Frasi e citazioni di Sergio Givone
Selezione di frasi e citazioni di Sergio Givone (Buronzo, 1944), filosofo italiano, professore emerito di Estetica all’Università di Firenze. La maggior parte delle seguenti riflessioni filosofiche di Givone sono tratte dai suoi libri: Storia del nulla (1995), Prima lezione di estetica (2003), Quant’è vero Dio (2018) e Sull'infinito (2018).
Se Dio esce di scena, l’uomo la occupa in modo sempre più esagerato: sia pure nello smarrimento, nella confusione, come chi non si riconosce più, né sa più come ritrovarsi. (Sergio Givone) |
Storia del nulla
© Laterza, 1995
L’essenza del pensiero occidentale è il nichilismo. È la persuasione che gli enti, ossia le cose che sono, propriamente non siano: se essi emergono dal grembo del nulla e pervengono all’essere è per ritornarvi, è per trapassare come se non fossero, è per dissolversi nel divenire.
Le cose appaiono nella loro nullità perché il nulla, ossia l’emergere dal nulla e lo sprofondarvi, è l’evidenza prima.
Il nulla, che certo ha dalla sua il massimo di semplicità e di economicità, tuttavia è impotente a fronte di una volontà che, come quella divina, vuole ciò che l’intelletto di Dio le prospetta.
Passione dell’assenza è la nostalgia. Assenza non di questa o quella cosa, ma assenza in quanto tale.
La nostalgia, in quanto desiderio senza oggetto, è passione dell’assenza, è bisogno che non vuole essere soddisfatto.
La verità non spiega e non salva. Semmai libera. Ossia dà luogo a un’autentica esperienza della libertà.
Prima lezione di estetica
© Laterza, 2003
Si è tentati di rispondere, a chi chiede che cosa sia l'estetica, che è la disciplina che tratta di tutti quegli argomenti che si lasciano identificare come cosa sua. Un po' come dire: l'estetica è ciò che noi vogliamo che l'estetica (così chiamata convenzionalmente) sia. Ma anche: l'estetica è ciò che di volta in volta si è deciso che l'estetica (anche se non chiamata così) fosse. In breve: l'estetica è l'estetica.
L’estetica, teoria della conoscenza sensibile o, meglio, teoria dell’esperienza che ha nel sentire il suo organo privilegiato.
L’esperienza estetica, sia quella che facciamo in presenza del bello artistico sia invece del bello naturale, è l’esperienza estetica. Ossia esperienza all’interno della quale si esprimono giudizi che esigono di essere condivisi e dunque pretendono di valere universalmente.
Che esperienza è dunque l’esperienza estetica? È o non è una forma di sapere? Ha o non ha a che fare con il conoscere? Strano sapere. Conoscenza paradossale. Esperienza che mette in gioco tutte le facoltà e non è di nessuna in particolare. Che cosa sappiamo, che cosa veniamo a conoscere per mezzo di essa? Nulla. L’oggetto non è che un pretesto, un’occasione.
Verso il bello si va, ma a condizione di essere già presso il bello, di sostare già nell’orizzonte che il bello schiude, di appartenere già a quel che si cerca.
Il bello accade – ed ecco, non possiamo più farne a meno, comunque ne siamo catturati al punto che non vorremmo più distogliere lo sguardo.
Vale per la bellezza quel che vale per l’innamoramento. L’innamorato è senza pace. È convinto che solo l’oggetto del suo desiderio gliela possa dare.
All’apparire del bello, e non importa in quale forma, se artistica o no, è come se non potessimo esimerci dal dare la nostra approvazione prima di qualsiasi calcolo o ragionamento.
Metafisica della peste
Colpa e destino © Einaudi, 2012
Di per sé la morte è il piú grande dei mali, ma prima ancora è il destino cui nessuno può sfuggire, destino umano per eccellenza, e dunque: che senso ha venire al mondo già da sempre condannati a morte?
Incutendo paura e terrore, la peste riaccende le vane credenze religiose e vi riconduce gli uomini, umiliandoli e sviandoli, ma proprio perciò obbligandoli ad aprire gli occhi e a riacquistare consapevolezza di sé.
Ciascuno ha in sé il proprio nemico mortale.
La salvezza è cosa esclusivamente nostra. Sia nel senso che riguarda noi e non il mondo. Sia nel senso che noi dobbiamo salvarci da noi stessi.
Se la natura non prevede né un fine né un disegno, l’ordine delle cose appare scosso al punto da essere revocato. Un principio di segno contrario vi si insinua: il caso.
I sentieri della filosofia
© Rosenberg & Sellier, 2015
L'ateismo a suo modo tiene ferma l'idea di Dio. Non fosse che per distruggere e negare quest'idea, liquidando al tempo stesso ogni forma di trascendenza.
