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Frasi e citazioni di Romano Guardini

Selezione di frasi e citazioni di Romano Guardini (Verona, 1885 - Monaco di Baviera, 1968), presbitero di religione cattolica, teologo e saggista italiano naturalizzato tedesco.
Foto di Romano Guardini
Dobbiamo aprirci alla vita, quale Dio ce l’ha destinata. Dobbiamo trar profitto da questa vita
- dalla nostra vita; dilatando, correggendo, illuminando noi stessi. (Romano Guardini)

Lo spirito della liturgia
1918

In nessun ambito la profanazione della parola, lo svuotamento dell'agire, la vanificazione del segno è così terribile quanto nella vita religiosa.

Il senso della Chiesa 
1922

La realtà fondamentale cristiana della “vita nuova” non può essere attuata che come Chiesa e singola personalità insieme; ognuna ben determinata in sé, ma sempre riferita all’altra. 

La Chiesa è per il singolo individuo il vivente presupposto del suo personale perfezionamento. È la via della personalità.

Non vi è Chiesa in cui i fedeli non siano al tempo stesso dei “mondi interiori”, che riposano in sé stessi, soli con sé medesimi e con il loro Dio. Non vi è personalità cristiana che non stia anche nella comunità della Chiesa come membro vivente. 

Si è iniziato un processo di incalcolabile portata: il risveglio della Chiesa nelle anime.

La visione cattolica del mondo
1923

Il compito dell'uomo è di andare a Dio e di condurre a Lui il mondo delle cose.

Il bene, la coscienza e il raccoglimento
Das Gute, das Gewissen und die Sammlung, 1929 - Selezione Aforismario

Noi viviamo in un’età devastata. Le cose dello spirito e le cose della salvezza non hanno più una propria sede. Tutto è buttato sulla strada. Ognuno parla, ascolta, scrive e legge di tutto ad ogni istante.

Abbiamo dimenticato che quanto riflette lo spirito è di una nobiltà molto esigente e che il comprenderlo è possibile solo a certe condizioni. 

Viviamo in un tempo, nel quale l’avvilimento dell’onore che spetta allo spirito è diventato una pratica comune, che non impressiona più in modo particolare.

Il dovere lo adempio non già perché con esso voglia raggiungere un fine, - benché in fondo ci sia anche questo, perché il dovere è sempre collegato con dei fini - ma perché è giusto intrinsecamente. 

Il carattere comune di tutte le azioni tendenti ad un fine sta nell’«utile»: si tratta di cosa necessaria o utile alla mia esistenza. Al contrario il carattere comune di ogni dovere; ciò che rimane, se astraggo da tutti i contenuti particolari, sta nella parola: è bene; bene in sé.

Oggi siamo alquanto scettici e a chi ci parla del bene ci vien voglia di rispondere con la domanda di Pilato: «Che cosa è il bene?» - una domanda che non aspetta alcuna risposta, perché chi la pone è persuaso in anticipo di non riceverne alcuna.

Noi dobbiamo far parlare quello che in noi v’è di intimo. Esso ci dice: il bene esiste! Esiste quel carattere supremo che può posarsi sull’azione meno appariscente e conferirle il suggello di un’assolutezza, superiore ad ogni scopo particolare.

Esiste in noi quel supremo qualche cosa, che è in relazione col bene, che risponde al bene come l’occhio alla luce.

Il bene è qualche cosa di vivente. Non un’idea astratta, non una semplice «legge», ma qualche cosa di spiritualmente vivo. Me lo dice l’esperienza. Tale mi si presenta interiormente, e come tale tocca la mia coscienza.

Il bene vivente batte alla mia coscienza. Accolto dalla mente e dal cuore, esso preme per essere tradotto in azione umana.

Il primo e più importante compito della coscienza consiste nell’avvertire la voce imperiosa del bene, che vuol essere attuato in modo degno dell’uomo.

Il bene non diventa realtà, se non lo attuo.

Che cosa sia il bene, che domanda di essere tradotto in atto, risulta chiaramente da ciò che di volta in volta deve compiersi.

Lo scardinamento morale della nostra epoca deriva pure in buona parte non già dal fatto che il dovere morale venga sentito come un peso troppo grave, ma che lo si vede come troppo meschino; dal fatto che lo si degna appena di uno sguardo superficiale e svogliato.

