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Frasi e citazioni sugli Hikikomori

Raccolta di aforismi, frasi e citazioni sugli hikikomori, termine giapponese, coniato dallo psichiatra Tamaki Saitō, che significa "stare in disparte" o "distaccarsi", composto da hiku, "tirare", e komoru, "ritirarsi" o "chiudersi", e indica coloro che, soprattutto in età giovanile, si isolano dal mondo e dalla società chiudendosi in casa o nella propria stanza per lunghi periodi di tempo. Il termine "hikikomori" è tradotto in inglese con “social withdrawal” e in italiano con “ritiro sociale”. Alcuni studiosi hanno definito gli hikikomori come degli "eremiti metropolitani" o degli "eremiti postmoderni". Secondo la definizione dello psicologo Marco Crepaldi [1]: 
"L’Hikikomori può essere interpretato come una pulsione all’isolamento fisico, continuativa nel tempo, che si innesca come reazione alle eccessive pressioni di realizzazione sociale, tipiche delle società capitalistiche economicamente sviluppate".
Come notano Federica Andorno e Matteo Lancini: 
"La realizzazione dei compiti evolutivi dell’adolescenza richiede una graduale apertura verso il mondo dei pari, la sperimentazione di sé al di fuori della nicchia affettiva familiare e la constatazione, frustrante, che il proprio Sé abbia, in realtà, numerosi limiti, che lo rendono meno speciale di quanto apparisse durante l’infanzia. Accade, però, che vi siano ragazzi, narcisisticamente molto investiti dalla propria famiglia e dal contesto sociale adulto, che di fronte al debutto adolescenziale, pur sentendo una forte spinta evolutiva, non riescano a tollerare la vergogna del possibile fallimento della grandiosità infantile e decidano di fare più di un passo indietro. Ci si imbatte così, improvvisamente, in adolescenti che decidono di disinvestire la scuola, le relazioni, la crescita e, più profondamente, la speranza nel futuro". [Il ritiro sociale negli adolescenti, 2019].
Il fenomeno degli hikikomori, presente in Giappone dalla seconda metà degli anni ottanta, ha cominciato a diffondersi negli anni duemila anche negli Stati Uniti e in Europa. In un’intervista del 2015, l'antropologa Carla Ricci sostiene che 
“in Italia, il fenomeno hikikomori esiste ed è in crescita, sia per alcune condizioni che lo rendono simile al Giappone: eccessiva protezione della famiglia, narcisismo, stretta relazione madre-figlio, sia per le condizioni sociali che favoriscono uno stato di incertezza, insicurezza e disorientamento, che, per chi è emotivamente più esposto, possono rappresentare una spinta decisiva verso il ritiro”.
Su Aforismario trovi altre raccolte di citazioni correlate a questa sulla fobia sociale, gli asociali, l'isolamento, le persone solitarie e il male di vivere. [I link sono in fondo alla pagina].
Ragazzo gioca ai video games
Stiamo diventando noi pure tanti isolati hikikomori che si illudono di essere ipersociali,
iperconnessi, iperelazionali, ipersintoni, e invece siamo ipersolitari schizoidi.
(Piero Cipriano)

Caratteristica essenziale, oltre all’isolamento, è l’uso continuo di internet. Per cui, ecco che gli hikikomori sono soli, ma convinti di non esserlo. Perché magari si sentono iperconnessi. Hanno migliaia di amicizie virtuali su Facebook, chattano, likano, linkano, twittano, selfeggiano con il misero sfondo di un cuscino, e però agli occhi di un esterno sono soli, sepolti, tumulati nella loro camera.
Piero Cipriano, La società dei devianti, 2016

Stiamo diventando noi pure tanti isolati hikikomori che si illudono di essere ipersociali, iperconnessi, iperelazionali, ipersintoni, e invece siamo ipersolitari schizoidi
Piero Cipriano, ibidem

L’Hikikomori sembra avere un’origine indipendente dalle nuove tecnologie. Basti pensare che negli anni ’80, quando il fenomeno esplose in Giappone, internet non era ancora entrato a far parte della vita quotidiana delle persone e i primi ritirati sociali erano completamente isolati dal mondo esterno, non avendo alcuna possibilità di entrare in comunicazione con esso, nemmeno virtualmente.
Marco Crepaldi, Hikikomori, 2019 [1]

Internet potrebbe aver avuto un effetto acceleratore, ampliando esponenzialmente le risorse a disposizione degli Hikikomori nella condizione di isolamento e rendendo di fatto maggiormente attraente tale strada, almeno più di quanto lo fosse nell’era pre-digitale.
Marco Crepaldi, ibidem

La perdita di senso e di significato, nel caso degli Hikikomori, si trova a monte. Il videogioco va proprio a tentare di colmare un vuoto. Ciò significa che tolto il videogioco, tolto il computer, tolto internet, il vuoto rimane.
Marco Crepaldi, ibidem

