Frasi e citazioni di Eugenio Montale
Selezione di aforismi, frasi e citazioni di Eugenio Montale (Genova 1896 - Milano 1981), poeta, scrittore, traduttore, giornalista e critico letterario italiano, tra i più grandi poeti italiani e premio Nobel per la letteratura nel 1975. Tutti conoscono Montale come poeta, ma forse pochi come saggista. Le seguenti citazioni sono tratte da Farfalla di Dinard (1956) e Auto da fé (1966), le uniche raccolte di prosa che Montale curò, ordinando scritti apparsi in precedenza su giornali e riviste.
Oggi le idee sono scomparse: tutto è ipotetico, tutto è vero finché è vendibile ed è falso tutto ciò che non fa gola all’uomo economico. (Eugenio Montale) |
Farfalla di Dinard
© Neri Pozza, 1956 - Selezione Aforismario
Gli uomini sono un po’ come i libri: ne leggete distrattamente uno, e non prevedete che finirà per lasciare in voi una traccia incancellabile; ne digerite con ogni zelo un altro, che abbia tutta l’aria di esser degno dell’impresa; e scorsi pochi mesi vi accorgete che la fatica è stata peggio che inutile.
L’homo sapiens dei nostri giorni, ormai del tutto dissociato e fatto a pezzi, nel cuore di una società tanto più inumana quanto più si mostra riguardosa dei diritti della collettività.
Ho imparato una verità che pochi conoscono: che l'arte largisce le sue consolazioni soprattutto agli artisti falliti.
L'uomo coltiva la propria infelicità per avere il gusto di combatterla a piccole dosi. Essere sempre infelici, ma non troppo, è condizione sine qua non di piccole e intermittenti felicità.
Un’opera, un melodramma senza applausi non scalda il cuore, non è nemmeno uno spettacolo.
Auto da fé
© Il Saggiatore, 1966 - Selezione Aforismario
In Italia non esiste, quasi, forse non esisterà mai, una letteratura civile, colta e popolare insieme; questa manca come e perché manca una società mediana, un abito, un giro di consuetudini non volgari: come a dire un diffuso benessere e comfort intellettuale senza cime ma senza vaste bassure.
Il diffuso e appena larvato discredito, in cui è tenuto nel nostro Paese il letterato e l’intellettuale, non dev’essere l’ultima causa della smania che dimostrano gli scrittori esordienti di atteggiarsi a profondi filosofi, al di sopra della mischia.
Non c’è oggi miglior dimostrazione della propria cultura filosofica, che quella di dimenticarla, muovendosi nei fatti concreti.
Non vorremmo accettare alcuna mitologia; ma alle nuove che si pretendesse d’imporci preferiremmo decisamente quelle del passato che hanno una giustificazione e una storia.
In tempi che sembrano contrassegnati dall’immediata utilizzazione della cultura, del polemismo e delle diatribe, la salute è forse nel lavoro inutile e inosservato: lo stile ci verrà dal buon costume.
Se fu detto che il genio è una lunga pazienza, noi vorremmo aggiungere ch’esso è ancora coscienza e onestà.
L’uomo, in quanto essere individuato, individuo empirico, è fatalmente isolato. La vita sociale è un’addizione, un aggregato, non una unità di individui.
L’uomo che comunica è l’io trascendentale che è nascosto in noi e che riconosce se stesso negli altri. Ma l’io trascendentale è una lampada che illumina solo una brevissima striscia di spazio dinnanzi a noi, una luce che ci porta verso una condizione non individuale e dunque non umana.
L’artista raggiunge la comunicazione solo attraverso l’isolamento
In genere la comunicazione di un artista non si misura dal successo, dalla diffusione materiale dell’opera sua.
L’isolamento dell’artista, fenomeno che si manifesta particolarmente grave nel nostro secolo, la sfiducia nel linguaggio e la conseguente ricerca di nuovi mezzi espressivi sono aspetti connessi al progresso meccanico, alla diffusione della cultura media e alla volgarizzazione (in senso etimologico) delle arti. Sparito il senso statico della vita, spariti certi universali della cultura classica, è rotto il diaframma fra arte e vita e la vita stessa si presenta come una mostruosa opera d’arte sempre distrutta e sempre rinnovata.
Poiché interpretare o anche leggere e comprendere un’opera del passato è compiere operazioni di regia, operazione creativa, ne consegue che oggi tutti siamo più o meno grandi artisti. Dove tutti sono artisti non esiste nessun artista; il nostro tempo ha reso l’arte così immediata da distruggerla.
Ritengo che anche domani le voci più importanti saranno quelle degli artisti che faranno sentire, attraverso la loro voce isolata, un’eco del fatale isolamento di ognuno di noi.
Solo gli isolati parlano, solo gli isolati comunicano; gli altri – gli uomini della comunicazione di massa – ripetono, fanno eco, volgarizzano le parole dei poeti
Quando si dice che il mondo contemporaneo è in crisi, s’intende, giustamente, che la crisi tocca tutti, giovani o vecchi, nella loro condizione di uomini, non in quella di cittadini, registrati a un’anagrafe.
