Frasi e citazioni di Goffredo Parise
Selezione di frasi e citazioni di Goffredo Parise (Vicenza, 1929 - Treviso, 1986), scrittore, giornalista, sceneggiatore, saggista e poeta italiano. Ha detto di sé Goffredo Parise:
"A chi mi accusa di voler fare il maestro, dirò che qualche volta mi piace fare il maestro [...]: perché desidero e sento di avere responsabilità civili e pubbliche che nascono dalla mia parola. Altre volte sono felicissimo di raccontare a chi me le chiede molte cose che ho appreso vivendo, senza voler fare il maestro, ma pensando che quelle cose che mi sono tanto piaciute vivendo, possano piacere e dunque essere utili alla vita di tutti quanti i miei simili che non le hanno vissute".
I ragazzi non conoscono più niente, non conoscono la qualità delle cose necessarie alla vita perché i loro padri l’hanno voluta disprezzare nell’euforia del benessere. (Goffredo Parise) |
Il padrone
© Feltrinelli, 1965
Chiamati col loro nome tutti gli oggetti, non resta che il silenzio. Ma a cosa serve la parola? Dicono che la parola serva agli uomini per comunicare tra loro e per essere poeti. Forse sarà servita un tempo. Per conto mio essa è soltanto uno strumento di difesa e di offesa nella lotta.
Ognuno desidera trasmettere nel figlio che lo continuerà i propri caratteri individuali. Spero dunque che non sia come me, uomo con qualche barlume di ragione, ma felice come sua madre nella beatitudine pura dell'esistenza. Egli non userà la parola ma nemmeno saprà mai cosa è morale e cosa è immorale. Gli auguro una vita simile a quella del barattolo che in questo momento sua madre ha in mano, solo così nessuno potrà fargli del male.
Cara Cina
© Longanesi, 1966
Solo diventando almeno un poco cinese, e abbandonando almeno per un poco educazione umanistica e individualismo occidentale con tutti i loro strumenti di conoscenza, si possono capire (un poco) i cinesi di oggi e il loro modo di vivere.
Un viaggio in Cina è un viaggio fatto soprattutto di sentimenti e riflessioni contraddittori.
La civiltà, cioè quella somma di elementi culturali che via via modificano la struttura primitiva dell'uomo, arricchendola, e successivamente spesso depauperandola, ha raggiunto nel popolo cinese stadi così elevati che è difficile distinguere l'elemento culturale e storico da quello naturale e biologico.
I cinesi sono un popolo che possiede naturalmente quella qualità che si può conquistare, e con grande spreco di energie, soltanto storicamente. Questa qualità è lo stile.
Ho capito che non è difficile persuadere, convincere e perfino entusiasmare: basta ripetere cento, mille volte la stessa cosa e, automaticamente, si otterrà persuasione, convinzione, entusiasmo..
I cinesi hanno urgente necessità di imparare da noi, Europa, due cose: l'analisi e la sintesi: cioè la libertà. E noi da loro altre due cose non meno importanti: lo stile della vita e l'aiuto reciproco: cioè l'amore. Messe insieme significherebbero pace e grande civiltà.
È inutile, qualsiasi cosa si possa pensare o immaginare della Cina, del comunismo cinese, dei dirigenti cinesi e dei loro complessi di superiorità e di inferiorità che si esprimono in musi, dispetti, intransigenze, paternalismo e presunzione ideologici, resta pur sempre il popolo cinese che, per quanto mi riguarda, basta a farmi provare un sentimento che non posso non definire commozione.
Sillabari
© Mondadori, 1984
La poesia va e viene, vive e muore quando vuole lei, non quando vogliamo noi e non ha discendenti. Mi dispiace ma è così. Un poco come la vita, soprattutto come l'amore.
La mancanza di desideri è il segno della fine della gioventù e il primo e lontanissimo avvertimento della vera fine della vita.
Tutti dicono che l'onore non conta niente e invece conta più della vita. Senza onore nessuno ti rispetta
Quando la fantasia ballava il «boogie»
Articoli 1957-1986 © Adelphi, 2005
Non ho mai avuto l’onore (o l’illusione) di possedere né di usare, nemmeno per pochi istanti, una sola delle chiavi che aprono le porte della conoscenza o, più modestamente, della conoscenza anche di un solo uomo. Invidio, però, chi le possiede e le usa o per meglio dire invidio in loro il sospetto, sempre gradevole, di essere uno degli infiniti piccoli centri dell’universo.
