Frasi e aforismi di Ferruccio Masini
Selezione di aforismi, frasi e citazioni di Ferruccio Masini (Firenze 1928 - 1988), pittore, critico letterario, scrittore e aforista italiano. Ferruccio Masini è stato professore ordinario di lingua e letteratura tedesca all'Università di Siena e a Firenze.
I seguenti pensieri di Masini son tratti dal libro Aforismi di Marburgo, pubblicato dalla casa editrice Spirali nel 1983. Riguardo alla scrittura aforistica, ha detto Ferruccio Masini:
"L'aforisma deve essere sfaccettato o almeno bifronte. Con un volto impone severamente il silenzio, con l'altro invita a far baldoria. Deve sfuggire alla cattura: non può essere in alcun modo irretito nell'unilateralità del concetto. È insofferente all'explanatio more geometrico, è insofferente e basta. Conserva gelosamente il suo margine d'ombra: è lì che nasconde la sua verità o la sua ironia su ogni possibile verità. La implicati o dell'aforisma ricorda il movimento di cui parla Musil, l'einfalten. La spudoratezza dell'aforisma è solo apparente anche se disarmante: nell'inoltrarsi nell'immediato il suo passo è ingannevole".
Chi appartiene alla disperazione non può appartenere a nessuno. (Ferruccio Masini) |
Aforismi di Marburgo
© Spirali 1983 - Selezione Aforismario
Amore per la dissacrazione. Si dissacra soprattutto ciò che non riusciamo a comprendere, esercitando in tal modo l'unica possibile autopunizione per la nostra incapacità e pochezza. Ma dal momento che questa autopunizione è rimossa, ci arrampichiamo sulla dissacrazione con la pertinace vanagloria di chi pretende di aver consumato una sorta di sublime misfatto.
Bisogna ridere della propria tristezza come ridono gli dèi.
Chi appartiene alla disperazione non può appartenere a nessuno.
Ci si duole di essere stati, per troppo tempo, utili idioti, ma dovremmo esser meno severi con noi stessi perché in realtà i più, tra noi, sono stati e forse lo sono ancora inutili idioti e si guardano bene dal rammaricarsene.
Colui che vive in continuo e assoluto sodalizio con qualche animale (un gatto, un cane, una gallina, un passerotto, ecc.), tende ad acquisirne le abitudini e persino i tratti fisionomìcì. Non altrettanto accade all'animale che disdegna questa perdita di personalità.
Cultura per le masse? Una contradictio in adjectis.
I camminatori notturni sono molto diversi da coloro che camminano in pieno giorno. A stento i primi possono sopportare la luce: hanno le pupille abituate all'oscurità e al debole chiarore delle stelle. Si muovono lentamente e senza far rumore: scivolano – si può dire – sul terreno, rasentano i muri, si sporgono timidamente dai campanili. Le loro mani sono smisuratamente grandi, forse perché accarezzano il volto della notte senza mai toccarne i confini. Ma forse proprio per questo le loro dita crescono tra le foglie e sulle cortecce dei tronchi, affondano nella melma lunare e infine frusciano con le canne appena scosse da un'improvvisa brezza. Si confidano con le ombre, sostenendo il peso della solitudine con un sorriso che nessuno degli abitanti del giorno potrebbe mai comprendere. E infine liberano i cavalli degl'inferi per non si sa quale nostalgia d'orizzonti.
I piani inclinati della memoria. Si scivola sempre verso quel che abbiamo lungamente dimenticato. Il coraggio di ricordare è il principio della salute.
Il senso d'impotenza nasce dalla delusione. La delusione è la riprova di una nostra inferiorità di fronte al reale. Si è inferiori al reale anche se si presume di scavalcarlo. Ma il reale non si lascia scavalcare in alcun modo: di qui il nostro senso d'impotenza.
Imparare ad agire da vivo non significa ancora essere vivi.
L'intellettuale è attaccato ai grandi quotidiani e alle solide redazioni delle grandi case editrici "come la puttana al suo magnaccia" - direbbe Frank Wedekind.
L'Italiano glorifica tutto ciò che è straniero non perché è così poco provinciale da non tenere in alcun conto tutto quanto è caratteristico del suo Paese, ma perché è così inguaribilmente provinciale da stupirsi che vi siano paesi diversi dal suo e naturalmente (a prima vista) molto migliori.
La donna confessò di amarlo e poi di non amarlo e infine ancora di amarlo. A forza di confessarsi, finì per temere di non riuscire a confessare a se stessa se veramente lo amava o no. Fu così che si recò da un confessore, il quale la ammonì severamente a non commettere (col pensiero, s'intende) atti impuri.
La verità − dicono − è semplice. Così semplice che difficilmente esiste.
