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Frasi e citazioni di Marco Crepaldi

Selezione di frasi e citazioni di Marco Crepaldi, psicologo sociale e saggista, fondatore dell'associazione nazionale "Hikikomori Italia":
"L’obiettivo generale del progetto Hikikomori Italia è quello di sensibilizzare sul tema dell’isolamento sociale volontario nel nostro paese e creare una rete nazionale che metta in comunicazione tutti coloro che, per un motivo o per l’altro, siano interessati alla questione. In questo modo è possibile condividere esperienze, informazioni e le singole competenze, accelerando il processo di apprendimento del fenomeno a livello nazionale e stimolando l’implementazione degli strumenti necessari per fare fronte a questa specifica problematica".
Le tematiche principali di cui si occupa Marco Crepaldi sono quelle degli hikikomori e degli incel.
"Hikikomori è un termine gergale di origine giapponese utilizzato per riferirsi a chi si ritira dalla società per mesi o anni, passando all’interno della propria camera da letto, se non tutta, gran parte della propria esistenza".
"Incel è una crasi tra le parole involuntary e celibate. Si tratta di un termine che viene ampiamente utilizzato da una subcultura del web composta, sostanzialmente, da uomini eterosessuali che non riescono ad avere rapporti sessuali con partner donne".
Foto di Marco Crepaldi
Il nostro benessere psicologico passa anche dalla consapevolezza dei nostri limiti
e dalla capacità di valorizzare quello che abbiamo. (Marco Crepaldi)

Hikikomori
I giovani che non escono di casa © Alpes, 2019 - Selezione Aforismario

In una società come quella moderna, sempre più competitiva su tutti i livelli, la paura di essere visti fallire diventa per alcuni insostenibile.

La scelta di un Hikikomori di isolarsi rappresenta sostanzialmente la volontà di abbandonare la corsa, rifiutando “le regole del gioco”.

La pressione di realizzazione alimenta la paura del fallimento sociale, la quale, a sua volta, porterà ad attivare, nei soggetti più fragili e predisposti, quel meccanismo di difesa primordiale che si innesca alla percezione di un pericolo: la fuga.

Davanti al pericolo, alla paura, si può reagire sempre in almeno due modi: uno è fuggire, l’altro, invece, è lottare.

Le fonti di giudizio sono sempre almeno due: una sono gli altri, l’altra siamo noi, e dal nostro giudizio non c’è scampo.

Quella degli Hikikomori non è asocialità, bensì una forma di socialità alternativa, che non necessità della componente fisica della persona. Una socialità consentita dalle nuove tecnologie, destinata in futuro a diventare sempre più centrale nella vita dell’uomo. 

L’Hikikomori non pratica una vita da asceta, non rinuncia ai benefit materiali, al cibo, a un letto comodo o alla tecnologia, anzi, potremmo affermare esattamente l’opposto, ovvero che l’Hikikomori sia la manifestazione di un disagio sociale causato proprio da un eccesso di benessere.

L’Hikikomori non si ritira con lo scopo di intraprendere un cammino spirituale, come accadeva per l’eremita: la sua è una decisione dettata dal bisogno di sfuggire al malessere sperimentato nel contesto sociale.

Il bisogno di essere accettati dal gruppo è programmato nei nostri geni, a tal punto che parte della nostra identità si plasma in relazione a come noi ci vediamo attraverso gli occhi degli altri.

Il tempo diventa un nemico, perché non basta più fare le cose, ma bisogna farle in fretta, prima degli altri, meglio degli altri, altrimenti perdono di valore.

Attenzione a non confondere la voglia con la motivazione. Se qualcuno mi puntasse un coltello alla gola intimandomi di consegnargli il portafoglio, io non avrei nessuna voglia di farlo, ma la paura del dolore mi renderebbe altamente motivato ad acconsentire alla richiesta.