Quando si dice che uno scrittore ha temperamento, ha forza, vuole dire non soltanto che possiede uno stile, ma che ha anche una facciata e un corpo e un particolare timbro della voce e un modo di parlare che naturalmente hanno lo stesso stile.
Il disordine è nella vita. Nel caso che ci ha generati, che procede attraverso i grandi e piccoli traumi che accompagnano la nostra crescita, la nostra fanciullezza, la nostra adolescenza, la nostra maturità e vecchiaia e morte.
L’Italia essendo un paese cattolico rifugge dalle ideologie ed è incline alle retoriche.
Un’altra dote inedita in Italia, l’humour, che, come tutti sanno è il contrario e ben più efficace e allegro e vitale contrappeso del comico, ahimè triste, pessimistico ed eterno retaggio del nostro paese.
Non può, non deve essere peccato mortale per due giovani, come non lo fu per Dafni e Cloe, accoppiarsi nella piena salute e bellezza, e purezza dei loro corpi e sensi, al di fuori della convenzione del matrimonio. Non possono e non devono essere peccati mortali i piaceri che l’energia suprema ha dato alla nostra breve, brevissima esistenza «dalle cui soglie estreme nessun viaggiatore ritorna».
Dobbiamo disobbedire
Articoli 1974-1975 © Adelphi, 2013 (postumo) - Selezione Aforismario
Noi non consumiamo soltanto, in modo ossessivo: noi ci comportiamo come degli affamati nevrotici che si gettano sul cibo (i consumi) in modo nauseante.
Tutti i nostri ideali sembrano concentrati nell’acquisto insensato di oggetti e di cibo. Si parla già di accaparrare cibo e vestiti. Questo è oggi la nostra ideologia.
Povertà non è miseria, come credono i miei obiettori di sinistra. Povertà non è «comunismo», come credono i miei rozzi obiettori di destra. Povertà è una ideologia, politica ed economica. Povertà è godere di beni minimi e necessari, quali il cibo necessario e non superfluo, il vestiario necessario, la casa necessaria e non superflua.
Povertà e necessità nazionale sono i mezzi pubblici di locomozione, necessaria è la salute delle proprie gambe per andare a piedi, superflua è l’automobile, le motociclette, le famose e cretinissime «barche».
Povertà vuol dire, soprattutto, rendersi esattamente conto (anche in senso economico) di ciò che si compra, del rapporto tra la qualità e il prezzo.
Povertà vuol dire rifiutarsi di comprare robaccia, imbrogli, roba che non dura niente e non deve durare niente in omaggio alla sciocca legge della moda e del ricambio dei consumi per mantenere o aumentare la produzione.
Moltissime persone non sanno più distinguere la lana dal nylon, il lino dal cotone, il vitello dal manzo, un cretino da un intelligente, un simpatico da un antipatico perché la nostra sola cultura è l’uniformità piatta e fantomatica dei volti e delle voci e del linguaggio televisivi.
Il nostro paese è un solo grande mercato di nevrotici tutti uguali, poveri e ricchi, che comprano, comprano, senza conoscere nulla, e poi buttano via e poi ricomprano.
I ragazzi non conoscono più niente, non conoscono la qualità delle cose necessarie alla vita perché i loro padri l’hanno voluta disprezzare nell’euforia del benessere.
La democrazia è rumorosa. È molto faticosa. È un lavoro in più per ogni cittadino, oltre il suo lavoro giornaliero.
I bambini di oggi formano la loro prima cultura di base davanti al televisore. Praticamente hanno già guardato tutto il mondo (senza vederlo) a pochi anni.
I lettori stiano in guardia da coloro che usano parole «difficili», perché sono persone che vogliono far credere di sapere cose che gli altri non possono sapere: chiunque siano, da qualunque parte stiano, la loro natura è infida.
Oggi l’Italia è spezzata non in staterelli, ma in «lotti», in piccole, piccolissime proprietà private a cui gli italiani, nel loro povero animo e nel loro povero corpo privi di Stato, tengono in modo fanatico.
Un giornale serio e libero pensa che i suoi lettori siano uomini liberi e ragionevoli, che vogliono conoscere i fatti, anche le disgrazie, tutte le magagne in cui vivono per potersi indignare, ribellare, denunciare, giudicare la classe dirigente del proprio paese sino a destituirla, se ritiene di doverlo fare.
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