Frasi e citazioni di Giorgio Agamben
Selezione di frasi e citazioni di Giorgio Agamben (Roma 1942), filosofo e accademico italiano.
Occorre che ciascuno abbia il coraggio di cercare senza compromessi il bene più prezioso: una parola vera. (Giorgio Agamben) |
La comunità che viene
© Einaudi, 1990
L’Irreparabile è che le cose siano cosi come sono, in questo o quel modo, consegnate senza rimedio alla loro maniera di essere. Irreparabili sono gli stati di cose, comunque essi siano; tristi o lievi, atroci o beati. Come tu sei, come il mondo è - questo è l’irreparabile.
La radice di ogni gioia e di ogni dolore puri è che il mondo sia cosi com’è. Un dolore o una gioia perché il mondo non è come pareva essere o come volevamo che fosse sono impuri e provvisori.
Il mondo - in quanto assolutamente, irreparabilmente profano - è Dio.
Come il mondo è - questo è fuori del mondo.
La radice di ogni gioia e di ogni dolore puri è che il mondo sia cosi com’è. Un dolore o una gioia perché il mondo non è come pareva essere o come volevamo che fosse sono impuri e provvisori.
Il fatto da cui deve partire ogni discorso sull’etica è che l’uomo non è ne ha da essere o da realizzare alcuna essenza, alcuna vocazione storica o spirituale, alcun destino biologico. Solo per questo qualcosa come un’etica può esistere: poiché è chiaro che se l’uomo fosse o avesse da essere questa o quella sostanza, questo o quel destino, non vi sarebbe alcuna esperienza etica possibile - vi sarebbero solo compiti da realizzare.
La verità non può manifestare se stessa se non manifestando il falso.
Poiché l’essere più proprio dell’uomo è di essere la sua stessa possibilità o potenza, allora e soltanto per questo (in quanto, cioè, il suo essere più proprio, essendo potenza, in un certo senso gli manca, può non essere, è dunque privo di fondo ed egli non ne è già sempre in possesso) egli è e si sente in debito.
Mai come oggi il corpo umano - soprattutto quello femminile - è stato cosi massicciamente manipolato e, per cosi dire, immaginato da cima a fondo dalle tecniche della pubblicità e della produzione mercantile: l’opacità delle differenze sessuali è stata smentita dal corpo transessuale, l’estraneità incomunicabile della physis singolare abolita dalla sua mediatizzazione spettacolare, la mortalità del corpo organico messa in dubbio dalla promiscuità col corpo senz’organi della merce, l’intimità della vita erotica confutata dalla pornografia.
Appropriarsi delle trasformazioni storiche della natura umana che il capitalismo vuole confinare nello spettacolo, compenetrare immagine e corpo in uno spazio in cui essi non possano essere più separati e ottenere cosi in esso forgiato quel corpo qualunque, la cui physis è la somiglianza, questo è il bene che l'umanità deve saper strappare alla merce al tramonto. La pubblicità e la pornografia, che l’accompagnano alla tomba come prefiche, sono le inconsapevoli levatrici di questo nuovo corpo dell’umanità.
Homo sacer
Il potere sovrano e la nuda vita © Einaudi, 1995
Se, in ogni stato moderno, vi è una linea che segna il punto in cui la decisione sulla vita diventa decisione sulla morte e la biopolitica può, così, rovesciarsi in tanatopolitica, questa linea non si presenta più oggi come un confine fisso che divide due zone chiaramente distinte; essa è, piuttosto, una linea in movimento che si sposta in zone via via più ampie della vita sociale, in cui il sovrano entra in simbiosi sempre più intima non solo col giurista, ma anche col medico, con lo scienziato, con l’esperto, col prete.
È solo perché la vita biologica coi suoi bisogni era ovunque diventata il fatto politicamente decisivo, è possibile comprendere la rapidità, altrimenti inspiegabile, con cui nel nostro secolo le democrazie parlamentari hanno potuto rovesciarsi in stati totalitari e gli stati totalitari convertirsi quasi senza soluzione di continuità in democrazie parlamentari. In entrambi i casi, questi rovesciamenti si producevano in un contesto in cui la politica si era già da tempo trasformata in biopolitica e in cui la posta in gioco consisteva ormai soltanto nel determinare quale forma di organizzazione risultasse più efficace per assicurare la cura, il controllo e il godimento della nuda vita.