La nostra intera carriera sociale si basa sul raggiungimento di obiettivi materialistici, mentre dedichiamo pochissimo tempo nella conoscenza di noi stessi e della nostra natura mortale.

Nelle nuove generazioni le credenze religiose sono deboli, poco radicate, e non più in grado di rispondere ai quesiti esistenziali come accadeva in passato. Ciò che prima era compito della collettività, ovvero della religione, oggi è demandato al singolo: ognuno di noi è chiamato a individuare il proprio personale significato della vita, una propria ragione e quindi una propria motivazione che dia senso ad ogni singola azione compiuta su questa terra.

Il crollo delle religioni sembra aver avuto come effetto collaterale proprio quello di intensificare la riflessione esistenziale tra i più giovani, i quali sono però lasciati spesso soli in questo delicato compito.

In generale, quello che sembra mancare spesso agli Hikikomori è uno scopo in grado di conferire senso all’esistenza, una prospettiva nella quale identificarsi e nella quale trovare gratificazione personale. 

La comunicazione genitore-figlio è sempre stata difficoltosa, su questo ci sono pochi dubbi. Far parte di due generazioni diverse significa essere nati e cresciuti in un contesto differente che ha portato, di conseguenza, a sviluppare una visione del mondo difforme. Ci troviamo tuttavia in un periodo storico nel quale questo gap risulta particolarmente esasperato come forse mai nella storia dell’uomo.

Il grande paradosso dell’Hikikomori è che spesso i genitori sono più soli dei figli stessi.

L’aspetto forse più complesso dell’Hikikomori è che i ragazzi isolati spesso negano categoricamente di avere un problema e, di conseguenza, rifiutano qualsiasi tipo di supporto. La domanda che viene allora spontaneo porsi è la seguente: “Come si aiuta chi non vuole essere aiutato?”

L’Hikikomori, trascorrendo quasi tutto il suo tempo nel medesimo spazio e ripetendo in modo circolare le medesime attività, si costruisce una visione della realtà che finisce per appiattirsi e apparirgli come l’unica possibile.

Il fenomeno degli incel e la Teoria Redpill
© Ediuni, 2022 - Selezione Aforismario

La salute mentale viene ancora oggi culturalmente interpretata dai più come un aspetto che dipende sostanzialmente, se non esclusivamente, dal proprio sforzo personale, nonché da elementi casuali su cui non abbiamo alcun controllo diretto. Chiedere aiuto esterno – che sia di tipo farmacologico, psicologico o psicoterapeutico – talvolta nemmeno viene preso in considerazione.

Il nostro benessere psicologico sembra dipendere, sempre di più, dalla sensazione di essere apprezzati dagli altri, con la conseguenza che abbiamo anche molto più timore dei giudizi negativi che ci potrebbero riguardare. In questo senso l’esplosione dei social network ha avuto un ruolo centrale.

Il problema dell’incel non è legato esclusivamente al bisogno fisiologico di fare sesso, come in molti credono, ma riguarda più in generale la sfera relazionale, affettiva e sociale; riguarda la sensazione di essere apprezzati e amati.

Molti incel non hanno mai sperimentato il piacere di sentirsi attraenti agli occhi di una potenziale partner e non hanno mai provato le sensazioni positive che solo una relazione sessuale o sentimentale autentica può trasmettere. Si sentono invisibili, mal voluti o totalmente indesiderati.

Essere un “celibe involontario” non è una scelta, bensì una condizione psicosociale da cui deriva una profonda sofferenza. Il punto è come si decide di affrontare tale problematica, tra chi sfida i propri limiti e chi, invece, sprofonda in un loop di pensieri pessimistici, deresponsabilizzanti e autocommiseranti.

I “celibi involontari” sono spesso i primi a sottovalutare la pericolosità sul lungo termine della propria condizione e i professionisti della salute mentale hanno delle responsabilità in tal senso, poiché si fa ancora troppa poca divulgazione e sensibilizzazione sul tema della verginità maschile e della forte sofferenza psicosociale che questa condizione comporta.

