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Frasi e citazioni di Nicola Abbagnano

Selezione di frasi e citazioni di Nicola Abbagnano (Salerno 1901 -Milano 1990), filosofo, storico della filosofia e accademico italiano. Fondatore dell'esistenzialismo positivo, Nicola Abbagnano è considerato il maggior esponente della corrente esistenzialista italiana. 
Foto di Nicola Abbagnano
Chi ha avuto la fortuna di incontrare l'amore, faccia di tutto per mantenerlo vivo,
perché l'amore non invecchia. E chi non l'ha incontrato, apra il cuore alla speranza,
poiché la vita è sempre una speranza d'amore. (Nicola Abbagnano)

La struttura dell'esistenza
© Paravia, 1939

La filosofia non può cominciare che dalla filosofia, cioè dalla determinazione della propria essenza e del propri compiti.

Introduzione all'esistenzialismo
© Bompiani, 1942

Esistere significa proprio e solo filosofare, sebbene filosofare non significhi sempre fare della filosofia. E infatti filosofare significa per l'uomo, in primo luogo, affrontare ad occhi aperti il proprio destino e porsi chiaramente i problemi che risultano dal proprio rapporto con se stesso, con gli altri uomini e col mondo.

Alla filosofia l'uomo può e deve chiedere di comprendere un po' meglio se stesso; e gli uomini di intendersi un po' meglio tra loro. 

La comprensione di sé, l'intelligenza reciproca fra gli uomini, sono a fondamento di ogni opera, di ogni lavoro umano; e costituiscono la trama di cui è tessuta la vita quotidiana del singolo, come la vita storica dell'umanità.

Storia della filosofia
© UTET, 1946-1963

Ogni vero filosofo è un maestro o compagno di ricerca, la cui voce ci giunge affievolita attraverso il tempo, ma può avere per noi, per i problemi che ora ci occupano, un'importanza decisiva.

Filosofia, religione, scienza
© UTET, 1947

Per scoprire l'autentica oggettività del mondo l'uomo non deve pensare il mondo come una parte di sé, ma deve sentire se stesso come parte del mondo.

L'esistenzialismo positivo
© UTET, 1948

Di fronte ad ogni filosofia, bisogna chiedersi se il concetto della realtà, cui essa mette capo, rende possibile il problema, da cui essa nasce. Se non lo rende possibile, il risultato implicito è sempre la totale e irrimediabile vacuità della filosofia. Ora a questa vacuità l'esistenzialismo intende sottrarsi. Esso esige che la filosofia debba da ultimo giungere a giustificare il proprio problema, a dimostrarne l'intrinseca possibilità. Tale è, si può dire, la caratteristica fondamentale dell'esistenzialismo.

L'esistenzialismo tende a sottrarre l'uomo all'indifferentismo anonimo, alla dissipazione, all'infedeltà a se stesso e altri altri: tende a restituirlo al suo destino, a reintegrarlo nella sua libertà.

L'uomo è il solo essere pensante finito; il sapere problematico costituisce perciò la condizione e il modo d'essere dell'uomo. Se si chiama esistenza il modo d'essere dell'uomo, il sapere problematico definisce ed esprime l'esistenza. Si rivela a questo punto quel tratto da cui l'esistenzialismo prende nome: l'identità tra esistenza e filosofia. Questo non è certo una novità. Che altro è mai stata la filosofia se non lo sforzo incessante dell'uomo di giungere a una qualche chiarezza intorno all'essere che gli è proprio?

L'esistenzialismo non è una scuola e ripudia il proselitismo.

Esistenzialismo come filosofia del possibile
1952

L’esistenzialismo si rifiuta di dare all'uomo garanzie infallibili, si rifiuta cioè di cullarlo in un ottimismo troppo fiducioso che addormenterebbe la sua vigilanza e lo esporrebbe senza difese a tutti i pericoli. Ma dall'altro lato, l’esistenzialismo deve rifiutarsi di paralizzare l’uomo e di inchiodarlo all'inerzia e all'abbandono prospettandogli unicamente la non riuscita e lo scacco di tutte le sue iniziative. Deve piuttosto condurre l’uomo alla libertà della scelta tra queste iniziative, consentendogli di scegliere, caso per caso, nel modo migliore e più ragionevole.

Morte o trasfigurazione dell'esistenzialismo
1955

Le filosofie esistenzialistiche tendono a sottolineare l’instabilità dell’esistenza e l’incertezza della realtà tutta di cui essa fa parte.

Si può dire che l’esistenzialismo è caratterizzato dal fatto di intendere ed esercitare il filosofare come «analisi dell’esistenza».

