelle incarna dunque l'interiorità; toccandola, tocchiamo il soggetto - tanto in senso proprio quanto in senso figurato.

La pelle è una barriera, una guaina narcisistica che protegge dal possibile caos del mondo.

Le pelle racchiude il corpo, i limiti di sé, crea la frontiera fra dentro e fuori: una frontiera vivente.

Il sapore del mondo
La saveur du Monde, 2006

Il gustare isola l'individuo in un universo di sapori e di piaceri che sembra concernere solo lui. De gustibus non est disputandum.

Certo, al cuore del dispositivo culinario rimane sempre il sapore e il cuoco è anzitutto un maestro del gusto, ma allo stesso tempo deve lusingare gli occhi e offrire all'olfatto odori appetitosi.

La cucina è una musica del gusto, le cui note sono costituite dai sapori e dalla loro mescolanza, in rapporto con alimenti, salse, condimenti, dosaggi, cotture, ecc.

Si mangia con il naso oltre che con la bocca, e l'apprezzamento dei sapori è legato non solo all'olfatto, ma anche al modo in cui i piatti vengono presentati e all'elemento tattile che entra in gioco nel momento in cui si mangia.

Fuggire da sé
Disparaître de soi, 2015 - Selezione Aforismario

L’esistenza talvolta ci pesa. Sia pure per un breve intervallo vorremmo sottrarci agli obblighi che ci impone. In certo modo, vorremmo prendere una vacanza da noi stessi, tirare il fiato, riposarci.

Talvolta, anche quando non si è oppressi da alcuna difficoltà, si avverte la tentazione di assentarsi da sé, magari per una breve pausa, per sottrarsi alle consuetudini e ai pensieri assillanti.

Trovare sostegno alla propria autonomia e bastare a sé non è da tutti. 

L’individuo ipermoderno è disimpegnato. Richiede la presenza degli altri ma vuole anche starne lontano.

Il legame sociale è divenuto un dato ambientale più che un’esigenza morale. Per certuni, addirittura, altro non è che il teatro indifferente della loro azione personale.

Nel quotidiano, la maggior parte dei rapporti non è vincolante; la televisione, internet, le chat, i forum, il cellulare sono strumenti che consentono di esserci senza esserci, di prendere le distanze da un rapporto oscurando semplicemente lo schermo.

L’individuo contemporaneo è connesso, non già in relazione con gli altri: con questi comunica sempre più spesso, ma li incontra sempre più raramente; predilige i rapporti superficiali, che allaccia e abbandona a piacimento.

Rinunciare a sé è talvolta l’unico modo per non morire o per sfuggire a qualcosa che sia anche peggiore della morte.

Una facile via per sottrarsi ai vincoli dell’identità è impegnarsi nelle chat o nei forum, nei videogiochi online, nei mondi paralleli di internet moltiplicando alias o avatar.

Il virtuale esercita un effetto narcotizzante rispetto al legame sociale fondato sui contatti, libera l’individuo del corpo e di tutte le responsabilità connesse al suo particolare statuto di persona, crea un mondo interamente suo e provvisto di regole proprie. Di lì deriva la trance, la dissoluzione di sé in un universo sovrainvestito che cancella temporaneamente il contesto sociale.

Per chi è padrone di un mondo ridotto a un’estensione di sé e configurato da un supporto tecnico, non è sempre gratificante ritornare allo statuto subalterno inflitto dal legame sociale. Di qui la difficoltà di sottrarsi all’estasi del gioco e la fretta di tornarvi.

Numerosi internauti, in particolare adolescenti, si legano al proprio avatar come a un alter ego più vivo di quanto non siano loro, sperimentando tramite esso forme di socialità e di sessualità che nella vita reale li spaventano.

Soprattutto in Giappone, adolescenti o giovani adulti (definiti hikikomori) decidono di isolarsi dal resto del mondo. Respingono ogni contatto con l’esterno e fuoriescono dal circuito, chiudendosi nella loro stanza in casa dei genitori, o non lasciando più l’appartamento in cui abitano.

La nostra vita è costituita tanto di occasioni mancate, quanto degli eventi che la costellano. Nessuno vive tutte le virtualità che sono in lui, tantomeno riesce a immaginarle. Ogni istante che passa lascia dietro di sé un’infinità di vite possibili, che sono durate il tempo di un respiro.

Note
Leggi anche le citazioni degli autori francesi: Michel OnfrayPascal Quignard - George Steiner