Frasi e citazioni di Umberto Galimberti
Selezione di frasi e citazioni di Umberto Galimberti (Monza 1942), filosofo e psicoanalista italiano. Galimberti, studioso di filosofia, antropologia culturale e psicologia, è oggi tra i più autorevoli intellettuali italiani. Dal 1976 è stato professore incaricato di Antropologia Culturale e dal 1983 professore associato di Filosofia della Storia. Dal 1999 è professore ordinario all'università Ca Foscari di Venezia, titolare della cattedra di Filosofia della Storia. Dal 1985 è membro ordinario dell’international Association for Analytical Psychology. Galimberti è stato allievo di Karl Jaspers, del quale ha tradotto diverse opere in italiano.
Le citazioni riportate in questa pagina di Aforismario, sono tratte dai suoi libri più importanti, tra i quali: Psiche e techne (1999), I vizi capitali e i nuovi vizi (2003), Le cose dell'amore (2004), L'ospite inquietante (2007), I miti del nostro tempo (2009). Altre citazioni sono tratte, infine, da alcuni articoli pubblicati su alcuni giornali, con i quali Galimberti collabora: la Repubblica, l'Espresso, D la Repubblica delle Donne.
Le citazioni riportate in questa pagina di Aforismario, sono tratte dai suoi libri più importanti, tra i quali: Psiche e techne (1999), I vizi capitali e i nuovi vizi (2003), Le cose dell'amore (2004), L'ospite inquietante (2007), I miti del nostro tempo (2009). Altre citazioni sono tratte, infine, da alcuni articoli pubblicati su alcuni giornali, con i quali Galimberti collabora: la Repubblica, l'Espresso, D la Repubblica delle Donne.
Nella nostra cultura c'è poco orgoglio e molta superbia, poca dignità e molta apparenza. (Umberto Galimberti) |
La terra senza il male
Jung: dall'inconscio al simbolo © Feltrinelli 1984 - Selezione Aforismario
A differenza di tutti gli esseri che popolano la terra, l'uomo pensa, e ogni pensiero gli racconta la sua totale estraneità alla terra.
Tra Io e Sé il conflitto è violentissimo come lo è tra Dio e la terra.
Gli equivoci dell'anima
© Feltrinelli 1987 - Selezione Aforismario
I confini dell’anima non possono essere raggiunti perché l’anima è la stessa apertura dell’universo del senso. Un senso che sta prima di ogni significato.
Il tragico è l’elemento costitutivo dell’uomo.
Il gioco delle opinioni
© Feltrinelli 1989 - Selezione Aforismario
I libri non servono per sapere ma per pensare, e pensare significa sottrarsi all'adesione acritica per aprirsi alla domanda, significa interrogare le cose al di là del loro significato abituale reso stabile dalla pigrizia dell'abitudine.
La recensione è un genere letterario da abolire perché induce al riassunto, quindi alla chiusura del libro. I libri invece vanno aperti, sfogliati, dissolti nella loro presunta unità, per offrirli a quella domanda che non chiede "che cosa dice il libro?", ma "a che cosa fa pensare questo libro?
La sessualità è un rischio dove l'individuo gioca la sua identità e la società il suo ordine.
Perché noi occidentali crediamo nelle stelle e negli oroscopi che cadono dalle stelle e abbiamo dimenticato che i nostri gesti lenti, agili o violenti modificano le stelle, il loro equilibrio, la loro luce, il loro giro?
Psiche e techne
L'uomo nell'età della tecnica © Feltrinelli 1999 - Selezione Aforismario
Abitiamo la tecnica irrimediabilmente e senza scelta. Questo è il nostro destino di occidentali avanzati, e coloro che, pur abitandolo, pensano ancora di rintracciare un’essenza dell’uomo al di là del condizionamento tecnico, come capita di sentire, sono semplicemente degli inconsapevoli.
Con la tecnica gli uomini possono ottenere da sé quello che un tempo chiedevano agli dèi.
Dal modo di alimentarsi al modo di vestire, dal modo di abitare al modo di comunicare, tutto è appreso dai media, dove ogni spettatore, attraverso microprocessi di identificazione, compra la sua identità, per declinarla nella gioia o nel dolore, nella bontà o nell’odio, nel protagonismo, nella sessualità, nella morte. Tutto questo seguendo quel percorso tracciato dalle tecniche di comunicazione che ci consentono di partecipare a tutte le modulazioni della vita con la velocità e la felicità della pressione digitale.
