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Frasi e citazioni di Chiara Volpato

Selezione di frasi e citazioni di Chiara Volpato (Marostica, 1951), psicologa italiana, specializzata in psicologia sociale, professoressa ordinaria presso la Facoltà di Psicologia dell’Università di Milano-Bicocca.
Le donne devono portare nel mondo del lavoro un peso in più:
quello di dover provare continuamente a sé e agli altri
di essere  all’altezza della situazione. (Chiara Volpato)
Deumanizzazione
Come si legittima la violenza © Laterza, 2011 - Selezione Aforismario

Deumanizzare significa negare l’umanità dell’altro – individuo o gruppo – introducendo un’asimmetria tra chi gode delle qualità prototipiche dell’umano e chi ne è considerato privo o carente.

A volte si usano più immagini deumanizzanti per lo stesso soggetto; siamo di fronte allora ai casi più gravidi di conseguenze sul piano dello sfruttamento (lo schiavo: animale e cosa) o della violenza (la donna: bestia e strega, il pellerossa: lupo e diavolo). 

Ciò che accomuna comunque la gran parte delle espressioni storiche della deumanizzazione è il loro essere strumenti di oppressione sociale e psicologica, usati da gruppi potenti per sfruttare, umiliare, annichilire gruppi più deboli.

Fin dalla preistoria, l’animale costituisce un punto di riferimento indispensabile che permette, con la sua presenza, di creare e definire l’identità umana.

Perché se chiedo ai miei studenti di indicare il prototipo dell’umano, molti citano Einstein e nessuno Hitler? Eppure i risultati ottenuti da entrambi sono specificamente umani.

Nella storia della nostra specie deumanizzare serve a pensare l’altro come minus habens, essere umano incompleto, animale, oggetto. Serve a compiere su di lui azioni inaccettabili in un contesto normale.

Sterminare, uccidere, violare bambini, donne, uomini va contro i principi che ogni società insegna ai suoi membri per poter continuare a esistere e a pensarsi come tale. Quando interessi e ideologie portano un gruppo a intraprendere lo sterminio dell’altro, confinarlo allo stato animale aiuta a oltrepassare il confine. 

La deumanizzazione sottrae agli esseri umani le due qualità che li definiscono come tali: l’identità e la comunità.

Istituzioni e società civile devono impegnarsi nel controllo dei processi espliciti di deumanizzazione perché la Dichiarazione universale dei diritti umani, firmata nel 1948, non resti mera indicazione di principio. 

Einstein, dichiarando all’arrivo negli Stati Uniti la propria appartenenza alla «razza» umana, mostrava che era possibile rendere saliente tale idea. Un’idea che appare oggi sempre più necessaria alla sopravvivenza dell’uomo sulla Terra: solo una specie coesa e consapevole dei propri limiti può infatti sperare di confrontarsi con successo con i problemi sociali e ambientali da lei stessa creati.

Psicosociologia del maschilismo
© Laterza, 2013 - Selezione Aforismario

Vi è tra uomini e donne un’indiscutibile asimmetria di potere, status, risorse, che viene costruita e sorretta da atteggiamenti e comportamenti che di volta in volta definiamo di maschilismo, sessismo, machismo. La questione è antica, ma assume oggi un’urgenza particolare perché limita lo sviluppo culturale, sociale e civile.

Non dare a donne e uomini ciò che meritano e, più ancora, non prendere da loro ciò che possono dare allo sviluppo della comunità vuol dire impoverire la società tutta.

La disuguaglianza tra i generi affonda le radici nella struttura sociale patriarcale che riserva ancora agli uomini l’autorità e il prestigio necessari per dominare la vita della comunità, attraverso il controllo delle istituzioni politiche, religiose e sociali.

Da anni ormai studi e indagini mostrano il ruolo cruciale delle donne nello sviluppo economico, politico, sociale: il loro maggiore coinvolgimento nel mondo del lavoro porta ad aumenti della competitività e del prodotto interno lordo, la capacità di dialogo e mediazione le rende politiche affidabili, l’attenzione agli aspetti relazionali e al benessere di chi le circonda migliora la qualità di vita dell’intera comunità.

Nella civiltà occidentale, gli uomini hanno continuato e continuano a incarnare il canone, il prototipo, la norma. Continuano a essere il gruppo dominante, che scrive la storia e detta l’ideologia.

Gli uomini costituiscono la norma, una norma talmente potente e indiscussa da restare opaca, senza definizione; esiste e si basta, come l’essere parmenideo, come il logos greco, come il verbo cristiano; sul suo metro, per confronto, si definiscono gli altri viventi, donne, bambini, animali.

La nostra società, come tutte le società del mondo, pensa che uomini e donne siano profondamente diversi. Potere, forza, razionalità sono azzurri, sensibilità ed emozione rosa.

Uomini e donne sono, dal punto di vista psicologico, molto più simili che diversi, in contrasto con le credenze universalmente diffuse.

Gli uomini sono molto reattivi di fronte a qualsiasi cosa metta in dubbio la loro mascolinità, fino a mostrarsi aggressivi e a compiere atti ostili per restaurare la loro immagine.

Simone de Beauvoir ci ha insegnato che non si nasce donne, lo si diventa. Allo stesso modo, non si nasce uomo, lo si diventa.

Anche gli uomini sono prigionieri e vittime della rappresentazione dominante. Il privilegio maschile trova la sua contropartita nella tensione che ogni uomo sperimenta per affermare quotidianamente la sua mascolinità. 

Esiste una perpetua preoccupazione maschile, che può trasformarsi in ansia e angoscia, di fronte alla necessità di dimostrare la propria mascolinità. 

