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Frasi e citazioni di Marco Cappato

Selezione di frasi e citazioni di Marco Cappato (Milano, 1971), politico e attivista italiano, tesoriere dell'Associazione Luca Coscioni e già esponente dei Radicali, è promotore di numerose azioni di disobbedienza civile per la legalizzazione di eutanasia e droghe e per le libertà civili. Marco Cappato è fondatore di EUMANS:
"movimento paneuropeo di iniziative popolari e non violente, ha tra i suoi obiettivi la difesa dei diritti umani e delle libertà fondamentali, l'affermazione dello Stato di diritto e della democrazia, la protezione, conservazione e ripristino dell'ecosistema e lo sviluppo sostenibile come nonché la promozione di dibattiti scientifici e decisioni istituzionali".
Le seguenti riflessioni di Marco Cappato sono tratte da interviste e dal suo libro Credere disobbedire combattere. Come liberarci dalle proibizioni per migliorare la nostra vita, pubblicato da Rizzoli nel 2017.
Foto di Marco Cappato
Disobbedire a una legge o a un ordine ingiusti può innescare un processo di riforma che
né la democrazia paralizzata né la rivoluzione distruttiva sono in grado di generare.
(Marco Cappato)

Credere disobbedire combattere
Come liberarci dalle proibizioni per migliorare la nostra vita
© Rizzoli, 2017 - Selezione Aforismario

A volte capita che la legge sia percepita dai più come ingiusta perché si scontra con il vissuto delle persone, perché criminalizza comportamenti diffusi e realtà sociali ineliminabili, al tempo stesso trascurando diseguaglianze rese ancor più profonde dalle proibizioni. In questi casi, disobbedire – assumendosene la responsabilità – diventa la cosa giusta da fare.

Democrazia: se la ami, disobbedisci

Diffido da chi pretende che vox populi sia anche vox dei.

In Italia si stima ci siano tra le 150.000 e le 160.000 leggi, e il fatto stesso che sia una stima la dice tutta. Va bene che l’ignoranza della legge non scusa nessuno, ma se la conoscenza è impossibile, non è sempre l’obbedienza a fare il buon cittadino.

Quando alla legge manca anche il buon senso, non servono pretesti di ignoranza per resistere a norme ingiuste.

Lo Stato si occupa di noi in tante occasioni nelle quali ci dovrebbe lasciare in pace e invece ci lascia da soli quando ci dovrebbe fornire strumenti per vivere meglio.

La disobbedienza a leggi ingiuste è la premessa per spostare l’attenzione dello Stato da attività nelle quali fa solo danni ad attività nelle quali potrebbe fare del bene e ridurre eccessive disparità

Le probabilità che i pochi che detengono il potere all’interno dello Stato assumano spontaneamente decisioni che toglierebbero a se stessi un po’ di potere per restituirlo alla moltitudine dei cittadini paiono esigue.

Fino a non molto tempo fa la democrazia era come la mamma: impossibile dirne male.

Tra le ragioni della crisi di credibilità delle democrazie [...] c’è certamente la diffusa percezione del sistema oligarchico che affascia istituzioni, partiti, corporazioni, media.

In queste condizioni di democrazia svuotata, di diritti umani universali rinnegati e di bugie apprezzate, aspettarsi che democraticamente il popolo riesca a risollevare le sorti della democrazia, per giunta in un contesto di declino delle prospettive di benessere di gran parte della popolazione, è peggio che ingenuo: è una sfida alle leggi della fisica.

«Nonviolenza» per i radicali è scritto tutto attaccato: non un semplice atteggiamento passivo di assenza di violenza, ma una costante opera attiva per convertire la violenza nel suo opposto.

Disobbedire a una legge o a un ordine ingiusti può innescare un processo di riforma che né la democrazia paralizzata né la rivoluzione distruttiva sono in grado di generare.

Disobbedire (civilmente) è lo strumento indispensabile per chi vuole migliorare il sistema senza distruggere tutto, per chi vuole andare alla radice dei problemi senza sradicare la pianta della democrazia, per chi vuole impegnarsi per una causa ma senza rinunciare al proprio personalissimo mondo.

I soldi utilizzati (persi) per proibire siano finalmente utilizzati per garantire uguaglianza e per potenziare il singolo cittadino, la sua capacità di conoscenza e di scelta di fronte a burocrazie pubbliche e private. 