Le distinzioni politiche tradizionali (come quelle fra destra e sinistra, liberalismo e totalitarismo, privato e pubblico) perdono la loro chiarezza e la loro intellegibilità ed entrano in una zona di indeterminazione una volta che il loro referente fondamentale sia diventato la nuda vita.
Lo stato di eccezione non è il caos che precede l’ordine, ma la situazione che risulta dalla sua sospensione.
Stato di Eccezione
Homo sacer II © Boringhieri, 2003
Il totalitarismo moderno può essere definito [...] come l’instaurazione, attraverso lo stato di eccezione, di una guerra civile legale, che permette l’eliminazione fisica non solo degli avversari politici, ma di intere categorie di cittadini che per qualche ragione risultino non integrabili nel sistema politico. Da allora, la creazione volontaria di uno stato di emergenza permanente (anche se eventualmente non dichiarato in senso tecnico) è divenuta una delle pratiche essenziali degli Stati contemporanei, anche di quelli cosiddetti democratici.
Lo stato di eccezione non è una dittatura [...] ma uno spazio vuoto di diritto, una zona di anomia in cui tutte le determinazioni giuridiche – e, innanzitutto, la stessa distinzione fra pubblico e privato – sono disattivate.
Lo stato di eccezione tende sempre più a presentarsi come il paradigma di governo dominante nella politica contemporanea. Questa dislocazione di una misura provvisoria ed eccezionale in tecnica di governo minaccia di trasformare radicalmente [...] la struttura e il senso della distinzione tradizionale delle forme di costituzione. Lo stato di eccezione si presenta anzi in questa prospettiva come una soglia di indeterminazione fra democrazia e assolutismo.
A che punto siamo?
L'epidemia come politica © Quodlibet, 2020 - Selezione Aforismario
Ormai da decenni è in atto una progressiva perdita di legittimità dei poteri istituzionali, che questi non hanno saputo arginare che attraverso la produzione di una perpetua emergenza e il bisogno di sicurezza che essa genera.
Col nuovo paradigma della biosicurezza che si sta istaurando sotto i nostri occhi, la nozione di cittadinanza è ormai completamente cambiata e il cittadino è diventato l’oggetto passivo di cure, controlli e sospetti di ogni tipo. La pandemia ha mostrato senza possibili dubbi che il cittadino si riduce alla sua nuda esistenza biologica.
Possiamo chiamare «biosicurezza» il dispositivo di governo che risulta dalla congiunzione fra la nuova religione della salute e il potere statale col suo stato di eccezione. Esso è probabilmente il più efficace fra quanto la storia dell’Occidente abbia finora conosciuto.
L’esperienza ha mostrato infatti che una volta che in questione sia una minaccia alla salute gli uomini sembrano disposti ad accettare limitazioni della libertà che non si erano mai sognati di poter tollerare, né durante le due guerre mondiali né sotto le dittature totalitarie.
È probabile che quando gli storici futuri avranno chiarito che cosa era veramente in gioco nella pandemia, questo periodo apparirà come uno dei momenti più vergognosi della storia italiana e coloro che lo hanno guidato e governato come degli irresponsabili privi di ogni scrupolo etico.
La nuova forma della relazione sociale è la connessione e chi non è connesso è tendenzialmente escluso da ogni rapporto e condannato alla marginalità.
Si direbbe che una gigantesca onda di paura, causata dal più piccolo essere esistente, stia percorrendo l’umanità, e i potenti del mondo la guidano e orientano secondo i loro fini. Così, in un perverso circolo vizioso, la limitazione della libertà imposta dai governi viene accettata in nome di un desiderio di sicurezza che è stato indotto dagli stessi governi che ora intervengono per soddisfarlo.
La paura è una cattiva consigliera, ma fa apparire molte cose che si fingeva di non vedere.
Gli uomini si sono così abituati a vivere in condizioni di crisi perenne e di perenne emergenza che non sembrano accorgersi che la loro vita è stata ridotta a una condizione puramente biologica e ha perso ogni dimensione non solo sociale e politica, ma persino umana e affettiva.
Una società che vive in un perenne stato di emergenza non può essere una società libera. Noi di fatto viviamo in una società che ha sacrificato la libertà alle cosiddette “ragioni di sicurezza” e si è condannata per questo a vivere in un perenne stato di paura e di insicurezza.
Gli italiani sono disposti a sacrificare praticamente tutto, le condizioni normali di vita, i rapporti sociali, il lavoro, perfino le amicizie, gli affetti e le convinzioni religiose e politiche a un pericolo di ammalarsi che, almeno per ora, non è statisticamente nemmeno così grave.
