Frasi e citazioni di Paolo Rossi Monti
Selezione di frasi e citazioni di Paolo Rossi Monti (Urbino, 1923 - Firenze, 2012), filosofo e storico della scienza italiano. Nel 1985 ha ricevuto la Medaglia Sarton per la storia della scienza dalla «American History of Science Society» e successivamente la Medaglia Pictet dalla «Société de Physique et d'Histoire Naturelle de Genève».
Che cosa fanno oggi i filosofi?
Bompiani, 1982 (con altri autori)
Penso che la domanda "a che serve?" applicata ai contenuti di uno studio o di una ricerca possa essere la spia di una mentalità utilitaristica, pragmatistica, consumistica. Penso che le civiltà evolute debbano lasciare spazio al conoscere in quanto valore in sé.
Non tutto ciò che è "di moda" è davvero "attuale".
Paragone degli ingegni moderni e postmoderni
© il Mulino, 1989
Una sempre più diffusa estetizzazione del sapere ha condotto, come molti hanno notato, alla identificazione della filosofia con un genere letterario nonché alla «messa al bando della nozione di verità» (anche della verità scientifica) ridotta ad affabulazione, a scambio comunicativo, a ininterrotta conversazione.
Quei pochi filosofi che parlano oggi dell’opportunità di mantenere un qualche senso alla nozione di verità lo fanno da posizioni difensive e rischiando l’accusa di rozzezza (che è forse la peggiore che ad un filosofo si possa fare) di fronte a legioni agguerrite e autorevolissime di raffinati e sofisticati pensatori deboli, postmoderni, decostruzionisti, sociologi della scienza, nuovi cinici.
Il passato, la memoria, l'oblio
Sei saggi di storia delle idee © il Mulino, 1991
La tendenza a impiegare la parola «filosofia» come un termine «onorifico» anziché «descrittivo» è sempre stata molto diffusa presso i filosofi.
Il tempo dei maghi
Rinascimento e modernità © Raffaello Cortina, 2006
Nella storia, non sono molte le cose che davvero “finiscono”. Il presente è fatto di pezzi del passato che si stanno ricombinando assieme in modi del tutto imprevedibili e imprevisti ai quali, di volta in volta, si aggiunge qualcosa che prima non c’era.
Ci sono stagioni o momenti che appaiono a coloro che li vivono come radicalmente nuovi. Sono assai meno numerosi di quanto non credano i fanatici delle novità che, per interpretare i processi storici, fanno uso delle stesse categorie che impiegano gli organizzatori delle sfilate dell'alta moda.
Se è vero che una parte del nuovo deriva dai modi delle ricombinazioni, è anche vero che una parte deriva dalla comparsa di cose che prima non c'erano, che sono state “create” da cervelli umani e che - nelle civiltà “calde” che hanno rifiutato di considerare l'immobilità come un valore - si affacciano al presente (a ogni presente) per la prima volta.
Il nostro stile di pensiero, quello della filosofia e della scienza moderne, ha dato luogo a un dialogo e a una produzione di teorie e di strumenti di controllo della natura che, dopo l’età della rivoluzione scientifica, ha conquistato il mondo, ha avviato una unificazione o globalizzazione del sapere che sembra dotata di illimitate capacità espansive.
Speranze
© il Mulino, 2008 - Selezione Aforismario
Come i nostri vicini e lontani antenati, come sempre è avvenuto da quando abbiamo imparato ad accendere un fuoco, continuiamo ad oscillare, in una situazione di incertezza, tra la speranza e la disperazione.
Penso che dopo una montagna di errori compiuti, sia davvero giunta l’ora di abbandonare i profeti (anche quelli travestiti da filosofi) al loro destino.
A differenza di coloro che credono nel Progresso, nel Futuro Radioso, nel Sole dell’Avvenire, nell’Avvento della Verità, anche a differenza di coloro che riscrivono il Libro dell’Apocalisse e profetizzano un immancabile Futuro Catastrofico, penso che si possano soltanto raccontare storie.
