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Frasi e citazioni di Federico Rampini

Selezione di frasi e citazioni di Federico Rampini (Genova, 1956), giornalista e saggista italiano naturalizzato statunitense; corrispondente di la Repubblica da New York, ha esordito come giornalista nel 1979 scrivendo per Rinascita. Già vicedirettore del Sole 24 Ore, è stato editorialista, inviato e corrispondente a Parigi, Bruxelles, San Francisco, Pechino. Ha insegnato alle Università di Berkeley e Shanghai e al Master della Bocconi. È autore di numerosi saggi.
Quel che resterà di noi, alla fine, saranno gli atti più delle parole.
Siamo sempre in tempo per rimettere mano alla nostra biografia.
(Federico Rampini)
Il secolo cinese
Storie di uomini, città e denaro dalla fabbrica del mondo © Mondadori, 2005

La Cina incarna il più grande popolo di consumatori, il più vasto bacino di forza lavoro e una nazione che riesce a eccellere nella ricerca scientifica, nella conquista dello spazio, nelle biotecnologie. Minaccia o opportunità, non ci si può permettere di ignorarla.

Mentre trasforma se stessa a una velocità inaudita, la Cina trasforma inevitabilmente l’intero pianeta. Mai, nel mondo contemporaneo, un paese emergente ha avuto lo stesso potere di scuotere i rapporti di forza economici e gli equilibri diplomatici e militari.

Occidente estremo
Il nostro futuro tra l'ascesa dell'impero cinese e il declino della potenza americana
© Mondadori 2010 - Selezione Aforismario

C’è qualcosa di fecondo nella decadenza: è la fase in cui un impero perde le certezze, quindi diventa più eclettico, si rimette in discussione, sperimenta, fa incroci, si apre alle contaminazioni dell’Altro. 

Viviamo un secolo segnato dalla transizione storica, dal ritorno del centro degli eventi verso Oriente. 

La paura è una forza formidabile, chi sa usarla in politica può trascinare le folle verso scelte irreparabili. 

Se nel produrre i cinesi hanno conquistato un primato mondiale, nell’inventare (oggetti e tendenze, stili di vita e paradigmi sociali) i migliori restano gli americani, anche grazie a quei talenti stranieri che gli Stati Uniti «adottano» di continuo nella loro società aperta.

Un valore tipicamente occidentale resta il diritto al dubbio, il dissenso, l’amore del pensiero trasgressivo. 

Se Steve Jobs, il geniale creatore di Apple e Pixar, fosse vissuto in Cina anziché in California, forse sarebbe finito in carcere o in esilio prima di diventare… Steve Jobs. Perché certe punte di creatività sono possibili solo in un sistema che premia gli originali, i ribelli, gli outsider.

Noi occidentali ci siamo illusi che la Cina a furia di modernizzarsi sarebbe diventata sempre più simile a noi. Finora la diversità cinese resta profonda, radicata, irriducibile.

L’America attraversa una profonda crisi d’identità: non è più sicura di se stessa, del proprio ruolo nel mondo, della validità del modello occidentale di cui è stata per un secolo la «titolare» per eccellenza. 

L’America non ha altra scelta, deve resuscitare il fascino universale di valori come l’innovazione sociale, la società aperta, la libertà di espressione, i diritti democratici, il pluralismo politico. Ma deve farlo riscoprendo la lezione di uno dei padri fondatori, John Quincy Adams, che ammoniva così il suo Paese: «Non andare all’estero in cerca di mostri da distruggere, sii una guida con il tuo esempio».

Abituato a considerarsi il centro del mondo, l’Occidente proietta il suo pessimismo su scala universale. Senza rendersi conto di essere ormai minoranza: chi fa tendenza sono gli altri, il pianeta che cresce.

Alla mia sinistra
Lettera aperta a tutti quelli che vogliono sognare insieme a me © Mondadori, 2011

La Storia siamo noi, nel senso che possiamo influire sul corso degli eventi. Riusciremo a farlo solo se troviamo una narrazione comune che tenga insieme i bisogni e le aspirazioni non di una sola categoria, non di una sola nazione, ma dell’umanità intera.

Plutocrazia, tecnocrazia, populismo, autoritarismo sono i mali che minacciano le nostre democrazie. L’Italia è un piccolo laboratorio mostruoso di queste patologie.

Voi avete gli orologi, noi abbiamo il tempo
Manifesto generazionale per non rinunciare al futuro © Mondadori, 2012

Un antico proverbio afgano dice «Voi avete gli orologi, noi abbiamo il tempo», un motto contro la frenesia occidentale. Qualche capello bianco insegnerà anche a noi a ridurre la velocità e a investire nella saggezza? 