Gli Hikikomori si isolano per fuggire dalla sofferenza che provoca loro la socialità e all’interno della propria abitazione riescono a ritrovare, seppur momentaneamente, quell’equilibrio che invece non sono stati in grado di raggiungere nella società esterna.
Marco Crepaldi, ibidem

Dietro alla scelta di ritiro degli Hikikomori, si cela spesso una componente valutativa e razionale profondamente radicata. Si tratta infatti di soggetti che hanno sviluppato nel corso degli anni una visione particolarmente cinica, critica e negativa nei confronti delle relazioni sociali e della società nel suo complesso, arrivando spesso a desiderare consciamente di non farne parte.
Marco Crepaldi, ibidem

Gli Hikikomori si isolano dalla società solamente con il corpo, non con la mente. 
Marco Crepaldi, ibidem

Quella degli Hikikomori non è asocialità, bensì una forma di socialità alternativa, che non necessità della componente fisica della persona. Una socialità consentita dalle nuove tecnologie, destinata in futuro a diventare sempre più centrale nella vita dell’uomo.
Marco Crepaldi, ibidem

Hikikomori non è solamente chi non esce mai di casa, ma anche chi esce con fatica, con sofferenza e con disagio, chi esce senza trovare una reale motivazione e lo fa solo perché si tratta di una consuetudine o di un obbligo, chi esce ma non socializza con nessuno, rimanendo a tutti gli effetti isolato anche in un contesto sociale.
Marco Crepaldi, ibidem

Parallelamente a questo istinto di fuga, solitamente l’Hikikomori sviluppa anche una grande sfiducia nelle relazioni interpersonali e, talvolta, una forte negatività nei confronti della società moderna e delle sue dinamiche.
Marco Crepaldi, ibidem

La scelta di un Hikikomori di isolarsi rappresenta sostanzialmente la volontà di abbandonare la corsa, rifiutando “le regole del gioco”.
Marco Crepaldi, ibidem

Il fuoco, ossia l’emozione dominante che si trova alla base della scelta di ritiro, è la paura. La paura di fallire, la paura di essere giudicati per i propri insuccessi, per le proprie mancanze; la paura di non essere all’altezza delle aspettative altrui, ma non solo, anche delle proprie.
Marco Crepaldi, ibidem

In generale, quello che sembra mancare spesso agli Hikikomori è uno scopo in grado di conferire senso all’esistenza, una prospettiva nella quale identificarsi e nella quale trovare gratificazione personale.
Marco Crepaldi, ibidem

L’aspetto forse più complesso dell’Hikikomori è che i ragazzi isolati spesso negano categoricamente di avere un problema e, di conseguenza, rifiutano qualsiasi tipo di supporto. La domanda che viene allora spontaneo porsi è la seguente: “Come si aiuta chi non vuole essere aiutato?”
Marco Crepaldi, ibidem

La coercizione raramente restituisce dei risultati positivi con gli Hikikomori poiché non fa altro che confermare la sfiducia che nutrono nei confronti del prossimo e della società.
Marco Crepaldi, Hikikomori, 2019 [1]

L’autoreclusione sembra assumere il valore simbolico di una nuova modalità di espressione del disagio giovanile, diventando oggetto e mezzo di comunicazione di conflitti, problematiche familiari, scolastiche, sociali e psicologiche.
Matteo Lancini (e altri), Il ritiro sociale negli adolescenti, 2019

Il giovane in autoreclusione dapprima abbandona la scuola o il lavoro e, successivamente, tende a sottrarsi gradualmente dalle relazioni sociali, trascorrendo la quotidianità all’interno della propria camera, in totale isolamento. Al riparo delle mura domestiche affronta i giorni, consumando i pasti, solitamente invertendo il ciclo circadiano, restando sveglio di notte e dormendo di giorno, e utilizzando, a volte, Internet come unico canale di contatto con il mondo.
Matteo Lancini (e altri), ibidem

Le cause che favoriscono l’entrata in hikikomori sembrano riconducibili alla cultura familiare e, in particolare, al rapporto di “amae” [dolcezza] tra madre e figlio, a un sistema scolastico altamente competitivo e agli episodi di bullismo scolastico che, in una società che prevede un’alta adesione al gruppo come quella giapponese, costituiscono un problema particolarmente significativo.
Matteo Lancini (e altri), ibidem

Gli hikikomori spesso narrano di vissuti di inadeguatezza rispetto alle alte richieste scolastiche e alle aspettative dei genitori. Le esperienze di fallimento porterebbero i futuri autoreclusi a percepirsi come inadatti rispetto ai compiti scolastici e a credere di essere inefficaci di fronte alle difficoltà. Ciò condurrebbe a un progressivo stato di demotivazione e rinuncia che favorisce, inizialmente, l’abbandono scolastico e, successivamente, l’isolamento.
Matteo Lancini (e altri), ibidem