La letteratura detta esistenzialistica tende a sottolineare le vicende umane meno rispettabili e più tristi, peccaminose e dolorose, nonché l’incertezza delle intraprese, sia buone che cattive, e l’ambiguità del bene stesso, che mette capo al suo contrario. E, per considerare gli atti più banali, una foggia di vestire «esistenzialistica» tende a far apparire i giovani scapigliati che l’adottano come «anime perse» in perenne protesta contro la rispettabilità borghese della società contemporanea.

L’esistenzialismo afferma che l’uomo è una realtà finita, che esiste ed opera a suo rischio e pericolo.

L’esistenzialismo afferma che l’uomo è «gettato nel mondo», cioè abbandonato al determinismo di esso, che può rendere vane o impossibili le sue iniziative.

L’esistenzialismo afferma che la libertà dell’uomo è condizionata, finita, impacciata da molte limitazioni che possono ad ogni momento renderla sterile e farla ricadere su ciò che è già stato o è già
stato fatto.

L’esistenzialismo disconosce o ignora la nozione stessa di progresso perché non può scorgere di esso alcuna garanzia.

Non basta, a caratterizzare una filosofia, l’esposizione dei suoi temi preferiti. Non basta ad es. dire che l’esistenzialismo è la filosofia dell’angoscia o dello scacco o della nausea; ci sono infatti altre forme di esistenzialismo che hanno per tema preferito l’Essere o il Valore o il Mistero (in senso teologico), senza che nessuno di questi temi possa essere assunto a qualificare l’insieme del movimento.

Per ciò che riguarda l’avvenire, pare che l’esistenzialismo abbia lasciato l’uomo allo sbaraglio; che si sia rifiutato di proporgli qualsiasi mezzo, strumento, tecnica o atteggiamento atto ad affrontare l’instabilità delle faccende umane

Per o contro l'uomo
© Rizzoli 1968 - Selezione Aforismario

Da ultimo, la domanda che rimane sullo sfondo di ogni problema, ma che deve essere posta in primo piano e la cui risposta deve orientare la scelta delle soluzioni è una sola: per l’uomo o contro l’uomo?

La condizione dell’uomo non è quella di un padrone né quella di uno schiavo del proprio destino, ma quella di un artigiano o, se si vuole, di un artista disciplinato e laborioso. Ma questo artista non può affidarsi all’estro dell’improvvisazione: c’è una domanda che glielo impedisce, ed è sempre quella: per l’uomo o contro l’uomo?

Per quanti limiti od ostacoli incontri la possibilità dell’uomo di progettare la sua vita e di atteggiare in modi vari il suo essere o la sua natura, questa possibilità definisce l’uomo nei confronti di tutti gli altri animali e ne costituisce la migliore condizione di sopravvivenza.

L’autentica natura dell’uomo non è l’istinto come forza necessitante, bensì la ragione che non necessita a nulla ma gli fa vedere le alternative che gli si offrono e scegliere a ragion veduta fra esse.

La ragione non ha certo la pretesa dell’infallibilità che appartiene in proprio all’istinto ma possiede una capacità più umana e positiva: quella di riconoscere l’errore nei propri risultati e nei propri metodi e di essere continuamente vigile e disposta alla correzione dell’errore stesso. Rafforzare questa vigilanza e rendere più sicuri i procedimenti della ragione è un compito molto più difficile, ma certo più efficace, della pretesa di affidarsi all’istinto.

Non si può far tutto di tutti. Ciascuno di noi possiede capacità o talenti limitati, che si tratta di coltivare e sviluppare nel modo più conveniente.

Può ben darsi che la stoffa di un romanziere o di un artista si celi nei panni di un ragioniere o di un industriale o viceversa; ma può anche non darsi. Esistono vocazioni cieche, come esistono amori non corrisposti.

La frase «Non posso cambiarmi» può contenere, dopotutto, una certa verità. Ma se essa significa il rifiuto della persona di venire incontro alle esigenze degli altri e di prestare agli altri quella comprensione, quella indulgenza e quel rispetto che si esige per sé, non ha alcuna scusante.

Fuori dei rapporti con gli altri, l’individuo umano è veramente nulla.

Dal punto di vista del sentimento, l’uomo del nostro tempo non si distingue da quello di altri tempi, lontani o vicini. È un essere che sente la propria insufficienza, che ha bisogno di aiuto, di appoggio, di comprensione e di affetti teneri, perché da solo non può cavarsela nelle situazioni difficili che la vita gli offre.