La fortuna, il successo, ecco il metro con cui molti giustificano e misurano la politica in atto, la storia in divenire o in parole povere (se volete) l’azione quotidiana di chi regge il timone dello Stato. Buona è la politica che riesce, cattiva quella che fa cilecca: nessun’altra discriminazione è possibile.
L’arte destinata a restare ha l’aspetto di una verità di natura, non di una scoperta sperimentale escogitata a freddo.
Ogni tempo ha la sua musica, basta saperla riconoscere. Non sempre la si trova dove si vorrebbe.
Di fronte a certi libri d’oggi l’obiezione: bello, ma a chi si rivolge? resta fondamentale, insuperabile. Un libro, e un romanzo poi!, non può esser letto solo da chi l’ha scritto.
Oggi le idee sono scomparse: tutto è ipotetico, tutto è vero finché è vendibile ed è falso tutto ciò che non fa gola all’uomo economico.
La moltiplicazione delle scienze e delle tecniche è direttamente connessa alla scomparsa delle idee.
L’aggiornamento è una delle facce dell’odierno conformismo.
Inteso come opera destinata a restare, il libro non è oggetto che possa interessare l’uomo economico: il suo vero compito è di produrre il maggior rumore momentaneo e poi di scomparire per far luogo ad altri oggetti.
All’uomo-massa corrisponde il male di massa, al quale nessuno di noi sfugge.
Vivere il proprio tempo restando sull’allarme è tutto quello che può fare oggi chi si fregi e insieme si vergogni – com’è giusto – della screditata e controversa qualifica di intellettuale.
Le idee sono diventate un genere d’uso: si indossano e si dimettono al primo variare della moda.
Ogni guadagno, ogni avanzamento dell’uomo è pareggiato da equivalenti perdite in altre direzioni, restando invariato il totale di ogni possibile felicità umana.
Qualcuno ha definito la malattia dell’uomo d’oggi come una progressiva perdita del centro. Un tempo l’uomo fu creduto misura di tutte le cose, più tardi si continuò a crederlo misura di qualche cosa, oggi non lo si crede più misura di nulla.
Tutto fa pensare che l'uomo d'oggi sia più che mai estraneo vivente tra estranei, e che l'apparente comunicazione della vita odierna − una comunicazione che non ha precedenti − avvenga non tra uomini veri ma tra i loro duplicati.
L'uomo dell'avvenire dovrà nascere fornito di un cervello e di un sistema nervoso del tutto diversi da quelli di cui disponiamo noi, esseri ancora tradizionali, copernicani, classici.
Gente che si chiede sempre come impiegare il tempo, gente eternamente in lotta con la noia. Dolore autentico, nel senso antico, e non il moderno spleen dev'essere la loro noia; incapacità di sopportarsi, non perché si trovino di fronte a un loro odioso alter ego, ma perché posti in faccia al nulla assoluto.
Uno dei compiti fondamentali dell'industria è di divertire l'uomo, ossia di divergerlo da quell'otium contemplativo, ch'è il peggior nemico di ogni attivismo.
Ammazzare il tempo è il problema sempre più preoccupante che si presenta all’uomo d’oggi e di domani.
Perché si lavora? Certo per produrre cose e servizi utili alla società umana, ma anche, e soprattutto, per accrescere i bisogni dell’uomo, cioè per ridurre al minimo le ore in cui è più facile che si presenti a noi questo odiato fantasma del tempo.
Ammazzare il tempo non si può senza riempirlo di occupazioni che colmino quel vuoto. E poiché pochi sono gli uomini capaci di guardare con fermo ciglio in quel vuoto, ecco la necessità sociale di fare qualcosa, anche se questo qualcosa serve appena ad anestetizzare la vaga apprensione che quel vuoto si ripresenti in noi.
Il progresso consiste nel fare sempre più e sempre più velocemente quello che fanno tutti: e nel fare che questo sia fatto da tutti, senza colpevoli astensioni.
L'uomo, l'uomo-artista (per l'uomo normale il fatto è anche più evidente) crede più o meno in buona fede di aspirare alla libertà, ma nel suo profondo la considera come un'ipotesi disastrosa e, per fortuna, inattuabile.
È molto triste per i superstiti individui che l'arte moderna, nata come tragedia, si sia capovolta in commedia o in farsa.
La filosofia d’oggi [...] afferma che la vita deve essere vissuta, non pensata, perché la vita pensata nega se stessa e si mostra come un guscio vuoto. Bisogna mettere qualche cosa dentro questo guscio, non importa che cosa.
Nessuna rivoluzione sociale muterà sostanzialmente il volto tecnico-meccanico del mondo. Anche la morte dell’arte avverrà senza scandalo, anzi con gioia, perché il mondo sarà zeppo di meravigliose opere di non arte. Se poi una simile visione dell’avvenire sia pessimistica oppure ottimistica lascio giudicare ad altri.
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