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Frasi e citazioni di Stefania Andreoli

Selezione di frasi e citazioni di Stefania Andreoli (Busto Arsizio, 1979), psicologa, psicoterapeuta e saggista italiana. Lavora soprattutto con gli adolescenti, le famiglie e la scuola occupandosi di prevenzione, formazione, orientamento e clinica.
"Chi fa il mio lavoro deve individuare nel senso di malessere di chi mi porta una domanda il bisogno che a volte ha di negare che nella sua vita sia andato storto qualcosa, pur di provare ad averne una, di vita".
L’eredità autentica che i nostri figli si aspettano da noi non è
quella depositata dal notaio né quella dell’insegnamento
morale, ma quanti pensieri abbiamo dedicato a chi
abbiamo detto di amare. (Stefania Andreoli)
Mamma, ho l'ansia
Crescere ragazzi sereni in un mondo sempre più stressato © Rizzoli, 2016 - Selezione Aforismario

È proprio a questo che servono le emozioni: ci trasformano per restituire senso e valore a ciò che ci succede, per dare una sfumatura agli avvenimenti della nostra vita in modo da poterli archiviare per colore. 

L’ansia è l’espressione di ciò che dentro di noi sentiamo come vitale, importante, addirittura necessario, o urgente.

L’ansia ha passato il segno nel momento in cui ci impedisce di vivere come abbiamo fatto fino a quel momento, di vivere bene, cioè: andando a scuola, praticando sport, incontrando gli altri, facendo progetti che poi proviamo a realizzare.

L’ansia è una brutta bestiaccia che fa stare male da cani e la stanza di un terapeuta è il luogo giusto in cui affrontarla.

L’ansia ha una missione molto precisa: porta un messaggio personale, rivolto proprio a noi. Ma siccome quando arriva non ci fa stare bene, ci mette a disagio, certo non desideriamo fermarci ad ascoltarla, né ci riusciremmo, visto come ci fa sentire.

Il panico è l’espressione esterna, fisica, visibile di una paura interna, indecifrabile, una minaccia che non trova riscontro nella realtà.

L’ansia e il panico sono sempre espressioni di un blackout emotivo ed evolutivo, la pena del contrappasso che sopportiamo per non aver sentito ciò che andava percepito sul piano emotivo di fronte a cento, mille lacci della scarpa spezzati mentre, in ritardo, uscivamo di casa.

L’ansia non parla la lingua lineare e facilmente traducibile dello stimolo che si individua (o si cerca di individuare) come sua causa scatenante, bensì quella dei significati che gli vengono soggettivamente attribuiti da parte di chi ne soffre.

Se c’è un vantaggio nell’incontrare spesso e volentieri tutte le nostre emozioni è quello di constatarne la loro giustezza e bontà: se ciò che pensiamo è infatti criticabile, ciò che proviamo invece ci fa avere sempre ragione.

Tra le componenti dell’ansia dei ragazzi di oggi non c’è qualcosa che manca. Al contrario, c’è un «troppo pieno», una sorta di droga di cui la famiglia è il pusher. E il legame che in questo modo si viene a creare tra genitori e figli è di indissolubile dipendenza.

Andare avanti lungo il tragitto segnato dall’istituzione scolastica significa giungere al punto in cui tutto ciò che si sarebbe potuti diventare non sarà più possibile.

L’ansia e il panico sono da guardare come nuovi modi e tentativi di esprimere opposizione, disarmonia e disaccordo di fronte all’antica sfida sempre tragica e crudele cui si trova di fronte un adolescente: andare o restare?

Sentir minimizzare la propria sofferenza è sempre molto doloroso, e assolutamente non rassicurante, tanto più che l’ansia e il panico danno un forte senso di perdita di controllo e vengono sempre vissuti come gravi e spaventosi da parte di chi li prova.

Papà, fatti sentire
Come liberare le proprie emozioni per diventare genitori migliori © Rizzoli, 2018

Una mamma non è mai fuori luogo perché è essa stessa un luogo: prima casa, poi presidio del primo amore e del primo dolore, poi ancora rifugio e, in una vita sana – ovvero una vita dove può accadere di tutto –, infine anche assenza.

La caratteristica precipua delle madri è l’essere: non hanno bisogno di alcuna investitura, autorizzazione, mandato, definizione. Esse sono affinché l’altro sia.

C’è stato un tempo in cui essere genitori era sì dura come adesso, ma meno sfidante.

Siamo noi adulti a essere in evidente e conclamata crisi, per cui è piuttosto normale che cresciamo e educhiamo ragazzi che poi manifestano fatiche più o meno grandi.

Essere maturi vuol dire non pretendere che l’altro prenda quello che noi gli abbiamo preparato da portare via, lasciare perdere il desiderio narcisistico di insegnare qualcosa a qualcuno, essere d’esempio con la nostra esperienza, non iniettargli le nostre convinzioni.

L’eredità autentica che i nostri figli si aspettano da noi non è quella depositata dal notaio né quella dell’insegnamento morale, ma quanti pensieri abbiamo dedicato a chi abbiamo detto di amare.

