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Frasi e citazioni sui Lager e sui Campi di Concentramento

Raccolta dei migliori aforismi e delle frasi più significative sui lager e sui campi di concentramento. Il termine tedesco "lager" significa "campo" o "magazzino", ed usato in italiano per indicare i campi di concentramento (in tedesco: Konzentrationslager), i campi di sterminio (in tedesco: Vernichtungslager) e i campi di lavori forzati (in tedesco: Arbeitslager). I lager furono istituiti dai nazisti, per volere di Adolf Hitler, subito dopo aver assunto il potere. Il primo lager fu costruito nel 1933 nella città tedesca di Dachau. Inizialmente, i lager furono utilizzati dai nazisti per rinchiudervi gli oppositori politici (comunisti, socialdemocratici, obiettori di coscienza) e successivamente per la detenzione e per lo sterminio degli ebrei, come di altre categorie ritenute indesiderate: zingari, omosessuali, ecc.
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La porta della schiavitù, su cui, vane ormai, ancora si leggevano
le tre parole della derisione: «Arbeit Macht Frei»,
«Il lavoro rende liberi». (Primo Levi)
Scrivere una poesia dopo Auschwitz è un atto di barbarie.
Theodor Adorno, Critica della cultura e società, 1949

Non si può stabilire un'analogia tra Auschwitz e la distruzione delle città-stato greche, e interpretarla come un semplice aumento graduale dell'orrore, aumento di fronte al quale si potrebbe conservare la pace del proprio spirito. È vero, tuttavia, che dal martirio e dall'umiliazione senza precedenti dei prigionieri deportati nei carri bestiame cade una luce terribilmente cruda anche sul più remoto passato, nella cui violenza cieca e disordinata era già teleologicamente implicita la violenza scientificamente organizzata di oggi.
Theodor Adorno, Minima moralia, 1951
  
L’apatia e l’indifferenza d’animo s’impadroniscono del prigioniero, durante la sua permanenza nel Lager, facendo precipitare tutta la sua vita spirituale a un livello primitivo, rendendolo oggetto abulico del destino e dell’arbitrio delle sentinelle
Viktor Frankl, Uno psicologo nei lager, 1946 [1]

La maggioranza dei prigionieri è, comprensibilmente, tormentata da una sorta di complesso d’inferiorità. Ognuno di noi è stato, molto tempo fa, «qualcuno» o credeva almeno di essere qualcuno. Ora invece, qui, ci trattano letteralmente come se non esistessimo neppure.
Viktor Frankl, Uno psicologo nei lager, 1946 [1]

All'uomo nel Lager si può prendere tutto, eccetto una cosa: l’ultima libertà umana di affrontare spiritualmente, in un modo o nell'altro, la situazione imposta.
Viktor Frankl, ibidem

Tutto ciò che accade all'anima dell’uomo, ciò che il Lager apparentemente «fa» di lui come uomo, è il frutto d’una decisione interna. In linea di principio dunque, ogni uomo, anche se condizionato da gravissime circostanze esterne, può in qualche modo decidere che cosa sarà di lui – spiritualmente – nel Lager: un internato tipico – o un uomo, che resta uomo anche qui e conserva intatta la dignità d’uomo.
Viktor Frankl, Uno psicologo nei lager, 1946 [1]

La vita conserva il suo senso anche quando si svolge in un campo di concentramento, quando non offre quasi più nessuna prospettiva di realizzare dei valori, creandoli o godendoli, ma lascia solamente un’ultima possibilità di comportamento moralmente valido, proprio nel modo in cui l’uomo si atteggia di fronte alla limitazione del suo essere, imposta con violenza dall'esterno.
Viktor Frankl, ibidem

A seconda se uno resta coraggioso e forte, dignitoso e altruista. o se dimentica d’essere un uomo nella spietata lotta per sopravvivere e diventa in tutto e per tutto l’animale d’un gregge –al quale la psicologia dell’internato ci ha fatto pensare – a seconda di ciò che accade, l’uomo realizza o perde i possibili valori morali che la sua dolorosa situazione e il suo duro destino gli consentono, e, a seconda dei casi, è «degno del suo tormento» o non lo è.
Viktor Frankl, Uno psicologo nei lager, 1946 [1]