Il dovere morale non è una forma vuota, ma pienezza di contenuto; non è povertà, ma ricchezza infinita. Esso batte alla mia coscienza, al mio cuore e vuol esser compreso, affermato, attuato.

Il bene non è una legge morta. È la vita infinita che vuol essere inserita in questa realtà.

C’è qualche cosa di inesprimibilmente grande nella consapevolezza di essere quasi un ambasciatore del bene nel mondo, un esecutore della sua missione. Di esser colui, al quale è affidato il destino del bene - che è pur la cosa più sublime, ma anche, appunto per questo, la più delicata, e, in questo mondo di violenze, la più debole.

Con le opere, dobbiamo trasfondere il bene nella realtà, altrimenti esso resta aspirazione infeconda.

Agire moralmente significa creare qualche cosa; non in pietra o in colore o in suono, ma nella materia reale della vita.

Coscienza è, anzitutto, quell’organo, per mezzo del quale io rispondo al bene e divento consapevole di questo: «Il bene esiste; ha un’importanza assoluta; il fine ultimo della mia esistenza è legato ad esso; il bene bisogna farlo; questo fare decide di un destino supremo».

La coscienza è anche la porta, per la quale l’eterno entra nel tempo. È la culla della storia.

Quello che alla superficie significa coscienza morale, nelle sue ultime radici è il «fondo dell’anima», la «scintilla dell’anima».

Dio non è un concetto, un’idea, un sentimento, un’esigenza sociologica. Dio esiste veramente ed è la realtà assoluta. E nella coscienza di quelli che gli si accostano sinceramente, egli non mancherà di rendere testimonianza di sé. 

Dio ci circonda, ci avvolge, ci penetra. Egli è presente nel più profondo del nostro intimo. Là, dove il nostro essere confina, quasi a dire, col nulla, sta la mano di Dio e ci regge. Là egli ci parla.

L’essenza dell’uomo porta in ogni singolo l’impronta terminale di unicità: è «nome». Tutte le altre cose si trovano già nel tipo della specie. L’uomo solo è a priori «singolo». Ma lo è, perché ha rapporto immediato con Dio. 

L’uomo ha qualche cosa che sta a sé, perché viene immediatamente da Dio. Il mio spirito vivente è stato creato immediatamente da Dio; non come «caso», ma come «questi». 

Io non sono un «caso» fra tanti, ma qualche cosa di unico. Non sono soltanto individuo, ma anche persona. Non porto in me soltanto un’essenza generica, ma un’essenza che ha l’impronta dell’unicità: porto un nome. Questo nome l’ho da Dio.

Dobbiamo aprirci alla vita, quale Dio ce l’ha destinata. Dobbiamo trar profitto da questa vita - dalla nostra vita; dilatando, correggendo, illuminando noi stessi.

L'essenza del Cristianesimo
Das Wesen des Christentums, 1938 - Selezione Aforismario

Nello svolgersi della vita cristiana c'è il tempo durante il quale il credente è cristiano spontaneamente. Essere cristiano significa per lui la stessa cosa che essere credente, anzi essere pio semplicemente.

Ciò ch'è cristiano non può venir derivato da premesse mondane e la sua essenza non può determinarsi con categorie naturali, poiché in tale maniera viene eliminata la sua peculiarità.

Il Cristianesimo non è una teoria della verità o una interpretazione della vita. Esso è anche questo, ma non in questo consiste il suo nucleo essenziale. Questo è costituito da Gesù di Nazareth, dalla sua concreta esistenza, della sua opera, dal suo destino.

Non c'è alcuna dottrina, alcuna struttura di valori morali, alcun atteggiamento religioso od ordine di vita, che possa venir separato dalla persona di Cristo, e dei quali poi si possa dire che siano l'essenza del cristianesimo. Il cristianesimo è Egli stesso; ciò che per mezzo suo perviene agli uomini, e la relazione che per mezzo suo l'uomo può avere con Dio.

Un contenuto dottrinale è cristiano in quanto viene dalla bocca di Cristo. L'esistenza è cristiana in quanto il suo movimento è determinato da Lui. In tutto ciò che voglia essere cristiano, Egli deve essere compresente.

La persona di Gesù Cristo, nella sua unicità storica e nella sua gloria eterna, è di per sé la categoria che determina l'essere, l'agire, e la teoria di ciò che è cristiano.

