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Frasi e citazioni di Stefano Bartezzaghi

Selezione di aforismi, frasi e citazioni di Stefano Bartezzaghi (Milano, 1962), giornalista, scrittore e semiologo italiano. Tra i maggiori esperti italiani di giochi linguistici, enigmistici e letterari, ha scritto la prima storia italiana del cruciverba, L’orizzonte verticale (2007).
Foto di Stefano Bartezzaghi
Siamo parificati dalla nostra voglia di differenziarci; a renderci indistinguibili
è il nostro comune desiderio di essere distinti. (Stefano Bartezzaghi)

Incontri con la Sfinge
Nuove lezioni di enigmistica © Einaudi, 2004 - Selezione Aforismario

Tutti i nostri giochi enigmistici, deplorati da tanta parte della cultura moderna e contemporanea, funzionano come memoria di antichi meccanismi, come orologi caricati secoli fa che per qualche mistero meccanico ticchettano ancora, producendo persino sporadici rintocchi.

La lingua mescola gli stessi elementi, e ne varia la composizione: è dalla lingua che cabalisti e alchimisti hanno imparato i loro antichi mestieri. 

Nel lapsus, nel linguaggio infantile, nell’errore di digitazione e di trasmissione scintillano sensi alternativi, che il filologo disputa allo psicoanalista, e che funzionano secondo gli stessi meccanismi del sogno, della storia della lingua, del gioco di parole.

Le lettere sono elementi, che si anagrammano e si combinano trovando il sempre uguale e il sempre diverso. 

Nella nostra epoca l’enigma ha perso ogni solennità. Le eminenti strutture dell’enigma e delle combinazioni di lettere hanno appunto prodotto giochi: trastulli per generazioni alfabetizzate da pochi anni o decenni, un sapere senza perché, ginnastiche passatempo per meningi, problemi che richiedono un’intelligenza di espedienti più che una sapienza e un’erudizione.

La storia dell’enigmistica è una storia di magie che si sono trasformate in giochi.

L’archeologia rintraccia oggetti che sono stati di uso quotidiano e riesce a servirsi di un pettine, una moneta, una pentola per ricostruire quasi magicamente un mondo. L’enigmistica fa il contrario: tramuta oggetti magici in testi di uso comune, in oggetti culturalmente banali.

Oggi l’enigmatico è diventato enigmistico, si è polverizzato.

Edipo trova le sue sfingi nella vita di ogni giorno: presidiano i tornelli, le obliteratrici, i bancomat e richiedono tributi di codici personali d’accesso, PIN, codici a barre, tessere più magnetiche che enigmatiche, per aprire le porte di una città reticolare.

L’uomo ha sempre provato quel che è stato chiamato «il pathos del nascosto». «La natura delle cose ama celarsi», dice Eraclito (frammento 123) e «l’armonia nascosta vale più di quella che appare» (frammento 54). Anche le Upanishad indiane affermano qualcosa di simile: «gli dèi amano l’enigma, e a essi ripugna ciò che è manifesto».

Nella comunicazione enigmatica, il pathos del nascosto ci dice solo che l’apparenza inganna. Quel che sembra non è. Di quel che «è» non sappiamo nulla: possiamo interrogarci in proposito, ma ogni nostra ipotesi, nel momento in cui la enunciamo e affiora, rischia di attraversare la soglia dell’apparenza e risultare un’altra volta ingannevole. Il testo enigmistico invece garantisce sempre la presenza di un «senso reale» sotto la superficie del «senso apparente».

Non se ne può più
Il libro dei tormentoni © Mondadori, 2010

La politica, e in particolare la politica italiana, risulta precisamente essere l’arte della quadratura del cerchio.

L’ironia è una strana bestia, di cui è saggio diffidare sia quando c’è sia quando non c’è.

Uno dei sintomi più eloquenti della mancanza di ironia è la convinzione di averla. “Io sono ironico” è una frase autofaga, cioè che si mangia da sola, come l’ordine: “Sii spontaneo!”.

“Social network”, espressione equivalente o quasi a: “un luogo comune tecnologico”.

Come dire
Galateo della comunicazione © Mondadori, 2011 - Selezione Aforismario

Ortografia, sintassi e corretta interpretazione delle parole vengono molto spesso trascurate: vogliamo fare mostra della profondità del nostro animo, e pensiamo al contenuto delle nostre esternazioni; ma il modo in cui lo esprimiamo dimostra solo la profondità della nostra ignoranza.

Per sapere come si scrivono le parole ci sono diversi modi. Il più comune si chiama scuola elementare, ma tende a volatilizzarsi nella memoria.

Pensare che il linguaggio serva soltanto a comunicare e che l’essenziale è intendersi l’un l’altro è come pensare che i vestiti servano a ripararci dal freddo e dalle intemperie. Se la pensate così, mi aspetto di vedervi per strada sotto strati di coperte di lana in inverno, nudi in estate.

