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Frasi e citazioni di Miguel Benasayag

Selezione di frasi e citazioni di Miguel Benasayag (Buenos Aires, 1953), filosofo e psicoanalista argentino naturalizzato francese. Un tratto fondamentale della "filosofia" di Miguel Benasayag può essere rilevato da questa sua affermazione:
"Il colonialismo, il razzismo, il sessismo, la xenofobia, la dittatura dei piccoli barbari delle scuole di marketing, la tremenda dittatura dei ‘piccoli esseri normali’, tutti questi, alla maniera dei tristi pubblicitari della performance, ci invitano a funzionare bene. Noi, le donne e gli uomini per i quali i corpi sono pesanti, desideranti, sottomessi a pulsioni, noi che abbiamo l’intuizione che esistere non sia funzionare, non dobbiamo cedere a quella paura che ci invita a entrare in gabbia per la nostra maggiore felicità". [Funzionare o esistere?, 2018].
Se si vuole comprendere la novità della sofferenza attuale,
bisogna  intendere il diktat del biopotere postmoderno:
“Non essere come sei”, o meglio: “Sii il meno possibile…
per meglio divenire gelatina plasmabile”. (Miguel Benasayag)
Il mito dell'individuo
Le Mythe de l'individu, 1998

L'individuo, come in una caricatura cartesiana, dubita di tutto tranne che di sé stesso.
[L'individu, comme dans une caricature cartésienne, doute de tout sauf de lui].

L'individuo è un personaggio di inflessibile arroganza che agisce come se fosse il centro dell'universo. Tutte le teorie relativistiche sono lì per dimostrargli che è l'unico che conta. Non si smette mai di lusingare il narcisismo dei nostri contemporanei.

Contropotere
Du Contre-pouvoir, 2000 (con Diego Sztulwark) - Selezione Aforismario

Oggi, l’unica cosa «seria» da fare consiste nel pensare e nello sviluppare pratiche alternative di superamento concreto del capitalismo. La sola cosa davvero seria è la costruzione di un’autentica rivolta anticapitalista, di nuove efficaci forme di solidarietà.

Il mondo distribuisce etichette e noi c’identifichiamo con queste e finiamo per considerarle più autentiche del reale che devono classificare.

Ribellarsi non vuol dire «pensarla diversamente», nel senso di avere opinioni diverse, ma rendere operanti pratiche concrete di liberazione, forme di vita differenti. Di qui il carattere prima di tutto «esistenziale» dell’impegno.

Viviamo in un’epoca profondamente segnata dalla tristezza, non solo la tristezza delle lacrime, ma soprattutto quella dell’impotenza.

Gli uomini e le donne della nostra epoca vivono nella certezza che la vita sia tale che l’unica cosa che possiamo fare, per non peggiorare le cose, sia di sottometterci alla disciplina dell’economicismo, dell’interesse e dell’egoismo.

Il tiranno ha bisogno della tristezza, perché così ognuno di noi si isola nel suo piccolo mondo, virtuale e inquietante, proprio come gli uomini tristi hanno bisogno del tiranno per giustificare la propria tristezza.

La tristezza è profondamente reazionaria. Ci rende impotenti.

Il potere ci vuole isolati e tristi: impariamo a essere allegri e solidali.

Gli individui sono tristi sedentari ingabbiati nelle etichette e nei ruoli; l’alternativa impone di far proprio un nomadismo libertario.

Questo mondo unificato è un mondo fatto merce, che si oppone alla molteplicità dell’esistenza, alle infinite dimensioni del desiderio, della fantasia e della creazione. E che si oppone, fondamentalmente, alla giustizia.

Desiderare il potere del padrone è l'opposto del desiderio di libertà. La libertà è diventare liberi.

Battersi contro le etichette implica anche il nostro desiderio di metterci in contatto con le lotte di coloro che sono chiamati «anormali» o «handicappati». Noi affermiamo che non esistono uomini e donne «anormali» o «handicappati», ma persone e modi d’essere diversi.

Non c’è libertà se non nelle pratiche di liberazione.

Handicappati, disoccupati, pensionati, culture emarginate, omosessuali, sono tutte categorie sociologiche che operano separando e isolando sulla base dell’impotenza, di ciò che non si può fare, rendendo unilaterale e immiserendo il molteplice, ciò che può essere visto come sorgente di forza.

Resistere significa creare legami fra tutti i «senza»: i senza tetto, i senza lavoro, i senza documenti, i senza dignità, i senza terra, tutti i «senza» che non hanno il colore giusto della pelle, una giusta pratica sessuale e così via; un'unione dei «senza», una fraternità tra i «senza», non per essere «con» ma per costruire una società in cui i «senza» e i «con» non esistano più.