Ma chi mai ha detto che la nostra vita avrebbe dovuto essere diversa da quel che è?
Meglio essere fraintesi che non compresi. Chi fraintende vorrebbe forse comprendere. C'è il sospetto invece che chi non comprende, non voglia comprendere, ti consideri troppo lontano, estraneo e vile, perché valga la pena anche soltanto fare un tentativo per avvicinarsi a te.
Nessuno forse ha ancora immaginato che è giunto il momento - die bocbste Zeit - dei transessuali intellettuali. Costoro sono molto incerti sulla identità della loro intelligenza e questa loro incertezza si converte poco alla volta in diffidenza e infine in aperta ostilità. Tutti i loro sforzi mirano ad ottenere per vie legali una sistemazione chirurgicamente definitiva della loro identità così da poter sentirsi finalmente liberati dall'estraneità di un'intelligenza a cui non sentono di appartenere. A questa specie di transessuali appartengono gli alti burocrati dello stato, i grandi commessi dell'industria culturale, i pavoni della cultura accademica e del giornalismo militante, i politologi del senso comune, i soloni del moralismo e del prossenetismo nazionale, nonché, più in generale, gli "esperti".
Non so cosa significhi la parola "anima". So cosa significhi uno sguardo, una stretta di mano, una parola buona e incoraggiante. So cosa significhino le lacrime, anche le tue lacrime. So cosa significhi la composta dignità della sventura, il pudore della sofferenza. So cosa significhi l'offerta della propria vita e anche la gioia dell'offerta. Ma non so cosa significhi la parola "anima".
Per vivere bisogna essere felici, bisogna saper almeno assaporare un poco di felicità. Ma chi è estraneo alla felicità e vive egualmente, assomiglia a un ladro capace di forzare l'accesso di meravigliose dimore e incapace di appropriarsi anche delle più piccole cose. Guai ai ladri!
Quando il dolore riesce a parlare, ci si accorge di quel che è maturato silenziosamente in esso e si raccolgono i frutti.
Quando il mondo diventa troppo stretto per noi, bisogna cominciare seriamente a sforzarsi di divenire noi più larghi, così da accoglierlo dentro di noi e accorgersi che c'è abbastanza spazio per esso e per altri mondi.
Quando si pensa ai nostri amici della giovinezza e li si vede così diversi da noi, ci si domanda chi è veramente mutato. Ci si domanda come avrebbero potuto appartenere alla nostra vita se fossero stati sempre quel che sono adesso. Ma il fatto è che neppure noi siamo mai appartenuti alla nostra vita.
Registrava i propri pensieri quasi fossero sintomi di una malattia incurabile.
Ridere di sé è facile, ridere del mondo un po' meno. Ridere, ridere solamente, impossibile.
Si può far finta di filosofare, ma non si può far finta di vivere.
Stare perfettamente immobili. Lasciare che suonino i campanelli e tutti i segnali d'allarme. Lasciare che impazziscano le sonerie politologiche. Lasciare che ti chiamino con perversa insistenza dalla portineria. Non tradire la minima emozione o turbamento, neppure un sia pur vago desiderio di muoversi, di rispondere alla chiamata, di fare qualcosa.
Vi sono molte solitudini: la più insormontabile è quella che noi stessi ci costruiamo come se con le mani impastassimo la calcina che dovrebbe colmare anche i più sottili interstizi delle pietre di cui è fatta la nostra cella. C'è un orgoglio nato dalla disperazione in quest'ultima solitudine, ma respirarne a lungo è morire.
Libro di Ferruccio Masini consigliato
Editore: Spirali, Milano, 1983
Questo libro è la risultante armonica di una scrittura aforistica (e non) disposta su una molteplicità di registri – dalla riflessione saggistica in nuce alla provocazione ironica o parodistica –: ma il continuum di queste pagine, però, è una meditazione sulla malattia, sul dolore e sulla morte, una meditazione carica dei paradossi di una "saggezza" che preferisce alla lezione moralistica la strategia del rischio e dell'avventura. È nel gioco delle rifrangenze stilistiche e delle "riprese" tematiche che l'astronomia interiore di questo microcosmo si dispiega in tutte le sue vie lattee fino a toccare lontani pianeti: è qui all'opera l'officina di uno scrittore che costruisce, per scorci allusivi e frammenti di pensosa chiaroveggenza, una sorta di libro d'ore della propria esperienza umana e intellettuale, quasi l'anamnesi esemplare di chi cala nelle inquietudini e nelle tensioni del proprio tempo un dialogo con se stesso che è anche un dialogo con la cultura, con gli orrori e le bellezze offuscate, ma non distrutte, del mondo.
Note
Leggi anche gli aforismi degli autori italiani: Riccardo Bacchelli - Roberto Bazlen - Fausto Melotti