Il carattere afinalistico della tecnica, che non si muove in vista di fini ma solo di risultati che scaturiscono dalle sue procedure, abolisce qualsiasi orizzonte di senso, determinando così la fine della storia come tempo fornito di senso.
L'etica, di fronte alla tecnica, diventa patetica: non si è mai visto che un'impotenza sia in grado di arrestare una potenza. Il problema è: non cosa possiamo fare noi con gli strumenti tecnici che abbiamo ideato, ma che cosa la tecnica può fare di noi.
La tecnica, sorta per liberare l’uomo dalla necessità della natura, è diventata una sorta di seconda natura dal vincolo non meno necessitante.
La tecnica non è più un evento della nostra storia, ma ha già superato la soglia storica, fino a tenere nelle sue mani la possibilità stessa del proseguimento della storia.
Noi viviamo nella pura accelerazione del tempo, scandita non dai progetti umani, ma dagli sviluppi tecnici che, consumando con crescente rapidità il presente, tolgono anche al futuro il suo significato prospettico, quindi il suo “senso”.
Siccome la tecnica è ormai la forma del mondo, per l’individuo non c’è altro modo di essere al mondo se non come funzionario della tecnica.
Orme del sacro
Il cristianesimo e la desacralizzazione del sacro
© Feltrinelli 2000 - Selezione Aforismario
© Feltrinelli 2000 - Selezione Aforismario
"Sacro" è parola indoeuropea che significa "separato". La sacralità, quindi, non è una condizione spirituale o morale, ma una qualità che inerisce a ciò che ha relazione e contatto con potenze che l'uomo, non potendo dominare, avverte come superiori a sé
Dal sacro l'uomo tende a tenersi lontano, come sempre accade di fronte a ciò che si teme, e al tempo stesso ne è attratto come lo si può essere nei confronti dell'origine da cui un giorno ci si è emancipati.
I vizi capitali e i nuovi vizi
© Feltrinelli 2003 - Selezione Aforismario
A differenza della lussuria, della superbia, della gola, l'invidia è forse l'unico vizio che non dà piacere.
A nessuno è data la possibilità di scegliersi l'epoca in cui vivere, né la possibilità di vivere senza l'epoca in cui è nato, non c'è uomo che non sia figlio del suo tempo e quindi in qualche modo omologato.
Anche nelle cose d'amore l'uomo ama solo la sua creazione, quindi non la natura, ma la sua trasfigurazione, a cui la lussuria perviene attraverso la fantasia che, oltre a essere il tratto tipico dell'uomo, è anche il potenziale sovversivo di ogni ordine.
L'ira non è l'aggressività, che al pari della sessualità è una pulsione assolutamente fondamentale per la conservazione dell'individuo e della specie. L'ira è un sentimento mentale ed emotivo di conflitto con il mondo esterno o con se stessi che controlliamo poco e maneggiamo peggio perché, in preda all'ira, non siamo più padroni delle nostre azioni.
L'avarizia è il più stupido dei vizi capitali perché gode di una possibilità, o se si preferisce di un potere, che non si realizza mai. Il denaro accumulato dall'avaro, infatti, ha in sé il potere di acquistare tutte le cose, ma questo potere non deve essere esercitato, perché altrimenti non si ha più il denaro e quindi il potere a esso connesso.
Il desiderio dell'avaro non va mai al di là del denaro, perché agli occhi dell'avaro il denaro non è un mezzo per qualcos'altro, ma un fine in sé, anzi la forma pura del potere che il denaro possiede alla sola condizione di non essere speso.
Nella nostra cultura c'è poco orgoglio e molta superbia, poca dignità e molta apparenza, dove "per apparire si è disposti perfino a svendersi e a servire".
Perché è così difficile darsi una misura nell'assunzione del cibo? Perché gusto e olfatto sono i sensi più arcaici che mettono in moto le zone più primitive del nostro cervello, quelle su cui i nostri ragionamenti, i nostri propositi, la nostra buona volontà hanno una scarsissima incidenza. Per questo la gola, più che un vizio capitale, è un richiamo alla nostra animalità, il retaggio della nostra antica condizione.