Il fenomeno del bullismo scolastico è correlato a numerosi casi di suicidio di bambini o adolescenti sopraffatti dalla vergogna derivante dall’essere stati esclusi dal gruppo. Gli hikikomori non scelgono di morire, ma di allontanarsi e di rifiutare tutto ciò che porta sofferenza.
Matteo Lancini (e altri), ibidem

Non è una presunta dipendenza da Internet a condurre sulla strada del ritiro, ma la fatica a tollerare i dolorosissimi vissuti legati a quanto accade quotidianamente, al di fuori delle mura domestiche, a spingere verso l’autoreclusione e a ricercare disperatamente nuove forme comunicative, capaci di suscitare livelli di ansia sociale più tollerabili.
Matteo Lancini (e altri), ibidem

Gli eremiti metropolitani non rifiutano a priori la società, anzi nel periodo che precede il ritiro, spesso, fanno di tutto per farne parte, ma non ci riescono; sembrano non conoscere i linguaggi dell’adolescenza e sviluppano la convinzione di non essere idonei per questa società e che, quindi, l’unica soluzione accettabile, anche in protezione del proprio Sé ferito, sia quella di rinchiudersi in casa, nella propria stanza.
Matteo Lancini (e altri), ibidem

I ragazzi ritirati sono attanagliati anche da una profonda fragilità narcisistica, determinata dalla quantità insopportabile di vergogna nei confronti dell’altro, che impedisce di conservare i legami relazionali e conduce all’autoreclusione.
Matteo Lancini (e altri), ibidem

Il ritiro del figlio mostra una famiglia stravolta, che non riesce a comprendere i motivi – fonte di grande sofferenza – che hanno portato l’adolescente a scegliere di autorecludersi. Padre e madre si muovono in direzioni diverse, perdendo la coerenza sia educativa sia affettiva.
Matteo Lancini (e altri), ibidem

All’interno della propria cameretta, dopo essersi allontanati dalle relazioni, spesso, i ragazzi ritirati si immergono, dunque, in Internet. L’ambiente virtuale si costituisce progressivamente come l’unico canale utilizzabile per non perdere qualsiasi contatto con se stessi e con il mondo. 
Matteo Lancini (e altri), ibidem

La rete rappresenta una sorta di “incubatrice psichica virtuale” che consente di anestetizzare l’angoscia e la solitudine, mantenendo in vita la prospettiva di un possibile futuro, in questo momento non realizzabile, ma almeno in parte pensabile.
Matteo Lancini (e altri), ibidem

L’autoreclusione rigorosa è preceduta da un progressivo processo di rifiuto delle proposte provenienti dagli altri, fino al completo isolamento come forma di allontanamento da tutto ciò che provoca ansia e dolore. La realtà esterna pone esami ai quali lui sarà inesorabilmente bocciato. 
Matteo Lancini (e altri), ibidem

Nell’autoreclusione più severa, l’adolescente trova una condizione egosintonica, che consente di prendere fiato, che elude l’ansia e lenisce l’angoscia, che allontana le fobie e consente di ricreare un clima in cui si possa ancora vivere. 
Matteo Lancini (e altri), ibidem

L’isolamento prolungato tende ad attivare una serie di sintomi di malessere fisico e psicologico che riducono progressivamente la qualità di vita dell’adolescente. Il circuito della vergogna, che caratterizza il giovane ritirato, attiva un’ansia profonda e la fobia dell’altro e, di conseguenza, pensieri paranoici.
Matteo Lancini (e altri), Il ritiro sociale negli adolescenti, 2019

L’epidemia di ritirati sociali è un’impressionante documentazione della diffusione del conflitto con la crudeltà dei modelli ideali, in assenza della mediazione con il mondo dei valori etici e delle regole, che affligge la nuova generazione di giovani esposti alla decisione se accettare di competere oppure ritirarsi e vivere nel mondo virtuale offerto da internet in cui il proprio avatar non sperimenta alcuna vergogna e può finalmente fare sia la guerra che l’amicizia e l’amore con tutti i coetanei del pianeta senza più doversi nascondere allo sguardo dell’altro: senza corpo si vive molto meglio.
Gustavo Pietropolli Charmet, L'insostenibile bisogno di ammirazione, 2018

Gli hikikomori hanno abbandonato l'isolamento sociale, in cui vivono tante altre persone attraverso l'apparente normalità quotidiana, per rifugiarsi in un isolamento privato, incondizionato e totale. Tale aspetto rappresenta la forza sovversiva di cui loro sono inconsapevoli portatori, poiché è qualcosa di mai compiuto finora in nessuna altra dimensione sociale di cui si abbia conoscenza.
Carla Ricci, La solitudine liberata, 2012