C’è bisogno di smontare lo Stato dove non serve (le leggi proibizioniste, con i loro apparati per applicarle) e rimontarlo dove serve (conoscenza, democrazia). 

C’è bisogno di riorientare l’etica pubblica dall’ossessione delle proibizioni al ristabilimento di un minimo di uguaglianza dei punti di partenza, in particolare relativamente ai benefici che può apportare la ricerca scientifica e le nuove tecnologie dall’inizio alla fine della vita.

È urgente smetterla di tollerare ciò che definiamo «intollerabile».

L’unico modo per non essere totalmente condizionati, per non subire del tutto la vita che ci impongono gli altri e non essere oggetto del nostro ambiente, è mantenere un minimo di senso critico e di ironia, innanzitutto nei confronti di noi stessi.

Neanche l’amore, come la libertà, è assoluto. Dire che chi ama non può voler morire, o che chi ama non può lasciar morire, sono altre frasi fatte, cioè bugie. Ancora una volta, si invoca l’assoluto per meglio negare la realtà vissuta nella carne viva.

Quando il proibizionismo si estende dalle droghe alle cure mediche diventa sadismo. Quando si allarga dalle droghe alla ricerca scientifica diventa oscurantismo. 

Il proibizionismo sulle droghe, con il suo mostruoso apparato repressivo, è un crimine, del quale le istituzioni democratiche dovrebbero urgentemente liberarsi.

Legalizzare non significa solo sottrarre i profitti delle droghe proibite alla criminalità organizzata, ma significa soprattutto sottrarre alla criminalità il monopolio sul bene più importante: quello della conoscenza, della cultura, sia scientifica sia del consumo.

Proporre la legalizzazione di tutte le droghe non vuol dire solo de-criminalizzare un comportamento massicciamente diffuso nella società, ma anche operare un’enorme conversione di investimenti pubblici: tagliare le spese per l’apparato repressivo e reinvestirle nell’affermazione dello Stato di diritto liberale.

Smontare lo Stato che ha paura e fa paura – sulle persone intersex, sull’assistente sessuale, sulla prostituzione, sulle discriminazioni – e mettere lo Stato al servizio della conoscenza del proprio corpo e di quello altrui. Ecco un programma minimo al quale ciascuno può dare un contributo.

Non c’è alcun ragionevole motivo per accettare che l’esercizio della democrazia sia l’unica attività umana che non è consentito praticare in alcun caso da remoto. Non è consentito ai cittadini firmare online referendum, proposte di legge di iniziativa popolare, presentazione di liste di candidati alle elezioni, e così via, dietro il pretesto che soltanto le carte bollate sarebbero in grado di attestare l’autenticità delle sottoscrizioni stesse.

Se la televisione del secolo scorso è stata determinante per l’alfabetizzazione e la diffusione della lingua italiana, il compito di un nuovo servizio pubblico dovrebbe essere quello dell’alfabetizzazione digitale.

Un certo grado di diseguaglianza è non solo ineliminabile all’interno di una società, ma persino positivo come incentivo per ciascuno a sforzarsi di fare meglio. L’uguaglianza dei punti di partenza è però necessaria perché la competizione non sia falsata.

I diritti umani come lamento protestatario contro la cattiveria del potere non hanno un futuro più di quanto abbiano un presente. I diritti umani come investimento – anche immateriale, fatto di conoscenza – sono invece la chiave del benessere, oltre a essere la precondizione per la libertà.

Presta attenzione a chi è a fianco a te, e forse un pochino cambierai anche il mondo.

Disobbedire civilmente non significa «solo» ribellarsi. Significa assumersi la responsabilità delle proprie azioni, sperimentare alternative, creare conoscenza.

Il termine «civile» aggiunge alla disobbedienza un elemento di responsabilità: accettare di pagare per le conseguenze dei propri atti.

La disobbedienza è «civile» quando rispetta persino il potere, nel senso che dal potere vuole trarre il meglio.

Cercare di comprendere e di convincere il (pre)potente, invece di sopraffarlo con maggiore violenza, è l’elemento fondamentale per l’efficacia della nonviolenza stessa, perché la violenza è proprio il terreno sul quale chi comanda è a suo agio.