Tra invidia e superbia c'è una sottile parentela dovuta al fatto che il superbo, se da un lato tende a superare gli altri, quando a sua volta viene superato non si rassegna, e l'effetto di questa non rassegnazione è l'invidia.
Le cose dell'amore
© Feltrinelli 2004 - Selezione Aforismario
Amore non è una cosa tranquilla, non è delicatezza, confidenza, conforto. Amore non è comprensione, condivisione, gentilezza, rispetto, passione che tocca l'anima o che contamina i corpi. Amore non è silenzio, domanda, risposta, suggello di fede eterna, lacerazione di intenzioni un tempo congiunte, tradimento di promesse mancate, naufragio di sogni svegliati. Amore è violazione dell'integrità degli individui, è toccare con mano i limiti dell'uomo.
Amore è solo la chiave che ci apre le porte della nostra vita emotiva di cui ci illudiamo di avere il controllo, mentre essa, ingannando la nostra illusione, ci porta per vie e devianze dove, a nostra insaputa, scorre, in modo tortuoso e contraddittorio, la vitalità della nostra esistenza.
Con i cocci dell'idealismo si costruisce la filosofia del rude cinismo, capace solo di offrire un ghigno a quella che un tempo era la propria stella.
Essendoci il nulla all'ingresso e all'uscita della nostra vita, insopprimibile sorge la domanda che chiede il senso del nostro esistere.
Il tradimento appartiene all'amore come il giorno alla notte.
L'amore si nutre di novità, di mistero e di pericolo e ha come suoi nemici il tempo, la quotidianità e la familiarità. Nasce dall'idealizzazione della persona amata di cui ci innamoriamo per un incantesimo della fantasia, ma poi il tempo, che gioca a favore della realtà, produce il disincanto e tramuta l'amore in un affetto privo di passione o nell'amarezza della disillusione.
L'amore svanisce perché nulla nel tempo rimane uguale a se stesso.
La spudoratezza, ormai, nel nostro tempo è diventata una virtù.
Non ci si angoscia per «questo» o per «quello», ma per il nulla che ci precede e che ci attende.
Non conosciamo più la passione perché l'abbiamo affogata nel sesso che, nel corpo a corpo, annulla la distanza di cui la passione si alimenta.
Nella passione non c'è scambio, perché l'altro non esiste se non nella testa di chi ama. L'altro è solo la materia per la sua creazione.
Non ci si può innamorare se non si idealizza la persona amata, se la fantasia non interviene a farne qualcosa di unico, di inequiparabile. Certo, più si scalano le montagne più pericolosi diventano i precipizi.
Non si dà amore senza possibilità di tradimento, così come non si dà tradimento se non all'interno di un rapporto d'amore. A tradire infatti non sono i nemici e tanto meno gli estranei, ma i padri, le madri, i figli, i fratelli, gli amanti, le mogli, i mariti, gli amici. Solo loro possono tradire, perché su di loro un giorno abbiamo investito il nostro amore.
Quando in un rapporto uno dei due subisce una delusione, la tentazione è quella di negare il valore dell'altro prima idealizzato. Non si è voluto vedere l'ombra dell'altro quando si era innamorati, ora, dopo il tradimento, si ricaccia l'altro per intero nella sua ombra. Due eccessi, dove prima l'amore cieco e poi il cieco odio dicono quanto infantile e primitiva è la nostra anima.
Sembra che l'odio sia il compagno inevitabile dell'amore, la cui sopravvivenza forse non dipende tanto dalla capacità di evitare l'aggressività, quanto dalla capacità di viverla e di oltrepassarla in nome dell'amore.
Scegliere un uomo o una donna per tutta la vita significa scommettere senza essere supportati da alcuna buona ragione, perché nelle cose d'amore la ragione non ha gran voce in capitolo.
Si fa presto a dire "amore". Ma quel che c'è sotto a questa parola lo conosce solo il diavolo.
Il tramonto dell'Occidente
nella lettura di Heidegger e Jaspers © Feltrinelli 2005 - Selezione Aforismario
Filosofare, oggi, è essere fraintesi.
Tramontare è l'inevitabile declinare della luce o è l'inconsapevole sottrarsi della terra alla luce? Cogliere il senso di questa domanda è decidersi per un'attesa o per una scelta.
