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Frasi e citazioni di Byung-Chul Han

Selezione di aforismi, frasi e citazioni di Byung-Chul Han (Seul, 1959), filosofo sudcoreano, professore di Filosofia e Studi culturali presso la Universität der Künste di Berlino. Molte delle sue opere sono state pubblicate in italiano dalle case editrici Einaudi e nottetempo.
Nel regime dell’informazione essere liberi non significa agire,
ma cliccare, mettere like e postare. Cosí non s’incontra mai
resistenza, non c’è da temere alcuna rivoluzione.
(Byung-Chul Han)
La società della stanchezza
Müdigkeitsgesellschaft, 2010

Alla nuda vita, che è divenuta incredibilmente fugace, si reagisce con l’iperattività, con l’isteria del lavoro e della produzione. Anche l’accelerazione dell’oggi ha molto a che fare con questa carenza d’essere.

La preoccupazione di vivere bene, nella quale rientra anche una riuscita convivenza, cede sempre più il passo alla preoccupazione di sopravvivere.

L’iperattività è, paradossalmente, una forma estremamente passiva del fare, che non ammette più alcun agire libero. 

Eros in agonia
Agonie des Eros, 2012

L’amore viene positivizzato, oggi, in una formula per il godimento. Esso deve produrre soprattutto sentimenti piacevoli. Non è piú una trama, una narrazione, un dramma, bensí emozione ed eccitazione prive di conseguenze. L’amore è libero dalla negatività dell’offesa, dell’assalto o della caduta. Cadere (innamorati) sarebbe già troppo negativo. Ma proprio questa negatività determina l’amore.

L’amore è un “palcoscenico per due”: interrompe la prospettiva dell’uno e permette che il mondo risorga in modo nuovo dal punto di vista dell’Altro o del Diverso.

La salvezza del bello
Die Errettung des Schönen, 2015

Ogni forma di costrizione o di necessità priva l’azione di bellezza. Belle sono quelle cose o quelle attività non dominate dalla necessità o dall’utilità. Le forme di vita dell’uomo libero sono tutte un lusso in quanto lussano il necessario e l’utile, cioè da questi si staccano. 

L’espulsione dell’Altro
Die Austreibung des Anderen, 2016

Il terrore dell’Uguale investe oggi ogni ambito vitale. Si va dovunque senza fare mai esperienza. Si prende atto di tutto senza mai giungere a una conoscenza. Si ammassano informazioni e dati senza mai giungere a un sapere. Si bramano esperienze vissute ed emozioni eccitanti in cui però si resta sempre uguali. Si accumulano amici e follower senza mai incontrare veramente l’Altro. I social media rappresentano un’atrofizzazione della socialità.

Non la repressione, bensí la depressione è il sintomo patologico del nostro tempo. La pressione distruttiva non proviene dall’Altro, ma dall’interno.

Oggi ognuno vuole essere diverso dagli altri. Ma questo voler-essere-diverso non fa altro che prolungare l’Uguale. Qui abbiamo a che fare con una conformità all’ennesima potenza. L’essere-uguale si afferma attraverso l’essere-diverso.

L’attuale cultura della prestazione e dell’ottimizzazione non ammette alcuna gestione del conflitto, perché essa richiede molto tempo. L’attuale soggetto di prestazione conosce soltanto due condizioni: funzionare o rinunciare. In ciò somiglia alle macchine. Anche le macchine non conoscono conflitto. O funzionano perfettamente o sono guaste.

I conflitti non sono distruttivi. Essi hanno un lato positivo, poiché solo dai conflitti nascono relazioni e identità stabili. La persona cresce e matura nella gestione del conflitto.

Oggi noi fuggiamo affannosamente il negativo, invece di soffermarci presso di lui. Il tenersi fermi al positivo riproduce però soltanto l’Uguale. Non esiste solo l’inferno della negatività, ma anche l’inferno della positività. Il terrore non proviene solo dal negativo, ma anche dal positivo.