Quel che resterà di noi, alla fine, saranno gli atti più delle parole. Siamo sempre in tempo per rimettere mano alla nostra biografia.

Siamo di fronte alla necessità di inventare un nuovo ruolo per un’età che ancora non esiste nella scansione tradizionale, cioè il periodo in cui la società esige che ci si prepari alla pensione e, al tempo stesso, non si è affatto vecchi. La «materia grigia delle pantere grigie», cioè l’intelligenza e l’esperienza degli ultracinquantenni e ultrasessantenni, può diventare il nostro petrolio, una risorsa strategica.

La nostra è la Generazione Io, che ha attraversato una poderosa corrente culturale di «narcisismo». Rispetto ai nostri nonni, essendoci liberati dai vincoli di una società patriarcale, autoritaria e gerarchizzata (che invece resiste ancora in molte parti dell’Asia e dell’Africa), siamo cresciuti in un’atmosfera di individualismo edonista, con punte di protagonismo sfrenato.

Perché siamo stati i genitori più permissivo-protettivi della storia? Forse per un inconscio senso di colpa, perché sentivamo di essere l’ultima generazione fortunata, gli ultimi ad aver goduto (sia pure con immense diseguaglianze in mezzo a noi) dei frutti di un’Età dell’Oro del capitalismo occidentale.

Demonizzare lo sviluppo è politically correct, almeno se si è europei. E benestanti (le due cose ancora tendono a coincidere, abbastanza spesso).

Il pessimismo è diventato bipartisan. È una caratteristica generazionale? Di certo è un chiaro sintomo d’invecchiamento.

Quello che ci rende ciechi – e pessimisti – è l’ossessiva attenzione al Pil e a ogni altra misurazione economica del benessere. Per quanto diciamo che il Pil non è tutto, poi per pigrizia finiamo per guardare quasi solo a quello.

Una cosa che continuo ad apprezzare dell’America è l’idea diffusa che si può sempre ricominciare, voltar pagina e ripartire su basi nuove, e quindi che può esserci una «seconda vita» forse anche più piena di senso della prima.

Rete padrona
Amazon. Apple, Google & co. Il volto oscuro della rivoluzione digitale © Feltrinelli, 2014

I grandi amori sono pericolosi. Preparano delusioni, ferite incurabili.

La Silicon Valley, e con essa tutta l'economia digitale, è il terreno di uno scontro continuo, inestinguibile, tra due anime: quella anarchico-libertaria e quella del capitalismo monopolistico. A volte gli stessi individui nel corso della loro traiettoria passano da un campo all'altro. Purtroppo l'evoluzione è quasi sempre unidirezionale: idealisti da giovani, avidi di potere da "vecchi".

Apple e Google figurano tra i campioni mondiali dell'elusione fiscale. Il volto prepotente e malefico della Rete ci riguarda tutti. Sono loro i nuovi Padroni dell'Universo. Ogni cittadino del mondo deve conoscerli, per imparare a difendersi.

L'età del caos
Viaggio nel grande disordine mondiale © Mondadori, 2015

I più giovani, i più trasgressivi, i più creativi tra di noi sentono nel Caos una promessa di illimitate possibilità. Un mondo non determinato, un mondo dove minuscoli cambiamenti oggi possono produrre grandi conseguenze domani: perché mai dovremmo vederne solo il lato negativo?

Conoscere il Caos è la condizione essenziale per padroneggiarlo, o almeno per galleggiare, sopravvivere, adattarsi.

Basta leggere i giornali, accendere la Tv, per averne conferme angoscianti. Il mondo ci sembra impazzito. L’attualità quotidiana è una fonte di panico.

Il declino (relativo) dell’America non è compensato dal sorgere di un avvenire radioso sotto altri paesi egemoni. Del resto, chi di noi (sano di mente e in buona fede) sinceramente brama di vivere sotto una pax cinese o russa? Anche l’antiamericanismo ha dei limiti!

Il tradimento
Globalizzazione e immigrazione, le menzogne delle élite © Mondadori, 2016

Il mondo sembra impazzito. Stagnazione economica. Guerre civili e conflitti religiosi. Terrorismo. E, insieme, la spettacolare impotenza dell’Occidente a governare questi shock, o anche soltanto a proteggersi.

Il tradimento delle élite è avvenuto quando abbiamo creduto al mantra della globalizzazione, abbiamo teorizzato e propagandato i benefici delle frontiere aperte: e questi per la maggior parte non si sono realizzati. Quando abbiamo continuato a recitare un’astratta retorica europeista mentre per milioni di persone l’euro e l’austerity erano sinonimi di un grande fallimento.