La casa di psiche
Dalla psicoanalisi alla pratica filosofica © Feltrinelli 2005 - Selezione Aforismario
L'amore è tra me e quel fondo abissale che c'è dentro di me, a cui io posso accedere grazie a te.
L'amore è molto solipsistico; e tu, con cui faccio l'amore, sei quel Virgilio che mi consente di andare nel mio Inferno, da cui poi emergo grazie alla tua presenza (perché non è mica detto che chi va all'Inferno poi riesca a uscire di nuovo). Grazie alla tua presenza io emergo: per questo non si fa l'amore con chiunque, ma con colui/lei di cui ci si fida; e di che cos'è che ci si fida? Della possibilità che dopo l'affondo nel mio abisso mi riporti fuori.
L'ospite inquietante
Il nichilismo e i giovani © Feltrinelli 2007 - Selezione Aforismario
Alla base dell'assunzione delle droghe, di tutte le droghe, anche del tabacco e dell'alcol, c'è da considerare se la vita offre un margine di senso sufficiente per giustificare tutta la fatica che si fa per vivere. Se questo senso non si dà, se non c'è neppure la prospettiva di poterlo reperire, se i giorni si succedono solo per distribuire insensatezza e dosi massicce di insignificanza, allora si va alla ricerca di qualche anestetico capace di renderci insensibili alla vita.
Bisogna educare i giovani a essere se stessi, assolutamente se stessi. Questa è la forza d'animo. Ma per essere se stessi occorre accogliere a braccia aperte la propria ombra.
Di forza d'animo hanno bisogno i giovani soprattutto oggi perché non sono più sostenuti da una tradizione, perché si sono rotte le tavole dove erano incise le leggi della morale, perché si è smarrito il senso dell'esistenza e incerta s'è fatta la sua direzione.
Gli uomini non hanno mai abitato il mondo, ma sempre e solo la descrizione che di volta in volta il mito, la religione, la filosofia, la scienza hanno dato del mondo.
I giovani, anche se non sempre lo sanno, stanno male. E non per le solite crisi esistenziali che costellano la giovinezza, ma perché un ospite inquietante, il nichilismo, si aggira tra loro, penetra nei loro sentimenti, confonde i loro pensieri, cancella prospettive ed orizzonti, fiacca la loro anima, intristisce le passioni rendendole esangui.
I giovani cercano i divertimenti perché non sanno gioire.
I giovani sono attivi quando con la speranza vanno verso il tempo e non quando con l'attesa aspettano che il tempo venga verso di loro.
I giovani sono una costruzione.
Il bisogno di essere accettati e il desiderio di essere amati ci fanno percorrere strade che il nostro sentimento ci fa avvertire come non nostre, e così l'animo si indebolisce e si ripiega su se stesso nell'inutile fatica di compiacere agli altri. Alla fine l'anima si ammala, perché la malattia, lo sappiamo tutti, è una metafora, la metafora della devianza dal sentiero della nostra vita.
Il piacere della droga non è la scelta di una maggiore intensità della vita al prezzo della sua brevità, è la scelta dell'astinenza dalla vita, perché questa, una volta apparsa in tutta la sua insignificanza, prosegua pure il tracciato della sua insensatezza, ma risparmiando almeno il dolore. A questo tende il piacere della droga, ossia il piacere dell'anestesia, a null'altro.
L'ignoranza non ha mai salvato nessuno e l'ignoranza dei giovani a proposito della droga è pari alla sua diffusione.
Quella fase precaria dell'esistenza che è l'adolescenza, dove l'identità appena abbozzata non si gioca come nell'adulto tra ciò che si è e la paura di perdere ciò che si è, ma nel divario ben più drammatico tra il non sapere chi si è e la paura di non riuscire a essere ciò che si sogna.
Una cultura della droga toglierebbe la droga dal segreto e la priverebbe di quel fascino iniziatico che, tra i molti, è forse l'aspetto più attraente e più invitante.
Bisogna educare i giovani a essere se stessi, assolutamente se stessi. Questa è la forza d'animo. Ma per essere se stessi occorre accogliere a braccia aperte la propria ombra.