Sostanzialmente gli hikikomori vengono considerati dai Giapponesi persone malate o con problemi psicologici, anche se il pensiero base non apertamente espresso è che essi siano persone improduttive e per questo ritenute parassite per la società.
Carla Ricci, ibidem

Da parte mia. non sono del tutto certa del fatto che gli hikikomori abbiano scelto di auto-recludersi o se in quella stanza ci siano stati simbolicamente trascinati. Sostanzialmente propendo per la seconda ipotesi; non ho comunque alcun dubbio nel sostenere che quell'atto non rappresenta, quasi per nessuno di loro, una azione di consapevole ribellione ad un sistema che non si approva, bensì è qualcosa che si pratica poiché è l'unica cosa che si ha la forza di fare.
Carla Ricci, ibidem

Gli hikikomori giapponesi non sono giovani ribelli che detestano la società e per questo, come atto di protesta, si ritirano nella propria stanza e vi rimangono per anni e non sono neppure persone malate che non hanno la capacità di condurre una vita normale, ma sono piuttosto persone metaforicamente ferite che si sentono inadatte per le esigenze sociali e intravedono nella loro stanza Punico luogo adatto per vivere.
Carla Ricci, ibidem

Proprio a causa del senso di nonsenso gli hikikomori sono figli cresciuti del Giappone, ma io credo che apparterranno a un futuro a cui le società passivamente dovranno abituarsi.
Carla Ricci, ibidem

Rispetto ad altre espressioni di sofferenza, il ritiro in hikikomori rappresenta un evento nuovo sui cui contenuti dovremmo porre una attenzione speciale. Per quello che mi riguarda, la potenza che ad esso vorrei attribuire è l'individuazione di un eclatante, sebbene devastante, atto che alcuni individui, principalmente giovani uomini giapponesi, per primi hanno compiuto, contagiati da una alienazione satura di un senso di nonsenso che l'umanità tutta ha creato per l'umanità stessa. Una alienazione che loro, per una serie di eventi che sincronicamente si sono allineati, non hanno soffocato ma a cui hanno inconsapevolmente dato maggiore voce mettendo in atto il ritiro.
Carla Ricci, La solitudine liberata, 2012

All'epoca ero convinto che mantenere un atteggiamento cinico su tutto fosse fico. Cinico nello studio, nell'amore, nei rapporti con gli amici... ed ecco il risultato: sono un hikikomori.
Tatsuhiko Takimoto e Satoru Nishizono, Welcome to the NHK, 2006

Alla fine... ecco cosa significa essere un hikikomori. Praticamente... equivale a essere prigionieri di se stessi.
Tatsuhiko Takimoto e Satoru Nishizono, ibidem

Domanda: perché siamo hikikomori? Perché odiamo la gente... perché non abbiamo fiducia in noi stessi... A quanto pare sono tutte risposte giuste, ma non in modo assoluto...
Tatsuhiko Takimoto e Satoru Nishizono, ibidem

Domanda: quand'è che uno può continuare a starsene chiuso in casa? Risposta: quando gli vengono garantiti abbigliamento, vitto e alloggio. Finché ti viene concesso il minimo necessario per vivere, puoi permetterti di tapparti in casa per sempre. Ma quando il sostentamento non è più garantito, se non hai la forza di morire... ti tocca lavorare.
Tatsuhiko Takimoto e Satoru Nishizono, ibidem

Per uno hikikomori l'inverno è doloroso. Fa freddo, si gela, e io sono triste. Per uno hikikomori anche la primavera è dolorosa. Sono tutti euforici e io sono invidioso. L'estate, poi, è dolorosa da morire.
Tatsuhiko Takimoto e Satoru Nishizono, Welcome to the NHK, 2006

Note
  1. Marco Crepaldi: specializzato in psicologia sociale e comunicazione digitale, nel 2017 ha fondato l’associazione nazionale Hikikomori Italia di cui è tuttora presidente. I suoi studi si concentrano sul crescente fenomeno mondiale dell’isolamento sociale giovanile, con particolare attenzione al contesto italiano, occupandosi parallelamente di tutte le problematiche a esso associate, come, ad esempio, la depressione esistenziale e la dipendenza dalle nuove tecnologie. Le citazioni di Marco Crepaldi riportate sopra sono tratte dal suo libro: Hikikomori. I giovani che non escono di casa, Alpes Italia, 2019.
  2. Nota bene: tutte le citazioni riportate in questa pagina non hanno alcun valore dal punto di vista dell'informazione sanitaria, ma soltanto culturale.
  3. Vedi anche aforismi, frasi e citazioni su: Fobia Sociale - Asociali - Isolamento - Persone Solitarie - Male di Vivere