L'ateismo vede in Dio il nemico dell'uomo. Perciò gli muove guerra.
Che la morte di Dio appaia come un evento che è ormai alle nostre spalle e che ci lascia sostanzialmente indifferenti non è ateismo. È nichilismo.
Quant’è vero Dio
Perché non possiamo fare a meno della religione © Solferino, 2018 - Selezione Aforismario
Disincanto del mondo, secolarizzazione, desacralizzazione: tutto ciò ci ha portato nei pressi di una soglia oltre la quale bisogna dire, come ha detto Dostoevskij: «Tutto è lecito».
Se Dio esce di scena, l’uomo la occupa in modo sempre più esagerato: sia pure nello smarrimento, nella confusione, come chi non si riconosce più, né sa più come ritrovarsi.
Bisogna dire che nel mondo in cui Dio non serve più e anzi è morto, di Dio resta l’essenziale. Aggiungendo magari che proprio la religione è ancora lì a dirci chi veramente siamo.
Aver fede in Dio significa credere che abitare il mondo non sia cosa insensata ma abbia senso, addirittura un senso ultimo.
È più vicino a Dio chi fa professione di ateismo, ma tiene ferma la verità, di chi nega la verità in nome di Dio.
Gli intellettuali sembra non sappiano più che farsene della religione, e se sono disposti a concederle una funzione edificante, riconoscendole il titolo di agenzia morale, lo fanno dopo averla declassata a forma privata di culto.
Alla religione viene sì assegnata una collocazione nel mercato dell’offerta culturale, ma come antiquariato.
Delegittimare la religione, anche solo riducendola a esperienza privata, significa disseccare la fonte primaria di un’essenziale esperienza di verità.
Oggi sono le masse a patire il disinganno delle utopie e a guardare altrove, tanto che la religione trova presso di loro un credito solo pochi anni fa inimmaginabile.
Sacro è per definizione l’inviolabile. Ma noi sappiamo che la desacralizzazione in atto da secoli non ha fatto altro che violare l’inviolabile o ciò che di volta in volta era stato posto come tale.
La politica sganciata dalla morale non solo perde la sua ragion d’essere ma si svilisce a mera volontà di potere.
Credere in Dio significa credere che il mondo abbia un senso.
Tutto, in una prospettiva religiosa, ha senso. Tutto: anche ciò che ripugna la coscienza morale, anche ciò che urta più profondamente la ragione, anche ciò che appare assolutamente scandaloso.
Dio ama anche coloro che in base alla sua giustizia si trovassero all’inferno, forse specialmente costoro, per i quali l’inferno non sarebbe l’inferno se Dio non li amasse: infatti non ci può essere niente di così infernale come sottrarsi all’amore di Dio.
Dio ama la creatura anche là dove il progetto della creazione fallisce. Se non lo facesse, non sarebbe Dio.
In fondo, amare significa prima di ogni altra cosa dire sì alla vita, e soprattutto dirlo senza condizioni, dirlo nonostante tutto ciò che la vita comporta e in forza di tutto ciò che la vita comporta: gioia, dolore, terrore…
Se la morte è la fine di tutto, tutto è destinato a precipitare nel non senso e nell’assurdo. Posta invece la risurrezione, la vita per quanto mortale è come illuminata da un’altra luce che la mette in rapporto con l’eterno. Amare, odiare, insomma vivere non sarà stato per niente.
È Dio ad aver dato all’uomo la facoltà di scegliere fra il bene e il male. E come gliel’ha data, così gliela può togliere…
Sull'infinito
© Mulino, 2018
Il nulla non è. Il nulla non ha nulla a che fare con l’essere. E proprio perché il nulla non ha nulla a che fare con l’essere, il nulla è semplicemente inconcepibile e incomprensibile. Come si può comprendere ciò che non ha confini? Come si può concepire ciò che non è?
L’infinito non è cosa dell’anima sognante. L’infinito è cosa del pensiero.
L’idea della infinità del mondo e anzi dei mondi resta legata all’infinito come limite negativo della conoscenza.
L’infinito si mostra a noi che siamo delle piccolezze insignificanti o delle nullità nel momento in cui riconosciamo che non c’è limite che non sia provvisorio e non possa essere eliminato.
Se l’uomo non è in grado di afferrare l’infinito, e tantomeno di contrapporsi a esso, tuttavia ne ha l’idea, e ciò basta a riscattare la sua finitezza e a collocare lui, una nullità, al di sopra dell’essere, se non altro per il fatto di poter concepire l’idea dell’essere e dell’infinito.
Note