Di forza d'animo hanno bisogno i giovani soprattutto oggi perché non sono più sostenuti da una tradizione, perché si sono rotte le tavole dove erano incise le leggi della morale, perché si è smarrito il senso dell'esistenza e incerta s'è fatta la sua direzione.
Gli uomini non hanno mai abitato il mondo, ma sempre e solo la descrizione che di volta in volta il mito, la religione, la filosofia, la scienza hanno dato del mondo.
I giovani, anche se non sempre lo sanno, stanno male. E non per le solite crisi esistenziali che costellano la giovinezza, ma perché un ospite inquietante, il nichilismo, si aggira tra loro, penetra nei loro sentimenti, confonde i loro pensieri, cancella prospettive ed orizzonti, fiacca la loro anima, intristisce le passioni rendendole esangui.
I giovani cercano i divertimenti perché non sanno gioire.
I giovani sono attivi quando con la speranza vanno verso il tempo e non quando con l'attesa aspettano che il tempo venga verso di loro.
I giovani sono una costruzione.
Il bisogno di essere accettati e il desiderio di essere amati ci fanno percorrere strade che il nostro sentimento ci fa avvertire come non nostre, e così l'animo si indebolisce e si ripiega su se stesso nell'inutile fatica di compiacere agli altri. Alla fine l'anima si ammala, perché la malattia, lo sappiamo tutti, è una metafora, la metafora della devianza dal sentiero della nostra vita.
Il piacere della droga non è la scelta di una maggiore intensità della vita al prezzo della sua brevità, è la scelta dell'astinenza dalla vita, perché questa, una volta apparsa in tutta la sua insignificanza, prosegua pure il tracciato della sua insensatezza, ma risparmiando almeno il dolore. A questo tende il piacere della droga, ossia il piacere dell'anestesia, a null'altro.
L'ignoranza non ha mai salvato nessuno e l'ignoranza dei giovani a proposito della droga è pari alla sua diffusione.
Quella fase precaria dell'esistenza che è l'adolescenza, dove l'identità appena abbozzata non si gioca come nell'adulto tra ciò che si è e la paura di perdere ciò che si è, ma nel divario ben più drammatico tra il non sapere chi si è e la paura di non riuscire a essere ciò che si sogna.
Una cultura della droga toglierebbe la droga dal segreto e la priverebbe di quel fascino iniziatico che, tra i molti, è forse l'aspetto più attraente e più invitante.
Il segreto della domanda
Intorno alle cose umane e divine © Feltrinelli 2008 - Selezione Aforismario
La bellezza della vita è proprio nella sua imperscrutabilità, è nel gioco indicato dai suoi enigmi che non si concedono a facili soluzioni.
L’uomo è un prodotto di lotte intime e sociali, la cui soluzione provvisoria va cercata in quel dialogo infinito con gli altri, capace di allargare la sua visione del mondo, la cui angustia è la vera responsabile dell’acuirsi del dolore nell’insolubilità dei problemi.
I bambini non nascono con la verità in tasca, ma con un mucchio di domande che sono un invito alla ricerca. Domande spesso disattese dal mondo adulto che pensa di sapere come stanno le cose, e perciò non presta attenzione alle loro domande che così restano morte e inevase, mentre potrebbero mettere in crisi le risposte che gli adulti si sono dati ai problemi della loro vita onde poter cambiare la loro visione del mondo.
La filosofia non è un “sapere”, ma un “atteggiamento”. L’atteggiamento di chi non smette di fare domande e di porre in questione tutte le risposte che sembrano definitive.
I miti del nostro tempo
© Feltrinelli 2009 - Selezione Aforismario
A differenza delle idee che pensiamo, i miti sono idee che ci possiedono e ci governano con mezzi che non sono logici, ma psicologici, e quindi radicati nel fondo della nostra anima, dove anche la luce della ragione fatica a far giungere il suo raggio.
I miti sono idee semplici che noi abbiamo mitizzato perché sono comode, non danno problemi, facilitano il giudizio, in una parola ci rassicurano, togliendo ogni dubbio alla nostra visione del mondo che, non più sollecitata dall'inquietudine delle domande, tranquillizza le nostre coscienze beate che, rinunciando al rischio dell'interrogazione, confondono la sincerità dell'adesione con la profondità del sonno.