Chi mostra le pagliuzze altrui espone le proprie travi al ludibrio del suo prossimo.

“Male non fare, paura non avere”, a parte che sembra un proverbio coniato da Toro Seduto, in linguistica non ha senso: come si fa a sapere di non aver fatto male se non si ha paura di aver appunto sbagliato?

Nessuna correzione è possibile se non si ha almeno un po’ di paura di sbagliare. 

È abbastanza ovvio che non occorra essere somari patentati per commettere errori, soprattutto perché con i tempi e i modi attuali della produzione e della pubblicazione di scritti la correzione degli errori e il controllo della qualità sono sempre più rapidi, sempre meno importanti. Questo non scusa nulla, ma forse spiega qualcosa.

Mettere assieme le parole, quando si è presi dall’entusiasmo del parlare, non sempre è un’operazione che riesce in modo particolarmente accurato. Ecco un esordio entusiastico: PIACERE: “Ciao, sono un ragazzo che gli piaci…”.

Di gentilezza si può morire? A guardarsi attorno parrebbe più pertinente dire che di cafoneria tocca vivere.

Il problema, con la lingua, non è mai se una parola o una frase si dice o non si dice. Il problema è se si addice.

Chiunque scriva e pubblichi sa che i suoi errori verranno notati e censurati con minore o maggiore indulgenza dai lettori, ma che le reprimende più indignate verranno suscitate da un congiuntivo mancato, o mal eseguito.

L’unico modo per non fare errori di grammatica è, infatti, tacere.

Per vivere felici bisogna disinteressarsi della grammatica, non farsene una preoccupazione. Tutte le persone visibilmente felici, nel momento in cui sono visibilmente felici, sono dimentiche della grammatica.

Le proibizioni indicano sempre ciò che le persone tendono a fare, infatti rischiano di dare ottime idee a chi non aveva mai pensato di trasgredire. 

Cos’è il melodramma? Bernard Shaw notoriamente lo descriveva così: “La storia di un tenore e di un soprano che vogliono andare a letto insieme, e di un baritono che glielo impedisce”. 

La retorica berlusconiana, basata su principi di marketing americano anni Cinquanta, per cui il cittadino è uno scolaro di seconda media, e in classe non eccelle neppure. Una retorica che in Italia è peraltro risultata efficacissima, a giudicare dalle mietiture elettorali e dall’autolesionismo di un popolo che ama essere vezzeggiato e instradato, in un eterno clima da gita scolastica in torpedone.

Uno dei punti di forza della commedia all’italiana è il predicare bene e razzolare male, dare buoni consigli ma cattivi esempi. Quella che i teorici dell’umorismo chiamano “bisociazione”, e i pratici della vita conoscono sotto molti altri nomi, è anche una costante della società italiana. Sarà per questo che da noi la commedia ha sempre funzionato meglio della tragedia.

Sedia a sdraio
Giochi impensati per svagare la mente © Salani, 2011

Prendi le ferie, parti per il mare, trovi una spiaggia, ti spogli quasi del tutto, apri una sedia a sdraio, ti ci adagi, chiudi gli occhi. Incomincia il mistero. Cosa si fa quando non si sta facendo nulla?

Dando buca a Godot
Giochi insonni di personaggi in cerca di aurore © Einaudi, 2012

I giochi enigmistici veri e propri richiedono di accettare una sfida (Risolvimi, se non sei una bestia ignorante e incapace!).

Parole in gioco
Per una semiotica del gioco linguistico © Bompiani, 2017

Dal calembour agli schemi di parole crociate, da “È arrivato un bastimento carico di...” al gioco televisivo della “Ghigliottina”, i giochi linguistici hanno potuto sviluppare apparati di regole, rituali di gioco, raffinatezze e capziosità, che a volte li hanno fatti sembrare degni di istituzioni di tipo olimpico o altrimenti di considerazione estetica

Con il tempo ho scoperto che il gioco che mi interessa di più è questo: il gioco inavvertito della parola che pare libera e segue sue regole segrete, da scoprire.

Alla lingua il gioco non è aderente ma inerente: è uno dei suoi apparati circolatori, ha la sua autonomia ma con una certa sistematicità interferisce con tutti gli apparati linguistici considerati maggiori e funzionali.

Non c’è lingua e non c’è epoca in cui non si sia giocato con le parole.

Il gioco è una potenzialità sempre presente nel linguaggio umano: emarginare il primo dal secondo può essere sinora stata, da parte delle scienze umane, una mossa a carattere essenzialmente difensivo.

Banalità
Luoghi comuni, semiotica, social network © Bompiani, 2019

La mediocrità è un carattere che può manifestarsi esteriormente come stupidità, e la stupidità appare dilagare: da stabilire è solo se sia aumentata lei o la consapevolezza che ne abbiamo.