L’uomo moderno nutre una diffidenza oscura e radicata negli impegni emotivi di qualsiasi genere (amori, amicizie, affetti) in quanto significano responsabilità, non disponibilità dei propri atteggiamenti, limitazioni gravi e talora decisive delle proprie attività e rischi di delusioni o di disinganni.

La minaccia che la morte fa incombere sull’uomo è  un elemento importante dell’esistenza umana nel mondo. La possibilità della morte è il filo nero che s’intreccia con i fili bianchi delle possibilità che la vita offre all’uomo; un filo nero che può, ad ogni istante, annientare gli altri.

Questo la morte può veramente insegnare all’uomo: a impegnarsi operosamente nella vita, a viverla con serenità e misura sicché sappia di non averla sprecata, quando l’ospite inattesa sopraggiunge.

Come la religione può prospettare agli uomini una via di salvezza e aiutarli a intraprenderla, ma non può garantire la salvezza dell’individuo perché nessuno può essere salvato contro la sua volontà, così la filosofia può prospettare agli uomini le vie del loro comportamento mondano e guidare o illuminare le loro scelte, ma non può compiere, per l’individuo, la scelta decisiva che spetta unicamente a lui stesso.

Il fondamento umano della filosofia continua ad essere nelle tre domande in cui Kant lo riassumeva in un capitolo della Critica della ragion pura·. Che cosa posso sapere? Che cosa devo fare? Che cosa posso sperare?

La condizione umana, che la filosofia può descrivere con i suoi mezzi, in quanto è soggetta al male, alla morte e agli infiniti pericoli che minacciano anche i destini più fortunati, è un forte incentivo della fede religiosa. Ma un incentivo non è propriamente una giustificazione, un fondamento razionale. 

È assai difficile che la filosofia riesca a dare all’uomo la garanzia assoluta che la sua invocazione al trascendente non si rivolga a un cielo vuoto, che non si perda senza eco negli spazi. Ma se d’altronde riuscisse a darla, dove sarebbe il merito e la responsabilità della fede?

La più antica e venerabile definizione della filosofia è quella che la considera come «ricerca della saggezza»: dove per saggezza si intende (come spiegava Platone) la conoscenza dell’uso che l’uomo deve fare del proprio sapere.

Di fronte al nulla, come di fronte al tutto, l’uomo non può far nulla: solo la rinuncia gli rimane. Ma al di là di questa rinuncia, c’è un compito più dignitoso: quello della lotta contro gli aspetti nullificanti della vita, per una vita migliore.

Gli spiriti creativi nell’arte e nella scienza, come nella politica e negli affari, traggono dall’esercizio della loro attività una soddisfazione che li rende in qualche modo tetragoni ai colpi della fortuna. Più esposti a questi colpi sono gli spiriti disorientati, che non sanno che fare della propria vita, che non hanno un interesse dominante o non sanno accentrare intorno ad esso il resto della loro vita.

La misura della felicità è l’individuo, e ciò che rende felice un individuo può rendere infelice un altro.

Un lavoro, anche modesto, cui l’individuo si senta tagliato, una possibilità effettiva di successo nell’attività che si è scelta, la prospettiva di un nuovo benessere, una vita affettiva senza seri conflitti, un amore riuscito, un sistema di abitudini regolari che assicuri un minimo di soddisfazioni, sono elementi o condizioni di una felicità che non è gioia né estasi, ma equilibrio della personalità umana e fecondità delle sue manifestazioni.

Se l’umanità vuol sopravvivere, non può dimenticare il rispetto che deve a se stessa e a ognuno dei suoi membri. Questo è l’unico  punto fermo.

Una società è tanto più libera e più ricca, quanto minori imposizioni o costrizioni esercita sulla formazione dei caratteri singoli: perché può allora utilizzare nei modi più diversi, e a seconda delle esigenze impreviste, la varietà dei talenti, dei temperamenti e dei caratteri di cui dispone.

La saggezza della vita
© Rusconi, 1985

Chi ha avuto la fortuna di incontrare l'amore, faccia di tutto per mantenerlo vivo, perché l'amore non invecchia. E chi non l'ha incontrato, apra il cuore alla speranza, poiché la vita è sempre una speranza d'amore.

Solo chi si isola da se stesso e dal prossimo è veramente solo.

Fonte sconosciuta
La filosofia può vivere solo a costo di illudersi. Essa deve illudersi di poter conquistare l'essere, ma può essere se stessa solo a patto di non conquistarlo mai.

La ragione in sé stessa possiede la possibilità di sbagliare, e la sua fallacia può trovare posto nella nostra logica.

Note
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