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Frasi e citazioni di Claude Lévi-Strauss

Selezione di frasi e citazioni di Claude Lévi-Strauss (Bruxelles, 1908 - Parigi, 2009), antropologo, etnologo e filosofo francese, considerato uno dei padri fondatori dell'antropologia moderna.
Foto di Claude Lévi-Strauss
Il rispetto che intendiamo ottenere dall’uomo per i suoi congeneri non è che un caso
particolare  del rispetto che si dovrebbe sentire per tutte le forme di vita.
(Claude Lévi-Strauss)

Le strutture elementari della parentela
Les Structures élémentaires de la parenté, 1949

La proibizione dell'incesto non è né di origine puramente culturale, né di origine puramente naturale; non è neppure una combinazione di elementi compositi, attinti in parte alla natura e in parte alla cultura. Essa costituisce il passo fondamentale grazie al quale, per il quale, e soprattutto nel quale, si compie il passaggio dalla natura alla cultura. 

La proibizione dell'incesto è il processo attraverso il quale la natura supera se stessa: accende la scintilla sotto la cui azione si forma una struttura di tipo nuovo, e più complesso, che si sovrappone, integrandole, alle strutture più semplici della vita psichica, così come queste ultime si sovrappongono, integrandole, alle strutture più semplici della vita animale. Essa opera, e di per se stessa costituisce, l'avvento di un nuovo ordine.

Razza e storia
Race et Histoire, 1952 - Selezione Aforismario

Ogni uomo può trasformarsi in etnografo e recarsi sul terreno a condividere l’esistenza di una società che gli interessa.

La nozione di umanità, che include, senza distinzione di razza o di civiltà, tutte le forme della specie umana, è di apparizione assai tardiva e di espansione limitata. Proprio là dove sembra aver raggiunto il suo sviluppo piú elevato, non è affatto certo – come prova la storia recente – che sia stabilita al riparo da equivoci o da regressioni. 

Sembra che la diversità delle culture sia raramente apparsa agli uomini per quello che è: un fenomeno naturale, risultante dai rapporti diretti o indiretti fra le società; si è visto piuttosto in essa una sorta di mostruosità o di scandalo.

L’atteggiamento piú antico, che probabilmente poggia su fondamenti psicologici solidi, poiché tende a riapparire in ognuno di noi quando siamo posti in una situazione inattesa, consiste nel ripudiare puramente e semplicemente le forme culturali – morali, religiose, sociali, estetiche – che sono piú lontane da quelle con cui ci identifichiamo.

«Abitudini di selvaggi», «da noi non si fa cosí», «non si dovrebbe permettere questo», ecc., sono altrettante reazioni grossolane che esprimono lo stesso fremito, la stessa repulsione, di fronte a modi di vivere, di pensare o di credere che ci sono estranei.

L’antichità confondeva tutto quello che non faceva parte della cultura greca (e poi greco-romana) sotto lo stesso nome di barbaro: la civiltà occidentale ha poi utilizzato il termine selvaggio nello stesso senso.

Si rifiuta di ammettere il fatto stesso della diversità culturale; si preferisce respingere fuori dalla cultura, nella natura, tutto ciò che si conforma alle norme sotto le quali si vive.

L’atteggiamento di pensiero nel cui nome si respingono i «selvaggi» (o tutti coloro che si sceglie di considerare come tali) fuori dell’umanità è proprio l’atteggiamento piú caratteristico che contraddistingue quei selvaggi medesimi. 

Proprio nella misura in cui pretendiamo di stabilire una discriminazione fra le culture e fra i costumi, ci identifichiamo nel modo più completo con quelle che cerchiamo di negare. Contestando l'umanità di coloro che appaiono come i più «selvaggi» o «barbari» fra i suoi rappresentanti, non facciamo altro che assumere un loro atteggiamento tipico. Il barbaro è anzitutto l'uomo che crede nella barbarie.

Nulla, allo stato attuale della scienza, permette di affermare la superiorità o l'inferiorità intellettuale di una razza rispetto all'altra.

L’umanità in progresso non assomiglia certo a un personaggio che sale una scala, che aggiunge con ogni suo movimento un nuovo gradino a tutti quelli già conquistati; evoca semmai il giocatore la cui fortuna è suddivisa su parecchi dadi e che, ogni volta che li getta, li vede sparpagliarsi sul tappeto, dando luogo via via a computi diversi. Quel che si guadagna sull’uno, si è sempre esposti a perderlo sull’altro, e solo di tanto in tanto la storia è cumulativa, cioè i computi si addizionano in modo da formare una combinazione favorevole.