Viviamo oggi in una zona di benessere dalla quale è stata eliminata la negatività dell’estraneo, il like è la sua parola d’ordine. Lo schermo digitale ci scherma sempre piú dalla negatività dell’estraneo, di ciò che è inquietante.

La cultura del mi-piace rifiuta ogni forma di ferimento e di scuotimento. Chi però vuole sottrarsi completamente al ferimento, non fa esperienza di nulla. La negatività della ferita fa intrinsecamente parte di ogni esperienza profonda, di ogni profonda conoscenza. Il mero mi-piace rappresenta il grado zero dell’esperienza.

La comunicazione digitale mi mette in rete, ma nello stesso tempo mi isola. Essa annulla certo la distanza, ma l’assenza di distanza non genera alcuna vicinanza reale.

Senza la presenza dell’Altro la comunicazione si trasforma in uno scambio accelerato di informazioni, essa non stabilisce relazioni, ma solo connessioni. 

Internet non si manifesta oggi come uno spazio di azione condivisa e comunicativa. Si riduce invece a vetrina dell’io in cui si fa soprattutto pubblicità a se stessi. Oggi Internet non è altro che uno spazio di risonanza di un io isolato.

La scomparsa dei riti
Vom Verschuinden der Rituale, 2019

Valori come la giustizia, l'umanità o la sostenibilità vengono sfruttati economicamente. “Cambiare il mondo bevendo tè”: ecco lo slogan di un’impresa di commercio equosolidale. Cambiare il mondo mediante il consumo – ovvero: la fine della rivoluzione.

La società senza dolore
Perché abbiamo bandito la sofferenza dalle nostre vite, 2021
Traduzione di Simone Aglan-Buttazzi © Einaudi - Selezione Aforismario

Oggi imperversa ovunque una algofobia, una paura generalizzata del dolore. Anche la soglia del dolore crolla con rapidità. L’algofobia ha come conseguenza un’anestesia permanente. Si evita qualsiasi circostanza dolorosa.

Noi viviamo in una società della positività che tenta di sbarazzarsi di tutto ciò che è negativo. Il dolore è la negatività per antonomasia.

Il dolore viene interpretato come un segno di debolezza, qualcosa da nascondere o da eliminare in nome dell’ottimizzazione. Esso non è compatibile con la performance. 

La passività della sofferenza non ha alcun posto nella società attiva dominata dal poter fare.

Ci si scorda che il dolore purifica, emana un effetto catartico. Alla cultura della compiacenza manca la possibilità della catarsi. Per cui si soffoca tra le scorie della positività che vanno accumulandosi sotto la superficie della cultura della compiacenza.

Nel regime neoliberista, anche il potere assume una forma positiva. Diventa smart. Al contrario del potere disciplinare repressivo, il potere smart non fa male. Il potere viene del tutto sganciato dal dolore. Si esprime senza alcuna repressione.

Gli analgesici, prescritti in massa, coprono le circostanze sociali che conducono al dolore. L’assoluta medicalizzazione e farmacologizzazione del dolore impediscono che esso si faccia linguaggio, anzi critica.

Anche i social media e i videogiochi fungono da anestetici. L’anestesia permanente della società impedisce la scoperta e la riflessione, opprime la verità. 

Il dispositivo della felicità isola l’essere umano e conduce a una spoliticizzazione e desolidarizzazione della società. Ognuno deve badare alla propria felicità, che diventa quindi una questione privata. Anche la sofferenza viene interpretata come il risultato del proprio fallimento.

Se il dolore viene soffocato, ecco che la felicità si appiattisce riducendosi a un apatico torpore. La profonda felicità resta inaccessibile a chi non è aperto al dolore.

L’allungamento della vita a ogni costo avanza a livello globale diventando il valore piú alto, che mette tutti gli altri in secondo piano. Nel nome della sopravvivenza sacrifichiamo volentieri tutto ciò che rende la vita meritevole di essere vissuta.

La società dominata dall’isteria della sopravvivenza è una società di non morti. Siamo troppo vivi per morire e troppo morti per vivere. 