La paura – di non farcela, di non essere all’altezza, di compiere scelte sbagliate, di non sapere come fare, che gli altri invece misteriosamente lo sappiano, di procurare danni e dolori – è forse tra le esperienze più stressanti con cui sono oggi alle prese le mamme e i papà.

Mio figlio è normale?
Capire gli adolescenti senza che loro debbano capire noi © Rizzoli, 2020

Gli adolescenti di oggi sanno molte più cose di quelle che sapevano i loro coetanei in passato. Quello che non sanno è cosa farsene della loro adolescenza, e di conseguenza hanno smesso di usarla per diventare grandi. 

Noi adulti, oltre al Pianeta, stiamo facendo scomparire l’adolescenza.

Se abbiamo disperatamente bisogno di adulti-adulti, e non di adulti-adolescenti, meno che mai ci servono adolescenti-adulti, strani innesti tra chi dovrebbero essere e chi pensano di dover essere. 

Il futuro dei nostri figli, il grado di salute cui possono ambire, dipende da quanto equilibrio siamo disposti a (ri)acquistare anche noi genitori.

Quando un rapporto è importante, quando tieni a qualcosa, quando ne va dell’umanità di coloro che fanno un pezzo di strada con te, non può che essere difficile. È un merito, non una colpa.

Amarsi è avere un rapporto pieno, che contempli di poter frequentare tutta la gamma di sentimenti ed emozioni esistenti.

Lo faccio per me
Essere madri senza il mito del sacrificio © Rizzoli, 2022 - Selezione Aforismario

Si tende ancora a dare molto per scontato che essere donna equivalga a diventare madre (con l’aggravante di suggerire che si tratti del compimento naturale di un innato istinto biologico), intendendo con questo che sia una mansione, un ruolo da svolgersi in quanto femmine.

La società ha fatto pressione sulle donne, fino a trovare un varco nel concetto che essere brave madri (ma poi: che significa?) fosse un loro naturale obiettivo, anziché un capestro imposto dall’esterno.

Appellarci all’istinto materno innato (che dunque è solo uno spot pubblicitario) non ha risparmiato nessuna coppia madre-figlio dal finire in terapia.

Non occorre sbandierare il drappo del femminismo per rendersi conto che promuovere, fino a legittimare in nome della biologia, la naturale propensione della «natura femminile» all’accudimento servisse per consentire agli uomini di andare al lavoro.

Avere sin dall’alba dell’umanità attribuito alle madri caratteristiche naturali di accudimento e dedizione alla prole implicava per definizione che fossero da accettare, in quanto immutabili ed eterne.

Il mondo ormai non è più popolato solo da genitrici e generatrici, eppure certi stereotipi sono ancora resistenti a morire, se penso alla frequenza con cui mi viene chiesto se una donna si realizza davvero come tale solo quando diventa madre.

Egoismo, nella lingua della psicologia, altro non vuol dire se non prendersi cura di se stessi. Trarsi in salvo. Mettersi in sicurezza. Badare a sé. Tenersi presenti. Farsi felici.

Cessando di compiacere chi ci sta intorno, cesseremo di esserne dipendenti. Otterremo così, tra gli altri, risultati profondamente trasformativi: saremo finalmente responsabili della nostra felicità e delle nostre azioni per raggiungerla.

Il recente ritorno di fiamma del mito della donna come madre sacrificale sta avendo rinnovata fortuna perché quando ci si trova in stato di crisi, come ora, l’incertezza diventa il popolo dei sudditi e la paura il sovrano reggente.

Vecchio, non vuole esserlo nessuno – nemmeno i vecchi.

La normatività dei sentimenti e dei comportamenti materni ci ha incasellati in un unico modo di fare le madri trasmesso come quello dominante e quindi giusto, quando basta mettere il naso fuori dalla finestra per rendersi conto che la ricchezza, la variabilità e la complessità delle declinazioni materne è plurale per definizione.

Ai figli non serve una brava mamma, che sappia sempre cosa fare. Ai figli serve una mamma consapevole, che sappia perché fa quel che fa.

Perfetti o felici
Diventare adulti in un'epoca di smarrimento © Rizzoli, 2023

Gli adulti, non ti puoi sbagliare, non li confondi né con i bambini né con gli adolescenti: i primi sono dipendenti, inesperti, incerti, disorientati, immaturi, bisognosi. I secondi sono imprevedibili, precari, impulsivi, edonisti, trasgressivi, impertinenti. Ma se tutto questo è vero, come ci spieghiamo il fatto che oggi, se ci si guarda intorno, di soggetti antropologici così saldi, maturi, monocratici, capaci di rendersi affidabili e riconoscibilmente diversi dai più piccoli e dai più giovani… non se ne vedano poi così tanti?

Essere adulti significa aver finalmente raggiunto quel punto della propria vita nel quale il permesso lo chiedi solo a te.

Checché se ne pensi, la facciata e l’apparenza costano molto più sforzo della sincerità, che però ci fa più paura, e nella storia dell’umanità «paura» batte «sforzi» dieci a zero.

Note
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