A livello individuale, gli uomini che si identificano con l’immagine tradizionale della mascolinità e valorizzano, per questo, l’aggressività come attributo maschile hanno maggiore probabilità di rendersi responsabili di atti aggressivi o molesti nei confronti delle donne.

Spesso la partner è la sola persona con cui gli uomini si aprono; la sua perdita può quindi costituire un problema particolare, fatto che contribuisce a spiegare perché alcuni uomini, non riuscendo ad accettare la rottura di una relazione, mettano in atto comportamenti di stalking, innescati da ruminazioni incessanti sull’abbandono e da sentimenti di depressione, rabbia e gelosia.

Con l’eccezione della collera e dell’ostilità, gli uomini inibiscono più delle donne l’espressione delle emozioni e del dolore, con effetti negativi sul benessere psichico.

Tutti i gruppi dominanti creano delle ideologie per giustificare come legittimo e moralmente necessario il loro dominio.

I sessisti moderni credono, spesso in buona fede, di essere a favore dell’uguaglianza e non si accorgono di trattare in modo differenziato le persone sulla base dell’appartenenza di genere, con il risultato di contribuire al mantenimento della discriminazione.

Il maschilismo continua a esprimere una parte profonda dell’anima italiana, pronta a riaffiorare nei momenti di crisi o di involuzione.

La forza del sessismo benevolo risiede nella promessa di impiegare il potere a vantaggio delle donne, a patto che accettino il controllo sociale maschile; così facendo, diventa un’arma potente di indebolimento delle resistenze femminili.

Il lato più tragico del maschilismo è quello che traduce gli atteggiamenti di dominanza in comportamenti di oggettivazione, mercificazione, violenza, che possono arrivare all’annichilimento fisico e psichico delle vittime.

Il bisogno di evitare di essere visti come femminili porta gli uomini a rifiutare ogni collegamento con la femminilità e a ritenere le donne esseri diversi e inferiori.

Le donne devono portare nel mondo del lavoro un peso in più: quello di dover provare continuamente a sé e agli altri di essere all’altezza della situazione.

Il dominio maschile non si impone più con l’evidenza di ciò che è ovvio. Il maschilismo ha cessato di essere funzionale, se mai lo è stato, perché non è più in grado di dare risposte soddisfacenti a una società che cambia.

La scommessa legata all’entrata delle donne nelle stanze del potere è che vi portino una voce diversa, che tenga conto di altri interessi e promuova altri valori.

Un mondo che voglia incamminarsi verso un futuro migliore non può permettersi di rinunciare alla piena partecipazione femminile.

Le radici psicologiche della disuguaglianza
© Laterza, 2019 - Selezione Aforismario

L’ampiezza delle disuguaglianze socio-economiche sta oggi crescendo in tutti i paesi, portando con sé problemi, tensioni, conflitti e una profonda infelicità sociale: una porzione sempre più piccola di individui controlla una porzione sempre più grande di ricchezza.

Le grandi disuguaglianze provocano l’aumento dei problemi sanitari e sociali, rafforzano razzismo e violenza, ostacolano la mobilità sociale, sono responsabili dell’abbassamento del livello di istruzione e del benessere generale.

Più una società è disuguale, più è infelice sia dal punto di vista economico sia da quello del benessere collettivo. 

La presenza di forti disuguaglianze socio-economiche aumenta la differenziazione tra le classi e la competizione per lo status, cosa che rende la società nel suo insieme più pericolosa e violenta.

La disuguaglianza costituisce un fattore di divisione sociale: nelle società più sperequate peggiora la qualità delle relazioni sociali, diminuiscono la fiducia e l’empatia tra le persone, aumentano il risentimento sociale e il disprezzo verso i meno fortunati, si abbassa la partecipazione alla vita della comunità.

Ieri l’aristocrazia nobiliare si fondava sul mito eroico, oggi l’aristocrazia economica invoca il mito meritocratico.

Il privilegio è per lo più invisibile ai privilegiati, spesso inconsapevoli del suo impatto sulle vite proprie e altrui.

Essere privilegiati vuol dire avere un accesso facilitato a risorse di valore per la semplice appartenenza di gruppo. I privilegi sono importanti sul piano psicologico, fanno sentire a casa nel mondo ed evitano sofferenze o ingiustizie che altri patiscono.

La cultura del privilegio tende, per sua natura, a normalizzare la disuguaglianza, cancellandone l’origine storica e facendola percepire come naturale, scontata, ineliminabile.

Le persone sono portate a credere di meritare quello che la sorte riserva loro, attribuendolo a fattori stabili e interni alla persona, come abilità e talento; così gli avvantaggiati si convincono di meritare il loro vantaggio e gli svantaggiati il loro svantaggio.

L’esistenza di un’ingiustizia sociale non è un motivo sufficiente per scatenare resistenze, proteste, tentativi di cambiamento. Perché questi abbiano luogo, occorre, per prima cosa, che l’ingiustizia sia “vista” e “pensata” da chi la subisce, e che tale esperienza non sia vissuta in solitudine, trasformandosi in umiliazione e vergogna, ma venga elaborata e condivisa con chi si trova nella stessa situazione.

Le disuguaglianze estreme non sono inevitabili, sono costruzioni umane e, come tali, possono essere contrastate, ridotte, superate.

Maggiore uguaglianza significa vivere in un mondo in cui si dà minore importanza allo status e di conseguenza si è tutti meno segnati da ansia, stress, narcisismo, e si può invece godere di relazioni sociali qualitativamente e quantitativamente migliori. 

Solo l’identificazione con l’umanità nella sua interezza potrà diventare il perno di un progetto di società meno sperequato e più attento ai bisogni di ciascuno.

Note
Vedi anche le citazioni delle psicologhe: Anna Oliverio FerrarisMaria Rita Parsi