Anche per il comportamento morale vi sono delle norme ultime di rettitudine e di obbligatorietà. Queste norme sono, appunto perché norme, sempre di carattere generale. Appunto per questo esse possono abbracciare qualsiasi situazione e ricevono dall'azione la loro concreta applicazione. Nell'agire cristiano invece al posto della norma generale sta la persona storica di Cristo.

Se il cristianesimo dev'essere la religione dell'amore, questo può convenire solo nel senso ch'essa è l'amore che si dirige a Cristo, ma per mezzo di Cristo a Dio come pure agli altri uomini.

Il testamento di Gesù
Pensieri sulla Santa Messa, 1939

L'uomo manca di profondità ed equilibrio, sono l'esteriorità ed il caso a guidare la sua vita.

La comunità nasce quando i fedeli sono interiormente presenti, quando entrano in contatto reciproco e tutti partecipano dello spazio sacro.

Il silenzio schiude la fonte interiore da cui sgorga la parola.

Il silenzio si ottiene solo volendolo con determinazione, anche a costo di qualche sacrificio.

La parola rettifica i rapporti sociali, nella comunità e nella storia. Essa rende liberi.

Anche l'ascolto è un processo graduale verso la nostra interiorità, tanto più importante quando Dio è a parlare.

La fede può accendersi anche alla lettura di un testo, ma la parola della buona novella acquista la vera forza solo quando viene ascoltata.

Come il sacramento e come l'uomo, la parola di Dio è fisica e spirituale destinata ad essere accolta dall'uomo per il quale è alimento e forza vitale.

Il tempo è inquietudine e distrazione; l'eternità è pace ed unità.

Quando il mondo intero si preclude una via d'uscita, si irrigidisce, si fa tetro e fascia l'uomo come un carcere. La parola abbatte questo carcere, eleva dalle tenebre alla luce e fa manifesto ciò che era conchiuso. Essa rende capaci di mettere le cose in chiaro e di superare se stessi.

La Rosa bianca
1945

Nessuna grande azione, nessuna opera autentica, nessuna relazione umana sincera è possibile senza che l'uomo vi arrischi ciò che è suo. 

Non c'è nessuna libertà senza coscienza – tanto meno può esservi coscienza, responsabilità morale in un essere che non è libero.

Il significato dell'opera d'arte
1947

L'arte delinea in anticipo qualcosa che non è ancora presente. Essa non può dire come diventerà; tuttavia garantisce in modo misteriosamente consolante che avverrà. Dietro ogni opera d'arte si dischiude, per così dire, qualcosa. Qualcosa s'innalza. Non si sa né che cosa, né dove, ma nel più profondo si sente la promessa.

Ogni autentica opera d'arte, anche la più piccola, è come un mondo: uno spazio ben disposto e ricolmo di significati in cui si può entrare guardando, ascoltando, muovendosi.

Etica
1950 (postumo)

Io posso comprendere in assoluto me stesso solo in ragione della libertà, così come in virtù della conoscenza spirituale.

Da ciò che è vero nasce quanto è giusto.

Il bene è l'autorealizzazione dell'uomo, corrispondente alla verità della sua natura.

Il comportamento morale è possibile solo là dove vi è libertà.

Scritti e discorsi
Selezione Aforismario

Chi pensa davvero deve imparare ad andare oltre l'apparenza dell'ovvio e a immergersi nelle profondità abissali.

L'uomo è uomo soltanto con Dio e in Dio.

L'uomo riceve vita essenzialmente dal suo rapporto con Dio.

L'uomo vive di ciò che sta sopra di lui.

La Chiesa non è un'istituzione escogitata e costruita a tavolino, ma una realtà vivente. Essa vive lungo il corso del tempo, in divenire, come ogni essere vivente, trasformandosi. Eppure nella sua natura rimane sempre la stessa, e il suo cuore è Cristo

Solo dall'accettazione di sé parte una via che conduce al vero futuro, per ciascuno al proprio.

Lettere
Selezione Aforismario

Perché un ordine sia accettato e perché non riesca gravoso a colui che riceve, bisogna essere capaci di comandare.

Paradiso significa la realizzazione dell'esistenza, grazie alla pura unione con Dio, con il puro bene, anzi con il santo.

Note
Leggi anche le citazioni dei teologi: Cornelio FabroHans KüngSergio Quinzio