Nel Lager un giorno dura più che una settimana
Viktor Frankl, ibidem

La maggior parte degli uomini nel Lager credeva di aver perso la capacità di autentiche realizzazioni, mentre queste dipendevano da ciò che uno sapeva fare della vita nel Lager: vegetare, come migliaia di internati, o invece, come i pochi, i rari, vincere interiormente.
Viktor Frankl, Uno psicologo nei lager, 1946 [1]

Chi non sa credere più nel futuro, nel suo futuro, in un campo di concentramento è perduto.
Viktor Frankl, ibidem

In un modo o nell'altro – viene il giorno in cui ogni ex internato, ripensando alle esperienze del Lager, prova una strana sensazione. Egli stesso non comprende come ha potuto superare tutto ciò che la vita del Lager ha preteso da lui. E se vi fu nella sua vita un giorno – il giorno della liberazione – nel quale tutto gli apparve come un bel sogno, certamente arriva anche il giorno in cui tutto ciò che ha vissuto nel Lager gli appare come un brutto sogno. Quest’esperienza dell’uomo tornato a casa, sarà coronata dalla splendida sensazione che, dopo quanto ha sofferto, non deve temere più nulla al mondo – tranne il suo Dio.
Viktor Frankl, Uno psicologo nei lager, 1946 [1]

Cos'è un lager? / Sono mille e mille occhiaie vuote, / sono mani magre abbarbicate ai fili, / son baracche, uffici, orari, timbri e ruote, / son routine e risa dietro a dei fucili, / sono la paura l'unica emozione, / sono angoscia d'anni dove il niente è tutto, / sono una pazzia e un'allucinazione / che la nostra noia sembra quasi un rutto. / Sono il lato buio della nostra mente, | sono un qualche cosa da dimenticare.
Francesco Guccini, Lager, 1981

Dove non c'è umorismo non c'è umanità; dove non c'è umorismo (questa libertà che ci si prende, questo distacco di fronte a sé stessi) c'è il campo di concentramento.
Eugène Ionesco, Note e contronote, 1962

Che cosa sapevano i tedeschi dei campi di concentramento? Oltre alla loro concreta esistenza, quasi niente, ed anche oggi ne sanno poco. Indubbiamente, il metodo di mantenere rigorosamente segreti i particolari del sistema terroristico, rendendo così l'angoscia indeterminata, e quindi tanto più profonda, si è rivelato efficace.
Eugen Kogon, Lo Stato delle SS, 1946

Perfino molti funzionari della Gestapo ignoravano cosa avveniva all'interno dei Lager, in cui pure essi inviavano i loro prigionieri; la maggior parte degli stessi prigionieri avevano un'idea assai imprecisa del funzionamento del loro campo e dei metodi che vi venivano impiegati. Come avrebbe potuto conoscerli il popolo tedesco?
Eugen Kogon, Lo Stato delle SS, 1946

Eppure... eppure, non c'era neanche un tedesco che non sapesse dell'esistenza dei campi, o che li ritenesse dei sanatori. Erano pochi i tedeschi che non avessero un parente o un conoscente in campo, o almeno che non sapessero che il tale o il tal altro ci era stato mandato.
Eugen Kogon, Lo Stato delle SS, 1946
Per il fatto che un Auschwitz è esistito,
nessuno dovrebbe ai nostri giorni parlare di Provvidenza. (Primo Levi)
A molti, individui o popoli, può accadere di ritenere, più o meno consapevolmente, che «ogni straniero è nemico». Per lo più questa convinzione giace in fondo agli animi come una infezione latente; si manifesta solo in atti saltuari e incoordinati, e non sta all'origine di un sistema di pensiero. Ma quando questo avviene, quando il dogma inespresso diventa premessa maggiore di un sillogismo, allora, al termine della catena, sta il Lager.
Primo Levi, Se questo è un uomo, 1947

Il Lager è la fame
Primo Levi, Se questo è un uomo, 1947

In Lager, non vi sono criminali né pazzi: non criminali, perché non v'è legge morale a cui contravvenire, non pazzi, perché siamo determinati, e ogni nostra azione è, a tempo e luogo, sensibilmente l'unica possibile.
Primo Levi, Se questo è un uomo, 1947

Se non altro per il fatto che un Auschwitz è esistito, nessuno dovrebbe ai nostri giorni parlare di Provvidenza: ma è certo che in quell'ora il ricordo dei salvamenti biblici nelle avversità estreme passò come un vento per tutti gli animi.
Primo Levi, Se questo è un uomo, 1947