Oggi è proprio il corpo che ci ossessiona. In quanto alla psiche, quella non la curiamo con la parola ma con la chimica, poiché si è deciso che è corpo pure lei e con un po’ di zucchero ogni pillola va giù.

Facciamoci amica la banalità, amici! Quantomeno ci distingueremo dal gregge che intende scansarla.

I luoghi comuni vanno confrontati con le circostanze correnti, come accadeva con i proverbi, che dei luoghi comuni sono stati la versione canonizzata e soprattutto esplicita.

Siamo parificati dalla nostra voglia di differenziarci; a renderci indistinguibili è il nostro comune desiderio di essere distinti.

Mettere al mondo il mondo
Tutto quanto facciamo per essere detti creativi e chi ce lo fa fare
© Bompiani, 2021 - Selezione Aforismario

Anche al netto di ogni mistica e metafisica estetica non si potrà però negare che l’arte consista effettivamente nella creazione di mondi: mondi ideali, mondi possibili, mondi a volte completi e autosufficienti, ovvero opere che costituiscono in sé un mondo. 

Molti esseri umani hanno qualche dubbio sulla propria integrità e autonomia di individui. Il genere umano ha invece passato secoli e millenni nella convinzione apparentemente granitica di avere un ruolo preminente nell’ambito di qualcosa che chiamava Creazione e di cui sentiva di essere, tra le altre, Creatura prima inter pares.

Gli esseri umani agiscono e pensano, pensano che le loro azioni siano “pensate”, abbiano un’origine e un senso. Chiamano per esempio sé stessi “creature” e immaginano di essere stati creati da un dio, gli unici di tutto il creato a essere creati a immagine e somiglianza del creatore. 

Le azioni dell’uomo non sono solo azioni: sono anche pensieri, hanno un senso, infatti significano qualcosa per qualcun altro.

Facile da usare, difficile o anzi impossibile da definire. Così è la parola “creatività”.

Che una parola sia “conosciuta” da tutti non significa che sia intesa allo stesso modo; anzi quella è la garanzia che le cose vadano al contrario.

Artista non è solo la firma quotata sul mercato mondiale, alle cui opere si dedicano esposizioni e sale di musei, né soltanto chi si limita a esporre quadri o altre opere sulle bancarelle delle fiere popolari. È artista anche l’imbianchino che non solo vernicia le pareti di un appartamento a regola d’arte ma ci aggiunge anche qualcosa di suo, quel che si dice “un tocco”. 

Chi non è un genio, per quanto possa essere cólto, nell’opera di un genio può arrivare ad apprezzare soltanto l’inarrivabilità del genio stesso, cioè il fatto che la condizione umana pervenga a esprimersi a livelli tanto elevati. Oltre non si va.

Il genio trascende il tempo storico in cui vive.

Tra gli dèi e gli uomini sono sempre intervenute forme di comunicazione. Dal basso all’alto, la preghiera, l’invocazione, il voto, il rito, il sacrificio, la bestemmia sono alcuni degli atti con cui gli esseri umani indirizzano messaggi o comunque intendono entrare in connessione con le divinità di cui si professano devoti o che almeno riconoscono come tali. Dall’alto al basso, le divinità comunicano perlopiù tramite atti particolari (la grazia, il miracolo, l’epifania, il segno) che prendono poi sostanza linguistica soprattutto in due casi particolari: il caso dell’oracolo e il caso dell’ispirazione, tramite l’intermediazione di sacerdoti, indovini, pizie, profeti, aedi, artisti.

La differenza fra Dio ed essere umano è che Dio è fuori dal tempo, non c’è “novità” nel suo eterno e onnicomprensivo presente. Ma noi siamo nel tempo, e nel tempo in cui siamo ora tocca accontentarsi di perseguire l’emozione della novità. 

L’artista fa pensare a un dio per la potenza della propria ideazione e della propria tecnica di esecuzione.

L’ambito artistico è quello in cui la creatività attribuisce a esseri umani la facoltà, di principio divina, di far essere ciò che non è: l’artista crea mondi – fittizi, immateriali, ipotetici – e ciò fa della sua un’immagine simbolica del dio creatore.

La semiotica è la disciplina in cui nel corso del Novecento sono confluite riflessioni (filosofiche, linguistiche, antropologiche, psicologiche…) a volte millenarie sui diversi sistemi che consentono agli esseri umani di comunicare. È nata come “scienza dei segni” e ha poi variato la definizione del suo oggetto anche in funzione dei diversi orientamenti disciplinari. Ha però continuato a occuparsi in primo luogo delle forme in cui il senso emerge, viene generato e viene interpretato.

Note
Vedi anche frasi e citazioni di: Umberto Eco