Chi dispone di eserciti e polizie è preparato ad affrontare oppositori violenti, e può anzi trarre ancora maggior forza dal fatto che la gente sia spaventata. Sarà invece meno preparato ad affrontare persone che smontano le bugie ufficiali con fantasia, conquistando menti e cuori e scacciando la paura.

La disobbedienza civile si distingue dal ribellismo distruttivo nello stesso modo in cui la forza si distingue dalla violenza: in ragione degli scopi e dell’attenzione alle regole. È la differenza tra pacifismo ideologico e nonviolenza.

In uno Stato illiberale è consentito solo ciò che è espressamente autorizzato. In Italia è spesso così. In uno Stato liberale non solo dovrebbe essere vietato soltanto ciò che è espressamente proibito, ma dovrebbe essere proibito soltanto ciò che si dimostra indispensabile ed efficace proibire.

La disobbedienza civile è conoscenza. Nel senso che non funziona se non è pubblica, conosciuta. Nel senso che serve essa stessa a produrre consapevolezza. Infine, nel senso che mette in discussione idee acquisite, con un processo simile a quello della ricerca scientifica.

Fare del bene senza farlo notare a nessuno è doppiamente meritorio, a dimostrazione che non lo si fa per darsi importanza, ma per aiutare davvero. Disobbedire di nascosto, invece, può essere un atto di dirittura morale superiore, ma resterà un’azione letteralmente «privata» di ogni potenzialità, limitando gli effetti alle sole persone direttamente coinvolte.

La pubblicità è l’anima della nonviolenza – potremmo dire – perché prima di ottenere cambiamenti nelle leggi è necessario far maturare nuove consapevolezze nell’opinione pubblica.

Tra un sapere imposto da vecchie autorità screditate e un sapere autoreferenziale e rabbioso, va costruita con pazienza e determinazione l’alternativa: una conoscenza umile, dialogica e ancorata ai fatti. 

Frasi da interviste
Selezione Aforismario

Da noi [in Italia] la tradizione comunista e quella democristiana hanno sempre anteposto al diritto i loro rispettivi obiettivi, ideologici o religiosi. 

Essere liberali non vuol dire rinunciare a un ruolo dello Stato nell’economia, anzi, significa attribuire a esso, come alla legge e alle regole esattamente il ruolo di garantire che il mercato funzioni senza distorsioni monopolistiche, senza creare sfruttamento sociale, senza distruggere le risorse ambientali. 

L’eutanasia oggi non è legale e come tutte le cose illegali è accessibile a chi se la può permettere o andando all’estero rivolgendosi a chi le realizza in clandestinità. Ed è il motivo per cui vogliamo una legge che consenta di porre fine alla propria vita senza soffrire a tutti coloro che si trovano in determinate condizioni di sofferenza e di patologie irreversibili.

Io credo che sia una tortura di Stato imporre a qualcuno una condizione che non vorrebbe vivere. Stiamo parlando semplicemente di consentire alle persone di autodeterminarsi.

 L’Unione Europea è un’istituzione ancora nelle mani dei governi nazionali e quindi dei ricatti tra le burocrazie nazionali e dei loro egoismi. Bisogna creare un’agenda di riforme in cui il potere di veto dei governi nazionali sia sempre più marginalizzato e dove la partecipazione dei cittadini sia sempre più rafforzata, con investimenti anche tecnologici per farlo. 

Per noi nonviolenza è qualcosa di più di "non picchiare il nemico". È il dialogo con l'avversario, è non sputargli in faccia, è pensare che si possa costruire qualcosa insieme.

Raccogliere consenso e ricercare la realtà dei fatti sono attività e obiettivi distinti, a volte persino contrapposti. Dire la verità può far perdere voti, fare promesse campate per aria o usare la paura e la diffidenza nei confronti dell’innovazione può farne guadagnare.

Se non si riesce a integrare la democrazia rappresentativa con una robusta dose di democrazia della partecipazione, la crisi della democrazia diventerà sempre più profonda.

Se i temi che interessano ai giovani come il cambiamento climatico, i diritti civili, le libertà individuali non vengono nemmeno presi in considerazione, come si può immaginare che poi ci sia interesse? La politica non può essere soltanto fatta di alleanze e litigi.

Note
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