Se dall'interno dei Lager un messaggio avesse potuto trapelare agli uomini liberi, sarebbe stato questo: fate di non subire nelle vostre case ciò che a noi viene inflitto qui.
Primo Levi, Se questo è un uomo, 1947

Nella storia e nella vita pare talvolta di discernere una legge feroce, che suona «a chi ha, sarà dato; a chi non ha, a quello sarà tolto». Nel Lager, dove l’uomo è solo e la lotta per la vita si riduce al suo meccanismo primordiale, la legge iniqua è apertamente in vigore, è riconosciuta da tutti.
Primo Levi, Se questo è un uomo, 1947

I Lager tedeschi costituiscono qualcosa di unico nella pur sanguinosa storia dell'umanità: all'antico scopo di eliminare o terrificare gli avversari politici, affiancavano uno scopo moderno e mostruoso, quello di cancellare dal mondo interi popoli e culture.
Primo Levi, Se questo è un uomo, 1947 (in Appendice, 1976)

La gran massa dei tedeschi ignorò sempre i particolari più atroci di quanto avvenne più tardi nei Lager: lo sterminio metodico e industrializzato sulla scala dei milioni, le camere a gas tossico, i forni crematori, l'abietto sfruttamento dei cadaveri, tutto questo non si doveva sapere, ed in effetti pochi lo seppero, fino alla fine della guerra. Per mantenere il segreto, fra le altre precauzioni, nel linguaggio ufficiale si usavano soltanto cauti e cinici eufemismi: non si scriveva «sterminio» ma «soluzione definitiva», non «deportazione» ma «trasferimento», non «uccisione col gas» ma «trattamento speciale», e così via.
Primo Levi, Se questo è un uomo, 1947 (in Appendice, 1976)

È dell'uomo operare in vista di un fine: la strage di Auschwitz, che ha distrutto una tradizione ed una civiltà, non ha giovato a nessuno. 
Primo Levi, su La Stampa, 1959

Questo non è un sanatorio. Questo è un Lager tedesco, si chiama Auschwitz, e non se ne esce che per il Camino. Se ti piace è così; se non ti piace, non hai che da andare a toccare il filo elettrico.
Primo Levi, La tregua, 1963

Auschwitz è fuori di noi, ma è intorno a noi, è nell'aria. La peste si è spenta, ma l'infezione serpeggia: sarebbe sciocco negarlo. [...] Se ne descrivono i segni: il disconoscimento della solidarietà umana, l'indifferenza ottusa o cinica per il dolore altrui, l'abdicazione dell'intelletto e del senso morale davanti al principio d'autorità, e principalmente, alla radice di tutto, una marea di viltà, una viltà abissale, in maschera di virtù guerriera, di amor patrio e di fedeltà a un'idea.
Primo Levi, prefazione a Léon Poliakov, Auschwitz, 1968

Dopo Auschwitz non si può più fare poesia se non su Auschwitz.
Primo Levi, su Corriere della Sera, 1984

Vorremmo far considerare come il Lager sia stato, anche e notevolmente, una gigantesca esperienza biologica e sociale. Si rinchiudano tra i fili spinati migliaia di individui diversi per età, condizione, origine, lingua, cultura e costumi, e siano quivi sottoposti a un regime di vita costante, controllabile, identico per tutti e inferiore a tutti i bisogni: è quanto di più rigoroso uno sperimentatore avrebbe potuto istituire per stabilire che cosa sia essenziale e che cosa acquisito nel comportamento dell'animale-uomo di fronte alla lotta per la vita.
Primo Levi, I sommersi e i salvati, 1986

C'è Auschwitz, quindi non può esserci Dio.
Primo Levi, in Ferdinando Camon, Conversazione con Primo Levi, 1991

La camera a gas è l'unico punto di carità, nel campo di concentramento.
Elsa Morante, La storia, 1947

Il male, che sempre c’è stato, ha dilagato, si è materializzato come potere incondizionato e arbitrario sulla vita, sperimentazione estrema dell’uomo sull’uomo. L’abominio di Auschwitz ne è il segno e non è stato affatto un sogno. E non è detto che il peggio sia passato.
Salvatore Natoli, Stare al mondo, 2002

La burocrazia e le leggi hanno già trasformato il mondo in un campo di concentramento pulito e sicuro. Stiamo crescendo in una generazioni di schiavi. Stiamo insegnando ai nostri figli l'impotenza.
Chuck Palahniuk, Soffocare, 2001

Note
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