L'epoca delle passioni tristi 
Les Passions tristes. Souffrance psychique et crise sociale, 2003
(con Gérard Schmit) - Selezione Aforismario

Viviamo in un’epoca dominata da quelle che Spinoza chiamava le “passioni tristi”. Con questa espressione il filosofo non si riferiva alla tristezza del pianto, ma all’impotenza e alla disgregazione.

Le passioni tristi, l’impotenza e il fatalismo non mancano di un certo fascino. È una tentazione farsi sedurre dal canto delle sirene della disperazione, assaporare l’attesa del peggio, lasciarsi avvolgere dalla notte apocalittica che, dalla minaccia nucleare alla minaccia terroristica, cala come un manto a ricoprire ogni altra realtà. È a questo che ciascuno di noi deve resistere…, creando.

Assistiamo, nella civiltà occidentale contemporanea, al passaggio da una fiducia smisurata a una diffidenza altrettanto estrema nei confronti del futuro.

Freud scriveva che “in mancanza della felicità gli uomini si accontentano di evitare l’infelicità”. Oggi, la sconfitta dell’ottimismo ci lascia non solo senza promesse future ma, peggio ancora, con il sentimento che perfino “evitare l’infelicità” sia un compito troppo arduo per i nostri contemporanei.

Constatiamo il progresso delle scienze e, contemporaneamente, dobbiamo fare i conti con la perdita di fiducia e con la delusione nei confronti di quelle stesse scienze, che non sembrano più contribuire necessariamente alla felicità degli uomini.

Il pessimismo e l’ottimismo rimangono categorie troppo passive e immaginarie. La configurazione del futuro dipende in buona parte da ciò che sapremo fare nel presente.

Crisi nella crisi: la nostra epoca sarebbe passata dal mito dell’onnipotenza dell’uomo costruttore della storia a un altro mito simmetrico e speculare, quello della sua totale impotenza di fronte alla complessità del mondo.

Fronteggiare la crisi significa innanzitutto riconoscerla e accettarla per favorire l’emergere di nuovi miti e di nuovi valori.

La nostra società è la prima che, possedendo delle tecniche, ne è anche, al tempo stesso, letteralmente posseduta. Ci limitiamo a premere dei pulsanti, ignorando il più delle volte quali meccanismi vengano innescati.

Elogio del conflitto
Éloge du conflit, 2007 (con Angélique del Rey)

Ogni cosa è retta dal conflitto, e chi rimuove il conflitto non fa che precipitare il mondo degli uomini e delle donne nel gorgo dell’irreale. 

La nostra è un’epoca di crisi. Non è una constatazione nuova, né rivoluzionaria. È un’epoca in crisi di fronte al fallimento dei sogni che aveva nutrito in passato.

Chi vivrà epoche più luminose della nostra sappia che il giorno non è in alcun modo dovuto, e il buio è sempre in agguato: a un’epoca di luce segue sempre un’epoca oscura, e il chiarore e l’oscurità si annodano in uno stesso divenire, in uno stesso conflitto. 

L’ingovernabile è parte essenziale della realtà dell’uomo: ogni tentativo di negarlo o di assoggettarlo violentemente a una forma - di formattarlo, come potremmo dire d’ora in poi - è destinato a produrre un ritorno del rimosso, o nel peggiore dei casi un’esplosione di barbarie.

Gioia e tristezza non dipendono dall’epoca in cui ci si trova a vivere. La gioia nasce quando ci è data la possibilità di assumere su di noi la sfida del nostro tempo. 

Oltre le passioni tristi
Clinique du mal être. La "psy" face aux nouvelles souffrances psychiques, 2015
(con Angélique del Rey) - Selezione Aforismario

Con l’ossessione di superare la solitudine senza porsi la questione della separazione, i nostri contemporanei rimangono abbagliati dalle possibilità di contatto attraverso Internet e i social network. Certo si formano perfino delle coppie in questo modo. Ma finché dura la separazione da se stessi, l’intersoggettività non fa che riunire dei separati in quanto separati.

La solitudine che sta a fondamento delle nuove sofferenze psichiche è di natura ontologica, una solitudine come incapacità di sentirsi in collegamento.

Se si vuole comprendere la novità della sofferenza attuale, bisogna intendere il diktat del biopotere postmoderno: “Non essere come sei”, o meglio: “Sii il meno possibile… per meglio divenire gelatina plasmabile”. 

La capacità di essere colpiti da qualche cosa di altro da sé, di sentirsi vibrare al ritmo della società e degli eventi storici, delle grandi speranze, dei grandi racconti è realmente perduta.

Attraversiamo oggi una crisi profonda, che alcuni chiamano “crisi della modernità” nel senso che implica il declino di una figura un tempo potente e divenuta impotente, quella della persona umana.

