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Frasi e citazioni di Gian Luigi Beccaria

Selezione di frasi e citazioni di Gian Luigi Beccaria (Costigliole Saluzzo, 1936), linguista, glottologo, critico letterario, saggista e accademico italiano; membro dell’Accademia dei Lincei, dell’Accademia della Crusca e dell’Accademia delle Scienze di Torino.
Il prof. Beccaria è diventato noto in tutta Italia dopo la partecipazione, in qualità di giudice-arbitro e di commentatore, al programma televisivo Parola mia, condotto da Luciano Rispoli, tra il 1985 e il 1988 su Rai 1 e successivamente nella stagione televisiva 2002-2003 su Rai 3. Come sottolineato da Aldo Grasso: "Beccaria è stato «l'insegnante più popolare e amato d'Italia», colui che ha saputo trasmettere agli spettatori il suo entusiasmo e la sua passione per la lingua italiana".
Foto di Gian Luigi Beccaria
Il libro in fondo continua a essere quell’oggetto che ti aiuta a stare con te stesso.
Non lo sa piú fare chi bada alla pura funzionalità delle cose, all’istante dell’azione.
(Gian Luigi Beccaria)

Sicuterat
Il latino di chi non lo sa: Bibbia e liturgia nell'italiano e nei dialetti © Garzanti, 1999-2002

L’apporto maggiore di forme latine avviene attraverso il linguaggio liturgico: la messa, gli inni, le formule di fede, il latino del Vecchio e del Nuovo Testamento, promosso dai passi letti nelle funzioni sacre.

L’italiano è una lingua farcita di latino.

Gli incolti, si sa, hanno sempre inteso malamente il latino della messa. Preti compresi.

Mia lingua italiana
© Einaudi, 2011 - Selezione Aforismario

Per prima è venuta la lingua. Non c’era ancora la nazione, ma da secoli esisteva un’unità linguistico-letteraria nazionale.

Gli ambiti in cui si sono realizzati valori in grado di unire piú di ogni cosa l’Italia e tali da costituire la linea maestra di un’aspirazione unitaria non sono stati tanto principî oggettivi o materiali, l’etnia, l’economia, il mercato, il territorio, una comunità di costumi, la politica ideale dell’uguaglianza e della democrazia, l’unità delle istituzioni giuridiche, il principio della tolleranza o altro ancora. La coscienza e la volontà di un’unione si sono basate soprattutto su un valore culturale (la lingua della letteratura, la sua validità e la sua tenuta) che ha prefigurato sin dalle Origini un’unità immaginata e inseguita come un desiderio.

Piú che a un popolo di parlanti, la prima diffusione della lingua nella penisola è dovuta per molta parte alla Commedia di Dante, al Canzoniere del Petrarca, al Decameron del Boccaccio, che furono presi a modello di lingua.

Non conoscere bene l’italiano limita enormemente le possibilità comunicative e lo scambio.

Per l’allargamento della propria cultura e per un’apertura sociale è l’italiano che è servito e serve al piemontese al calabrese al sardo e a ogni comunità dialettofona.

Ci sono delle limitazioni oggettive, culturali tra lingua e dialetto, inutile insistere. Differenze di sostanza: la lingua basta ai bisogni intellettuali di un popolo, il dialetto no.

Il dialetto è un sistema linguistico che soddisfa egregiamente, delle nostre esigenze espressive, soltanto alcuni aspetti (l’usuale, il pratico, l’affettivo, il giocoso magari), e non altri (il tecnico, il filosofico, lo scientifico).

L'italiano in 100 parole
© Rizzoli, 2015

Oggi, alla sedimentazione più lenta è subentrata la rapidità. Sembra di correre su un’autostrada lungo la quale scorre velocemente una segnaletica che muta in tempi brevissimi, si allontana, si oblia.

In certi momenti e situazioni ci si cala nel proprio dialetto per serbare l’espressività e l’affettività di un idioma materno, e del morire del proprio dialetto nessuno di noi, penso, si allieta. Non vorremmo disfarcene. I dialetti nel nostro paese hanno ancora una significativa tenuta come lingua familiare. Sarebbe un peccato smarrirli.

Il pozzo e l'ago
Intorno al mestiere di scrivere © Einaudi, 2019

La scrittura, cosí come ogni lavoro, è un misurarsi con la materia a disposizione, un mettersi alla prova.

Lo scrittore è un paziente e insieme avveduto artigiano.

Lo scrittore è attratto dallo “spazio” a disposizione, dalla pagina non solo perché può depositarvi i castelli della propria fantasia e delle proprie invenzioni, ma soprattutto le proprie inquietudini, deporvi confessioni che a voce non saprebbe formulare compiutamente.

Enorme è la forza dei libri. Soprattutto quando hanno rappresentato un atto di ostilità nei confronti del potere, o della Storia, del mondo cosí com’è. 

Lo scrivere, come anche il leggere, è stato insidia per i potenti, in quanto affermazione di libertà di pensiero.

Il libro non fa spettacolo, non fa rumore, stabilisce un rapporto singolare con il lettore, un tipo di colloquio sommesso che non ha analogie con nessun altro. Una sorta di complicità. 

In contrattempo
Un elogio della lentezza © Einaudi, 2022 - Selezione Aforismario

L’eccesso di velocità sembra la malattia del secolo, invade tutti i campi.

La lentezza, nell’età odierna della velocità, funziona in controtendenza, funge da antidoto, da contravveleno al correre, a quel sorvolare che ti fa stare in superficie delle cose che leggi e che scivolano via veloci.

La lettura dei testi non ha mai fine, i punti di vista sono infiniti.

Lo scrittore che val la pena di leggere è sempre una personalità poliedrica, complessa, inquieta, tormentata. Confrontarsi con l’ideologia dell’autore è un’operazione necessaria.

La magia dello scrittore sta nel saper trovare l’infinito nelle cose semplici.

Per leggere capire e commentare con efficacia occorre lentezza e pazienza, e la pazienza non è virtú dei nostri tempi che vanno di fretta.

È risaputo che leggere poco o nulla faccia sí che siano sempre di meno le parole a disposizione (e con poche parole non si costruiscono né si comunicano le idee).

Si nasce scrittori sulle spalle del tanto leggere. Lo spessore di quanto si scrive dipende notevolmente dall’applicazione, dalla riutilizzazione di quanto si è letto.

Grande consolazione è il sapere che tutto sta nei libri, nella loro presenza fisica. L’edificio che raccoglie i libri, la biblioteca, è veramente il luogo dove i morti aprono gli occhi ai vivi. Una biblioteca è la vittoria della memoria sull’oblio.

Il mondo sarebbe certamente migliore se una parte non esigua dell’umanità frequentasse di piú libri e biblioteche.

Abbiamo perduto l’arte vera non dico del dolce far niente, ma del rallentare, del contemplare.

Ai frenetici, ai veloci, certo dobbiamo moltissimo quanto all’agevolarci la vita per il disbrigo del vivere pratico. Ma dobbiamo prenderli a modello? Spesso non sono che dei nevrotici. Finito il lavoro, difficilmente riescono a stare in compagnia con loro stessi.

Il libro in fondo continua a essere quell’oggetto che ti aiuta a stare con te stesso. Non lo sa piú fare chi bada alla pura funzionalità delle cose, all’istante dell’azione. È una tipologia di uomo che sta certo per prevalere, ma nella quale spero si trovi ancora difficoltà a riconoscerci.

Note
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