Quando sei nell’epicentro di una crisi, hai la stessa illusione ottica del navigante in mezzo alla tempesta: sembra che l’orizzonte sia scomparso e l’uragano sia destinato a durare sempre.

La verità è che alcune oligarchie hanno distorto il mercato, hanno pilotato la globalizzazione perché fosse al servizio dei loro interessi, hanno usato il progresso tecnologico per eliminare lavoro umano e concentrare i profitti in poche mani. Tutto questo è frutto di azioni umane, scelte politiche. E come tale è anche reversibile.

La fabbrica delle salsicce è meglio non visitarla mai, se non vuoi diventare vegetariano per sempre. È una vecchia battuta di cui molti si sono attribuiti la paternità. Risale alla fine dell’Ottocento. La fabbrica delle salsicce è la democrazia. È la politica vista da vicino. Brutta, sporca e cattiva. Nauseabonda. Disgustosa. Poi, alla fine, guardando ai risultati, è meno peggio di ogni altro regime al mondo. 

Anche i ventenni di oggi vedranno un futuro migliore. Auguro loro di riuscire dove la mia generazione non è stata capace: nel costruire una ricchezza condivisa di valori, al di sopra degli egoismi.

Quando inizia la nostra storia
Le grandi svolte del passato che hanno disegnato il mondo in cui viviamo
© Mondadori, 2018 - Selezione Aforismario

«Chi non conosce la storia è condannato a ripeterla» ha detto il filosofo George Santayana. I vincoli del passato comandano il mondo. Se impariamo a decifrare gli antefatti, a misurare il peso della storia sulle nostre scelte di oggi, guadagniamo in lucidità e in profondità.

Viaggiare nel passato regala a ciascuno di noi quella che immagino sia l’esperienza dell’astronauta: vedere il mondo con distacco, liberarsi dall’ossessione del presente, dalla dittatura dell’attualità. Forse ci guadagniamo in oggettività, conquistiamo perfino una serenità preziosa.

Cosa rimane della professionalità di un giornalista se non va più a vedere le cose, a esplorare paesi lontani, a documentarsi sull’agenda dei governi stranieri, sulle tensioni tra i popoli, le linee di frattura tra le civiltà e le egemonie imperiali?

Leggiamo, leggiamo. E una risata seppellirà le idiozie del nostro tempo.

La riscoperta della storia è una terapia della mente. In tempi instabili, lo studio dei tempi lunghissimi, il distacco dal presente, aiutano a fare luce nel buio.

La storia studiata male diventa una trappola: ognuno s’inventa un passato di comodo, fatto su misura per i propri pregiudizi o le proprie illusioni, una ricostruzione ideologizzata.

Purtroppo, il giornalismo è raramente la prima stesura della Storia. Più spesso è la versione sbagliata, approssimativa, fuorviante, che rischia di essere stravolta o capovolta quando ne sapremo di più.

I cantieri della storia
Ripartire, ricostruire, rinascere © Mondadori, 2020 - Selezione Aforismario

La memoria storica di noi umani è imprecisa, fantasiosa, mitologica. Siamo una specie che si distingue dagli altri animali per le storie che ci raccontiamo, e la Storia con la maiuscola è solo una di queste.

Il crollo dell’Impero romano è l’archetipo di ogni decadenza: ebbe subito un impatto enorme sui contemporanei, che ne vissero tutte le conseguenze disastrose; con il passare dei secoli ha acquistato la forza di un mito. Ogni altro impero – oggi diciamo «superpotenza» – prima o poi ha paura di fare quella fine, cerca di capire come accadde, tenta di evitare quel destino.

Ripartire, ricostruire, rinascere. Ce n’è un gran bisogno. La buona notizia è questa: siamo capaci di farlo. È una delle cose che ci riescono sempre.

Civiltà intere sono sopravvissute a eventi terribili. Dopo ogni guerra c’è stata una ricostruzione. Dopo ogni depressione arriva un’età dell’ottimismo e del progresso.

Quando tutto sembra perduto – proprio tutto –, c’è qualcuno che scavando sotto le macerie mette in salvo dei tesori: perché altre generazioni li possano usare.

Oriente e Occidente
Massa e individuo © Einaudi, 2020

Non ci sono valori da una parte e disvalori dall’altra. Tra noi e loro è in atto da due millenni un gioco di specchi rovesciati, immagini manipolate. Occidente e Oriente si fanno un’idea di sé grazie alla contrapposizione, a volte immaginaria. L’identità che diamo all’Altro, per uno scherzo della storia, ogni tanto contribuisce davvero all’immagine che gli orientali hanno di sé stessi. Ma è un gioco dove forse si stanno invertendo i ruoli, e presto sarà l’Oriente a dirci chi eravamo, chi siamo noi.

Note
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