La tolleranza non è una posizione contemplativa, che dispensa le indulgenze a quel che fu o a quel che è. È un atteggiamento dinamico, che consiste nel prevedere, nel capire e nel promuovere ciò che vuol essere.

La diversità delle culture umane è dietro di noi, attorno a noi e davanti a noi. La sola esigenza che possiamo far valere nei suoi confronti (creatrice per ogni individuo dei doveri corrispondenti) è che essa si realizzi in forme ciascuna delle quali sia un contributo alla maggior generosità delle altre.

L’unica fatalità, l’unica tara che possa affliggere un gruppo umano e impedirgli di realizzare in pieno la propria natura, è quella di essere solo.

Tristi tropici
Tristes tropiques, 1955 - Selezione Aforismario

Come la matematica o la musica, l’etnologia è una delle rare vocazioni autentiche. Si può scoprirla in noi anche senza che ci sia mai stata inculcata.

Pur ritenendosi umano, l’etnologo cerca di conoscere e di giudicare l’uomo da un punto di vista sufficientemente elevato e distaccato, per astrarlo dalle contingenze particolari a una data società o a una data civiltà. 

Nella professione dell’etnografo non c’è posto per l’avventura: questa non costituisce che un impaccio; incide sul lavoro effettivo.

È un mestiere, oggi, essere esploratori: mestiere che non consiste, come si potrebbe credere, nello scoprire, dopo uno studio prolungato, fatti rimasti ignoti, ma nel percorrere un numero considerevole di chilometri raccogliendo immagini fisse o animate

Il mondo è cominciato senza l'uomo e finirà senza di lui.
[Le monde a commencé sans l’homme et il s’achèvera sans lui].

L’ordine e l’armonia dell’Occidente esigono l’eliminazione di una massa enorme di sottoprodotti malefici di cui la terra è oggi infetta. Ciò che per prima cosa ci mostrate, o viaggi, è la nostra sozzura gettata sul volto dell’umanità.

Viaggi, scrigni magici pieni di promesse fantastiche, non offrirete più intatti i vostri tesori. Una civiltà proliferante e sovreccitata turba per sempre il silenzio dei mari. Il profumo dei tropici e la freschezza degli esseri sono viziati da una fermentazione il cui tanfo sospetto mortifica i nostri desideri e ci condanna a cogliere ricordi già quasi corrotti.

Non c’è più nulla da fare: la civiltà non è più quel fragile fiore che, per svilupparsi a fatica, occorreva preservare in angoli riparati di terreni ricchi di specie selvatiche, indubbiamente minacciose per il loro rigoglio, ma che permettevano anche di variare e rinvigorire le sementi. L’umanità si cristallizza nella monocultura, si prepara a produrre la civiltà in massa, come la barbabietola. La sua mensa non offrirà ormai più che questa vivanda.

Nessuna società è profondamente buona e nessuna è assolutamente cattiva.

Quanto alle creazioni dello spirito umano, il loro senso non esiste che in rapporto all’uomo e si confonderanno nel disordine quando egli sarà scomparso.

Antropologia strutturale
Anthropologie structurale, 1958

La conoscenza dei fatti sociali può risultare solo da una induzione, in base alla conoscenza individuale e concreta di gruppi sociali localizzati nello spazio e nel tempo.

Il miglior studio etnografico non trasformerà mai il lettore in un nativo.

Nella maggior parte dei popoli primitivi, è difficilissimo ottenere una giustificazione morale, o una spiegazione razionale, di una usanza o di un’istituzione: l’indigeno interrogato si contenta di rispondere che le cose sono sempre state così, che quello fu l’ordine degli dèi, o l’insegnamento degli antenati.

Non c’è dubbio che le ragioni inconsce per cui si pratica un’usanza, o si condivide una credenza, sono lontanissime da quelle invocate per giustificarla.

Agiamo e pensiamo per abitudine, e l’inaudita resistenza opposta a deroghe, sia pur minime, deriva più dall’inerzia che da una volontà cosciente di mantenere usanze di cui si capisca la ragione. 