Capire è difficile. Richiede tempo e acquisizione di conoscenze e pazienza. Proporre rimedi o costruire programmi è ancora più difficile: richiede tempo e pazienza e immaginazione e creatività e capacità di far convergere su un punto l’opinione di molti. Manifestare indignazione è invece molto facile.
Le idee si diffondono come le epidemie, hanno circolazioni misteriose, vanno spesso a finire in luoghi del tutto imprevedibili, penetrano nei cervelli sia molto lentamente (scrostando piano piano strati successivi di pregiudizi) sia all’improvviso, configurandosi come subitanee illuminazioni. Spesso si trasformano in modi di pensare, danno luogo a comportamenti, possono addirittura diventare pietre e, qualche volta, anche proiettili di piombo.
La grande maggioranza dei testi apocalittici che fanno riferimento ai tempi lunghi inesorabilmente diventano, dopo appena qualche decennio, libri umoristici.
Da moltissimo tempo (come è ben noto a tutti gli storici) le profezie hanno a che fare assai più con la disperazione che con la fiducia e Cassandra è (certo non per caso) la più popolare tra le profetesse.
Gli intellettuali sembrano avere una irresistibile vocazione ad additare stati di decadenza ambientale, politica, economica, morale. Amano di più la veste degli araldi della disperazione che quella degli annunciatori delle speranze.
Il pessimismo appare sempre (spesso a buon mercato) più nobile e profondo di una visione che fa appello alle ragioni della speranza. Moltissime persone ritengono che lagnarsi o lamentarsi abbia qualcosa a che fare con la cultura (sono, in genere, gli stessi che credono che l’essere profondamente indignati e il proclamarsi “diversi” sia il più alto e l’unico modo possibile di fare politica).
È indubbio che il pessimismo e la predicazione di un’imminente Apocalisse “pagano” e rendono popolari.
In quell’intreccio di bene e di male nel quale ci è concesso di vivere, non possiamo che oscillare tra la speranza e il timore e possiamo, per quanto concerne il futuro, solo avanzare ipotesi di breve periodo, con la consapevolezza che anch’esse sono abbastanza incerte.
La convinzione di possedere tutte le risposte è davvero mortalmente pericolosa perché non lascia alcuno spazio al futuro, rende immobile la vita intellettuale, cancella tutte le nuove domande, trasforma ogni divergenza in una colpa e ogni disaccordo in un pericolo da eliminare.
Si può credere che le domande siano altrettanto importanti delle risposte, che la varietà delle opinioni appartenga al mondo della fisiologia e non a quello della patologia e che la molteplicità delle opinioni sia di conseguenza un bene da difendere e non un male da estirpare.
Il fanatismo, che è definibile proprio come la convinzione che sia necessario estirpare la varietà delle opinioni, ha davvero sconvolto il mondo, anche il mondo contemporaneo.
L’uomo è salito verso la civiltà, non assomiglia più a un lupo in mezzo ai lupi. Può addirittura darsi che sia diventato civile troppo rapidamente. Comunque, il suo carattere di bestione non è stato cancellato del tutto e tende continuamente a riemergere dentro di lui spaccando la crosta sottile della civiltà.
Siamo pieni di sciamani travestiti da filosofi.
Ai “grandi racconti” dei filosofi, alle loro invincibili tendenze profetiche e smanie futurologiche c’è una sola tesi da contrapporre: quella di una varietà irriducibile all’unità, del totale non senso della riduzione ad unità di tutto ciò che accade.
Ci può volere molto tempo per rendersi conto che la ragione è fatta per esplorare soltanto limitati pezzi di mondo e che non esistono telescopi per guardare nel futuro.
Credo, in conclusione, che senza cedere alle illusioni (o alle molte caricature di religione presenti nella filosofia del Novecento) si possa continuare a vivere con una sopportabile dose di angoscia (la quale, come è noto, affligge indistintamente tutti gli esseri umani, compresi coloro che si affidano alla Grande Speranza).
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