Accettare la realtà quando questa è troppo distante dal proprio desiderio è per chiunque di noi il lavoro che ci affatica ogni giorno.
Chi pretende di guarire dal dolore pretende di guarire dalla condizione umana.
Essere al mondo senza capire in che mondo siamo, perché disponiamo solo di idee elementari a cui restiamo arroccati per non smarrirci, è la via regia per estraniarci dal mondo.
Il nucleo familiare è diventato oggi un nucleo asociale. Quel che succede in casa resta spesso compresso e incomunicato. Quando si esce di casa, ciascuno indossa una maschera, quella convenuta, il cui compito è di non lasciar trasparire proprio nulla dei drammi, delle gioie o dei dolori che si vivono dentro quelle mura ben protette.
Il potere non si presenta mai come tale, ma indossa sempre i panni del prestigio, dell'ambizione, dell'ascendente, della reputazione, della persuasione, del carisma, della decisione, del veto, del controllo, e dietro queste maschere non è facile riconoscere le due leve su cui si fonda: il controllo assoluto delle nostre condizioni di vita e la massima efficienza delle prestazioni che ci sono richieste.
In ogni condanna che rivolgiamo agli altri c'è un volgare rigurgito di innocenza per noi stessi guadagnato a poco prezzo.
L'esperienza degli altri non serve a nessuno, tanto meno ai giovani che devono fare la propria.
La fatica di leggere non può competere con la facilità di guardare, e allora, rispetto al libro, la televisione sarà il medium più amichevole perché è quello che "dà meno da fare".
La felicità si guadagna attenendosi alla giusta misura, che i Greci
conoscevano perché si sapevano mortali e i cristiani conoscono meno perché ospitati da una cultura che non si accontenta della felicità, perché vuole la felicità eterna, che è una condizione che non si addice a chi ha avuto in dote una sorte mortale.
La paura è un ottimo meccanismo di difesa che, di fronte a un pericolo determinato, adotta strategie di attacco o di fuga. L'angoscia, invece, è un sentimento che insorge di fronte all'indeterminatezza di una minaccia non identificabile, non localizzabile, non prevedibile, ma vissuta come certa, come qualcosa che, prima o poi, capiterà. Dall'angoscia non ci si può difendere.
La propensione alla felicità è accessibile a qualsiasi essere umano, a prescindere dalla sua ricchezza, dalla sua condizione sociale, dalle sue capacità intellettuali, dalle sue condizioni di salute. Perché la felicità non dipende tanto dal piacere, dall'amore, dalla considerazione o dall'ammirazione altrui, quanto dalla piena accettazione di sé.
Nel mondo tutti recitiamo una parte, basta vedere come ci presentiamo in pubblico e come in privato per convenire che siamo tutti degli impostori.
Nessuno di noi abita il mondo, ma esclusivamente la propria visione del mondo.
Non ci sarebbero tanti disperati nella vita se tutti, da bambini, fossero stati davvero amati e solo amati.
Se l'infelicità è il risultato di un desiderio lanciato al di là delle nostre possibilità, non c'è alcuna difficoltà a dire che chi è infelice in qualche modo è colpevole, perché è lui stesso causa della sua infelicità, per aver improvvidamente coltivato un desiderio infinito e incompatibile con i tratti della sua personalità, che non si è mai dato la briga di conoscere.
Se un giorno è come tutti, tutti i giorni sono come uno solo, nell'uniformità perfetta di una vita che assapora quel vuoto d'esperienza che accade quando si sono vanificate tutte le attese, tutte le speranze, tutte le illusioni. È allora che l'impossibile, come un muro, sbarra tutte le vie del possibile che alimentano il futuro.
Cristianesimo
La religione dal cielo vuoto © Feltrinelli 2012 - Selezione Aforismario
A differenza dell'animale, l'uomo sa di dover morire. Questa consapevolezza lo obbliga al pensiero dell'ulteriorità che resta tale comunque la si pensi abitata: da Dio o dal Nulla.
A promuovere la fede nel soprannaturale è di solito quella mancanza di senso che ciascuno di noi non fatica a toccare ogni giorno con mano su questa terra.
Credere significa essere convinti di qualcosa che non esibisce il proprio fondamento veritativo. Lo esibisse, questo qualcosa non sarebbe creduto, ma saputo.