Se, come crediamo, l'attività inconscia dello spirito consiste nell'imporre forme a un contenuto, e se queste forme sono fondamentalmente le stesse per tutti gli individui, antichi e moderni, primitivi e civili – come dimostra, in modo folgorante, lo studio della funzione simbolica, così come si esprime nel linguaggio – è necessario e sufficiente raggiungere la struttura inconscia, soggiacente a ogni istituzione o a ogni usanza per ottenere un principio d'interpretazione valido per altre istituzioni e altre usanze, purché, beninteso, si spinga l'analisi abbastanza lontano.

Il crudo e il cotto
Le cru et le cuit, 1964

Lo scienziato non è l'uomo che fornisce le vere risposte, è quello che pone le vere domande.
[Le savant n’est pas l’homme qui fournit les vraies réponses, c’est celui qui pose les vraies questions].

Le origini delle buone maniere a tavola
L'origine des manières de table, 1968

Un umanesimo ben orientato non comincia da sé stessi, ma pone il mondo prima della vita, la vita prima dell'uomo e il rispetto degli altri esseri prima dell'amor proprio.
[Un humanisme bien ordonné ne commence pas par soi-même, mais place le monde avant la vie, la vie avant l’homme, le respect des autres êtres avant l’amour-propre].

Nemmeno un soggiorno di uno o due milioni di anni su questa terra può servire per appropriarsi del nostro pianeta come se fosse una cosa e per comportarsi senza pudore e senza discrezione.

Razza e cultura
Race et culture, 1971

A volte, una cultura si afferma come la sola vera e degna di essere seguita; ignora le altre, anzi le nega in quanto culture. La maggior parte dei popoli che noi chiamiamo primitivi designano se stessi con un nome che significa «i veri», «i buoni», «gli eccellenti», o addirittura semplicemente «gli uomini»; e riservano agli altri definizioni che negano loro la qualità umana, come «scimmie di terra» o «uova di pidocchio».

Sappiamo cos’è una cultura, ma non sappiamo cos’è una razza.

Anziché domandarci se la cultura è o non è funzione della razza, scopriamo che la razza – o quanto generalmente si intende con questo termine – è una tra le altre funzioni della cultura.

Il rispetto che intendiamo ottenere dall’uomo per i suoi congeneri non è che un caso particolare del rispetto che si dovrebbe sentire per tutte le forme di vita.

Antropologia strutturale II
Anthropologie structurale II, 1972

Mai meglio che al termine degli ultimi quattro secoli della sua storia, l'uomo occidentale è in grado di capire che, arrogandosi il diritto di separare radicalmente l'umanità dall'animalità, accordando all'una tutto ciò che toglieva all'altra, apriva un circolo vizioso, e che la stessa frontiera, costantemente spostata indietro, sarebbe servita a escludere dagli uomini altri uomini, e a rivendicare, a beneficio di minoranze sempre più ristrette, il privilegio di un umanismo nato corrotto per avere desunto dall'amor proprio il suo principio e la sua nozione. 

L'unica speranza, per ognuno di noi, di non essere trattato da bestia dai suoi simili, sta nel fatto che tutti i suoi simili, e lui per primo, si colgano immediatamente come esseri sofferenti, e coltivino nell'intimo quella attitudine alla pietà che, nello stato di natura, tiene luogo «di legge, di costumi, e di virtù», e senza il cui esercizio cominciamo a capire che, nello stato di società, non può esserci né legge, né costumi, né virtù.

Da vicino e da lontano
De près et de loin. Entretiens avec Didier Eribon, 1988

Mi capita di intendermi meglio con certi credenti che con certi razionalisti a oltranza: perlomeno i primi hanno il senso del mistero.

Sono pervaso sempre di più dal sentimento che il cosmo e il posto dell'uomo nell'universo oltrepassino, e sempre oltrepasseranno, la nostra comprensione. 

La lezione di saggezza delle mucche pazze
La leçon de sagesse des vaches folles, su la Repubblica, 1996

Verrà un giorno in cui l'idea che per nutrirsi gli uomini del passato allevavano e massacravano degli esseri viventi, mettendo in mostra nelle vetrine le loro carni dilaniate, ispirerà senza dubbio la stessa repulsione provata dai viaggiatori del XVII e XVIII secolo nei confronti dei pasti cannibalici dei selvaggi americani, africani, o dell'Oceania.

Note
Leggi anche le citazioni degli antropologi francesi: Marc AugéÉmile Durkheim - René Girard