Nella preoccupazione esclusivamente rivolta alla sopravvivenza noi siamo uguali al virus, questa creatura non morta che si limita a moltiplicarsi, quindi a sopravvivere, senza vivere.

L’insensatezza del dolore suggerisce piú che altro che la nostra vita, ridotta a processo biologico, è a propria volta svuotata di senso.

Il dolore non è una grandezza constatabile in chiave oggettiva, bensí una percezione soggettiva. Le crescenti aspettative nei confronti della medicina, associate all’insensatezza del dolore, fanno sembrare insopportabili persino i dolori piú insignificanti. Inoltre non disponiamo piú di nessi di senso, narrazioni, istanze superiori o scopi in grado di abbracciare il dolore e renderlo sopportabile.

Gli esseri umani credono di essere al sicuro mentre è solo una questione di tempo prima che vengano trascinati nell’abisso dagli elementi. Proprio nell’Antropocene, l’uomo è piú vulnerabile che mai. La violenza che egli infligge alla natura si ripercuote su di lui con foga ancora maggiore.

È l’assenza di senso della società attuale a rendere insopportabili i dolori cronici. Essi rispecchiano la nostra società svuotata di senso, il nostro tempo senza narrazione in cui la vita è diventata nuda sopravvivenza.

Senza dolore non abbiamo né amato né vissuto. La vita viene sacrificata in nome della sopravvivenza confortevole.

Senza il dolore, sia il corpo sia il mondo affonderebbero in una in-differenza.

Il dolore acuisce la percezione di sé. Esso contorna il sé. Disegna i suoi contorni.

Il dolore è il motore della formazione dialettica dello spirito. Esso trasforma lo spirito. Le trasformazioni sono legate al dolore. Senza il dolore, lo spirito resta uguale a sé stesso. La via della formazione è una via dolorosa.

Solo il dolore produce un reale cambiamento. Nella società palliativa si perpetua l’Uguale.

Il dolore approfondisce il pensiero. Non esiste un calcolo profondo. In cosa consiste la profondità del pensiero? Al contrario del calcolo, il pensiero crea uno sguardo diversissimo sul mondo, proprio un altro mondo. Solo la vita che vive, che è capace di provare dolore riesce a pensare. 

Senza dolore non c’è neanche rivoluzione né rinnovamento radicale, non c’è Storia.

Infocrazia
Infocratie, 2021

Decisivo per la conquista del potere non è il possesso dei mezzi di produzione, bensí l’accesso a informazioni che vengono utilizzate ai fini della sorveglianza psicopolitica, del controllo e della previsione dei comportamenti. 

Il regime dell’informazione si accompagna al capitalismo dell’informazione, che evolve in capitalismo della sorveglianza e declassa gli esseri umani a bestie da dati e consumo.

Nel regime dell’informazione neoliberale il funzionamento del potere è garantito non dalla coscienza della sorveglianza permanente, bensí dalla libertà percepita.

Nel regime dell’informazione essere liberi non significa agire, ma cliccare, mettere like e postare. Cosí non s’incontra mai resistenza, non c’è da temere alcuna rivoluzione.

La crescente atomizzazione e trasformazione narcisistica della società ci rende sordi alla voce dell’altro e conduce alla perdita dell’empatia. Oggi siamo tutti dediti al culto di noi stessi. 

La comunicazione digitale, in quanto comunicazione senza comunità, annienta la politica dell’ascolto. Cosí, ascoltiamo soltanto noi stessi. Questa è la fine dell’agire comunicativo.

Il nuovo nichilismo non afferma che la menzogna viene spacciata per verità o che la verità viene sconfessata in quanto menzogna. Piuttosto, è la stessa distinzione tra verità e menzogna a essere minata.

Nello Stato totalitario, che è costruito su una totale menzogna, dire la verità è un atto rivoluzionario. Il coraggio della verità è il segno distintivo del parresiasta. Nella società dell’informazione post-fattuale, invece, il pathos della verità non porta assolutamente a nulla. Si perde nel rumore delle informazioni.

Note
Vedi anche frasi e citazioni di: Michel OnfrayPeter Sloterdijk - Slavoj Žižek