La figura centrale del cristianesimo è l'incarnazione, il farsi uomo da parte di Dio. In questo modo Dio viene sottratto al mondo del sacro, che è separato dal mondo profano, e reso a questo immanente. In questo processo di desacralizzazione del sacro è già annunciata la "morte di Dio", quale effetto della sua mondanizzazione.
Il principio dell'ateismo o, se preferiamo, dell'agnosticismo della civiltà cristiana, che è poi quella occidentale, è già contenuto nell'atto di nascita del cristianesimo che, "umanizzando Dio", pone le premesse per la "divinizzazione dell'uomo".
Se ce una possibilità per il cristianesimo di recuperare un rapporto con il sacro, questa possibilità passa attraverso la rinuncia, da parte del cristianesimo, a legiferare in sede morale, perché non c'è commensurabilità tra il sapere umano e il sapere divino, quindi non si può costringere il giudizio di Dio nelle regole con cui gli uomini hanno organizzato la loro ragione e confezionato le loro morali. Dio è al di là del vero e del falso, così come è al di là del bene e del male.
Se la ragione è un sistema di regole che gli uomini si sono dati per poter convivere, la religione custodisce quello sfondo pre-razionale che gli uomini abitano più profondamente e più intimamente di quanto non si adattino alla convenzione razionale.
Citazioni da articoli di giornale
Selezione Aforismario
D la Repubblica delle Donne
A me non piace la definizione di "ateo" perché ad affibbiarmela sono coloro che credono in Dio e guardano il mondo esclusivamente dal loro punto di vista, dividendolo in quanti credono o non credono. In questa etichettatura c'è tutta la prepotenza del loro schema mentale, che fa della loro fede la discriminante tra gli uomini.
Della disillusione siamo responsabili noi adulti, che, aderendo incondizionatamente al "sano realismo" del pensiero unico incapace di volare una spanna oltre il business, il profitto e l'interesse individuale, abbiamo abbandonato ogni vincolo di solidarietà, ogni pietà per chi sta peggio di noi, ogni legame affettivo che fuoriesca dallo stretto ambito familiare. Inoltre abbiamo inaugurato una visione del mondo che guarda alla terra e ai suoi abitanti solo nell'ottica del mercato.
L'amore non è possesso, perché il possesso non tende al bene dell'altro, né alla lealtà verso l'altro, ma solo al mantenimento della relazione, che, lungi dal garantire la felicità, che è sempre nella ricerca e nella conoscenza di sé, la sacrifica in cambio di sicurezza.
La fedeltà, se la vogliamo scarnificare un po', è la virtù di chi si sente più debole nella coppia e ha l'impressione che, perso quell'uomo o quella donna con cui vive, non ha altra chance che il deserto della solitudine. E allora si abbarbica all'indifferenza dell'altro/a, quando non alla sua ostilità, profondendosi in quelle forme esasperate d'amore che sono il rovescio del suo bisogno assoluto dell'altro.
Niente impedisce di dire a tutti coloro che si sentono traditi che forse un giorno hanno scelto chi li avrebbe traditi per poter incontrare se stessi, come un giorno Gesù scelse Giuda per incontrare il suo destino.
Noi viviamo nell'ambito della tradizione giudaico cristiana e non sappiamo affrontare la morte se non affidandoci a speranza ultraterrene. Abbiamo un concetto molto alto di noi, meritevoli di immortalità. Ma questa credenza è rivelatrice di una verità o di uno spropositato amore di sé? Perché, nel secondo caso, forse varrebbe la pena di consegnarci con largo anticipo al nostro limite, seguendo la saggezza greca là dove insegna: "Chi conosce il suo limite non teme il destino".
Più la società si fa tecnologica, più si riducono i posti di lavoro. E paradossalmente quello che è sempre stato il sogno più antico dell'uomo: la liberazione dal lavoro si sta trasformando in un incubo.
Se il bisogno di rassicurare la propria intrinseca insicurezza genera la fedeltà, il bisogno di non annullarsi nell'altro genera il tradimento.
Siamo nell'età della tecnica, dove non è possibile vivere se non al prezzo di una completa omologazione al mondo dei prodotti che ci circonda, e da cui dipendiamo come produttori e consumatori.
la Repubblica
La felicità, nonostante la pubblicità vi illuda, non ci viene dall'ultima generazione di telefonini o di computer, e più in generale di «prodotti», ma da uno straccio di «relazione in più».