Nella storia dell’essere umano sono sempre esistiti uomini di maggiore successo in ambito sessuale e uomini con maggiori difficoltà, eppure mai, prima d’ora, si era assistito a una tale manifestazione di insofferenza da parte del genere maschile.

Gli esseri umani desiderano maggiormente ciò che percepiscono come difficile da ottenere; circa le preferenze sessuali femminili tale dinamica pare essere particolarmente impattante.

Un uomo con poche o nessuna esperienza sessuale, con il passare degli anni è percepito progressivamente come sempre meno attraente, proprio perché trasmette l’idea di uno scarso interesse suscitato nelle altre donne.

Se un uomo che ha molto successo con le donne viene socialmente considerato come più forte e virile, colui che fallisce in tale compito sentirà su di sé un pesante giudizio negativo, a prescindere dalle motivazioni per cui si trova in tale condizione.

Il percorso di vita di ogni singolo individuo può condizionare enormemente le sue azioni e le sue scelte, al netto degli istinti evolutivi e delle altre variabili in gioco. 

Più una persona ha stima di sé e della propria competenza, e meno avrà paura del giudizio delle altre persone. Meno avrà paura del giudizio e più risulterà sicura. Più risulterà sicura e più verrà percepita come competente e di conseguenza attraente, da molteplici punti di vista.

Una scarsa autostima ci può convincere di non avere qualità e renderci estremamente insicuri, inibendo ulteriormente l’espressione delle nostre risorse e riducendo di conseguenza la consapevolezza nelle competenze possedute; proprio quello che capita agli incel.

Essere razionali non significa essere cinici o disillusi, bensì consiste nel cercare di limitare l’interferenza delle emozioni e degli istinti nel processo di ragionamento, sempre al fine di massimizzare il proprio benessere.

L’essere umano non è progettato per utilizzare solo ed esclusivamente i processi di pensiero razionale, che spesso coincidono con quelli logici-deduttivi, ma funziona al meglio quando riesce a bilanciare le sue componenti irrazionali con quelle razionali, poiché le une senza le altre rischiano di rivelarsi autodistruttive.

Utilizzare un pensiero logico non significa necessariamente essere nella ragione: una logica può essere tanto giusta quanto sbagliata, e illudersi del contrario risulta estremamente pericoloso.

Molte persone si convincono che, affidandosi totalmente alla razionalità, riusciranno a controllare tutte le variabili che incidono sulla loro vita; eppure ciò non è possibile ed essere razionali significa anche accettare di demandare parte del nostro funzionamento alla nostra componente inconscia.

Essere veramente razionali significa conoscere i limiti della propria logica e della razionalità stessa e rimanere consapevoli che l’uomo, per quanto si sforzi, non potrà mai emanciparsi del tutto dai suoi bias cognitivi.

Così come il romantico sviluppa una visione della realtà altamente fuorviante per andare incontro alle proprie immaginazioni, lo stesso si può dire per il cinico, il quale verosimilmente sta solo attivando una strategia psicologica difensiva finalizzata ad aggirare un fallimento o una difficoltà.

Il nostro benessere psicologico passa anche dalla consapevolezza dei nostri limiti e dalla capacità di valorizzare quello che abbiamo. Porci degli obiettivi irrealistici, frutto di processi idealizzanti, finisce per generare in noi soltanto frustrazione e sofferenza.

Dire che uomini e donne sono diversi significa perseguire la vera “parità di genere”, espressione che non si traduce con “uguaglianza”, bensì con “pari opportunità”.

Essere uomini o donne non è né un pregio né una colpa: impariamo a rispettarci nelle nostre differenze o finiremo per odiarci e combatterci a vicenda. Questa è l’unica strada che abbiamo per costruire una società veramente paritaria.

Note
Vedi anche frasi e citazioni di: Piero CiprianoPaolo CrepetEdoardo Giusti

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