Funzionare o esistere?
Fonctionner ou exister ?, 2018 - Selezione Aforismario

Non abbiamo più ‘tempo di prender tempo’: questa è oggi la parola d’ordine dominante nelle nostre società e nelle nostre vite.

La minaccia all’orizzonte ci impone di funzionare, poiché l’avvenire ci inquieta, noi orfani della civiltà che credeva al futuro, alla promessa di uno splendido avvenire.

Come i nostri predecessori, ricadiamo nella trappola dell’oblio del presente, ridotto a non essere nient’altro che la sala d’attesa del futuro.

Pensando a domani perdiamo l’attenzione all’oggi… Giacché domani, parlando in senso proprio, non esiste. 

È in questo presente che esiste già il futuro, come dimensione della situazione attuale. Ma noi vogliamo sapere, abbiamo paura dell’ignoto e dell’imprevisto: ovvero abbiamo paura della vita stessa…

Smettete di vivere! Perché oggi il tempo vissuto, il tempo trascorso, è considerato una pura perdita di capitale-tempo...

Ciascuno di noi è chiamato a diventare l’imprenditore della propria vita: autonomo, performante, dinamico e, non dimentichiamolo…, felice! Infatti, nelle nostre società ‘ugualitarie’, tutti possono ‘tutto’ – anche se per la verità solo sulla carta… 

Se state male, siete disoccupati, malati, deboli, non avete che da prendervela con voi stessi, è colpa vostra. Tristezza e debolezza sono diventati veri e propri difetti, ‘segni’ del fatto che amministriamo male la nostra ‘impresa’ (leggi: la nostra povera persona).

Il mondo si divide in winners (responsabili, performanti) e in losers, la cui incapacità di gestione determina il fallimento della loro impresa personale. E ciò ha inizio già dalla culla o quasi: i giovani devono imparare fin da subito a non perdere tempo, a orientare la loro vita verso il successo, il buon funzionamento della loro ‘impresa’.

I criteri di integrazione sono cambiati: ciò che conta oggi, nella nostra società postmoderna, non è che si produca, ma che si consumi. Il vecchio continua a essere ‘incorporato’ finché consuma. 

L’incontro d’amore è tutto o niente, qualcosa in cui ti butti o non ti butti… Ma, nella nostra epoca, le persone si chiedono: «Quanto devo investire? Vale davvero la pena che io…? È la persona giusta?».

L’amore è ciò che sfuma le differenze – o meglio ciò che le rende potenti: consente di fare esperienza di ciò che noi stessi non possiamo sperimentare.

Ci si aspetta che l’eccezionale venga dall’altro, ma non ci si rende conto che l’altro diventa straordinario attraverso il nostro sguardo: è il nostro sguardo straordinario che rende l’ordinario straordinario. 

Guadagnare tempo è in effetti un’ossessione contemporanea… Paradossalmente, la sola manifestazione concreta di tale presunto guadagno è il tempo sempre maggiore che trascorriamo in stato ipnotico davanti agli schermi dei vari dispositivi. 

In generale tendiamo a pensare che le credenze siano nella testa degli altri, mentre a noi spetta il privilegio di un rapporto diretto e non mediato con la realtà e con la vita. Tra tutte le credenze… questa è senz’altro la più diffusa e condivisa…

L’attuale tentazione del funzionamento ottimale, del fitness, della performance, dell’incremento si radica nella e si nutre della paura in cui vivono le nostre società. Ma cedere alla paura e rifugiarsi nel funzionamento presuppone l’annientamento del desiderio di esistere, che si fonda sulla fragilità del vivente, sulla fragilità dell’esistenza. 

Entrare in amicizia con la nostra fragilità: ecco l’avventura che ci è proposta dalla nostra epoca.

Conosco la sofferenza che comporta il fatto di negare se stessi, di pensarsi come ‘qualcuno che ha qualcosa che non va’. Si perviene a identificarsi come eterni perdenti in un mondo che non ha un posto per noi. 

Siamo sovrannumerari, quelli che guardano il mondo dai margini e che si può al massimo cercare di ‘aiutare’ a funzionare coprendo le proprie faglie. Il che presuppone di accettare il nostro essere come un errore: non siamo come dovremmo essere.

Non è vero che dobbiamo rinunciare alla vita per accettare la disciplina del funzionamento o, come diceva un certo Manal, avere «succo di pomodoro nelle vene...».

Le donne e gli uomini che sentono lo spuntare delle ali sappiano che in questo spuntare, così disfunzionale, si nasconde il dono di esistere, quindi di vivere. Se, alla fine, dobbiamo tutti passare alla cassa, meglio pagare il conto per una vita vera.

Note
Vedi anche frasi e citazioni di: Serge LatoucheMichel Onfray