Sin da quando siamo nati ci hanno insegnato che apparire è più importante che essere. E a questo dogma terribile abbiamo sacrificato il nostro corpo, incaricandolo di rappresentare quello che propriamente non siamo, o addirittura abbiamo evitato di sapere.
L'espresso
La faccia della persona matura è un atto di verità, mentre la maschera dietro cui si nasconde un volto trattato con la chirurgia è una falsificazione che lascia trasparire l'insicurezza di chi non ha il coraggio di esporsi alla vista con la propria faccia.
Selezione Aforismario
D la Repubblica delle Donne
A me non piace la definizione di "ateo" perché ad affibbiarmela sono coloro che credono in Dio e guardano il mondo esclusivamente dal loro punto di vista, dividendolo in quanti credono o non credono. In questa etichettatura c'è tutta la prepotenza del loro schema mentale, che fa della loro fede la discriminante tra gli uomini.
Della disillusione siamo responsabili noi adulti, che, aderendo incondizionatamente al "sano realismo" del pensiero unico incapace di volare una spanna oltre il business, il profitto e l'interesse individuale, abbiamo abbandonato ogni vincolo di solidarietà, ogni pietà per chi sta peggio di noi, ogni legame affettivo che fuoriesca dallo stretto ambito familiare. Inoltre abbiamo inaugurato una visione del mondo che guarda alla terra e ai suoi abitanti solo nell'ottica del mercato.
L'amore non è possesso, perché il possesso non tende al bene dell'altro, né alla lealtà verso l'altro, ma solo al mantenimento della relazione, che, lungi dal garantire la felicità, che è sempre nella ricerca e nella conoscenza di sé, la sacrifica in cambio di sicurezza.
La fedeltà, se la vogliamo scarnificare un po', è la virtù di chi si sente più debole nella coppia e ha l'impressione che, perso quell'uomo o quella donna con cui vive, non ha altra chance che il deserto della solitudine. E allora si abbarbica all'indifferenza dell'altro/a, quando non alla sua ostilità, profondendosi in quelle forme esasperate d'amore che sono il rovescio del suo bisogno assoluto dell'altro.
Niente impedisce di dire a tutti coloro che si sentono traditi che forse un giorno hanno scelto chi li avrebbe traditi per poter incontrare se stessi, come un giorno Gesù scelse Giuda per incontrare il suo destino.
Noi viviamo nell'ambito della tradizione giudaico cristiana e non sappiamo affrontare la morte se non affidandoci a speranza ultraterrene. Abbiamo un concetto molto alto di noi, meritevoli di immortalità. Ma questa credenza è rivelatrice di una verità o di uno spropositato amore di sé? Perché, nel secondo caso, forse varrebbe la pena di consegnarci con largo anticipo al nostro limite, seguendo la saggezza greca là dove insegna: "Chi conosce il suo limite non teme il destino".
Più la società si fa tecnologica, più si riducono i posti di lavoro. E paradossalmente quello che è sempre stato il sogno più antico dell'uomo: la liberazione dal lavoro si sta trasformando in un incubo.
Se il bisogno di rassicurare la propria intrinseca insicurezza genera la fedeltà, il bisogno di non annullarsi nell'altro genera il tradimento.
Siamo nell'età della tecnica, dove non è possibile vivere se non al prezzo di una completa omologazione al mondo dei prodotti che ci circonda, e da cui dipendiamo come produttori e consumatori.
la Repubblica
La felicità, nonostante la pubblicità vi illuda, non ci viene dall'ultima generazione di telefonini o di computer, e più in generale di «prodotti», ma da uno straccio di «relazione in più».
Sin da quando siamo nati ci hanno insegnato che apparire è più importante che essere. E a questo dogma terribile abbiamo sacrificato il nostro corpo, incaricandolo di rappresentare quello che propriamente non siamo, o addirittura abbiamo evitato di sapere.
L'espresso
La faccia della persona matura è un atto di verità, mentre la maschera dietro cui si nasconde un volto trattato con la chirurgia è una falsificazione che lascia trasparire l'insicurezza di chi non ha il coraggio di esporsi alla vista con la propria faccia.
Note
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