La nuda vita – e la paura di perderla – non è qualcosa che unisce gli uomini, ma li acceca e separa.
Si direbbe che gli uomini non credono più a nulla – tranne che alla nuda esistenza biologica che occorre a qualunque costo salvare. Ma sulla paura di perdere la vita si può fondare solo una tirannia, solo il mostruoso Leviatano con la sua spada sguainata.
Che cosa è una società che non ha altro valore che la sopravvivenza?
Lo stato di eccezione, a cui i governi ci hanno abituati da tempo, è veramente diventato la condizione normale.
Che la scienza sia diventata la religione del nostro tempo, ciò in cui gli uomini credono di credere, è ormai da tempo evidente.
I teologi dichiaravano di non potere definire con chiarezza che cos’è Dio, ma in suo nome dettavano agli uomini delle regole di condotta e non esitavano a bruciare gli eretici; i virologi ammettono di non sapere esattamente che cos’è un virus, ma in suo nome pretendono di decidere come devono vivere gli esseri umani
I filosofi dovranno nuovamente entrare in conflitto con la religione, che non è più il cristianesimo, ma la scienza o quella parte di essa che ha assunto la forma di una religione.
L’umanità sta entrando in una fase della sua storia in cui la verità viene ridotta a un momento nel movimento del falso.
Occorre che ciascuno abbia il coraggio di cercare senza compromessi il bene più prezioso: una parola vera.
È sempre pericoloso affidare ai medici e agli scienziati decisioni che sono in ultima analisi etiche e politiche. Gli scienziati, a torto o a ragione, perseguono in buona fede le loro ragioni, che si identificano con l’interesse della scienza e in nome delle quali – la Storia lo dimostra ampiamente – sono disposti a sacrificare qualunque scrupolo di ordine morale.
Una norma, che affermi che si deve rinunciare al bene per salvare il bene, è altrettanto falsa e contraddittoria di quella che, per proteggere la libertà, impone di rinunciare alla libertà.
Quello che oggi vediamo con chiarezza è che l’epidemia sta diventando il nuovo terreno della politica, il campo di battaglia di una guerra civile mondiale – poiché è evidente che la guerra civile è una guerra contro un nemico interno, che abita dentro di noi.
Non appena in questione è una minaccia alla salute la gente accetta senza reagire limitazioni delle libertà che non avrebbe mai accettato in passato. Si è giunti così al paradosso che la cessazione di ogni relazione sociale e di ogni attività politica viene presentata come la forma esemplare di partecipazione civica.
Nelle democrazie borghesi, ogni cittadino aveva un «diritto alla salute»: questo diritto si rovescia ora, senza che la gente se ne accorga, in un’obbligazione giuridica alla salute, che occorre adempiere a qualsiasi prezzo.
Se la salute diventa l’oggetto di una politica statuale trasformata in biopolitica, allora essa cessa di essere qualcosa che riguarda innanzitutto la libera decisione di ciascun individuo e diventa un obbligo da adempiere a qualsiasi prezzo, non importa quanto alto.
Il mantenimento a ogni prezzo di una nuda vita astrattamente separata da quella sociale è il dato più impressionante nel nuovo culto istaurato dalla medicina come religione.
Quanto più il diritto comincia a occuparsi esplicitamente della vita biologica dei cittadini come un bene da curare e promuovere, tanto più questo interesse getta immediatamente la sua ombra nell’idea di una vita che, come recita il titolo di un’opera celeberrima pubblicata in Germania nel 1920, «non merita di essere vissuta [lebensunwertes Leben]».
Da più parti si va ora formulando l’ipotesi che in realtà noi stiamo vivendo la fine di un mondo, quello delle democrazie borghesi, fondate sui diritti, i parlamenti e la divisione dei poteri, che sta cedendo il posto a un nuovo dispotismo che, quanto alla pervasività dei controlli e alla cessazione di ogni attività politica, sarà peggiore dei totalitarismi che abbiamo conosciuto finora.
Articoli e scritti vari
Selezione Aforismario
Gli esseri umani non possono vivere se non si danno per la loro vita delle ragioni e delle giustificazioni, che in ogni tempo hanno preso la forma di religioni, di miti, di fedi politiche, di filosofie e di ideali di ogni specie.
La realtà è il velo attraverso cui percepiamo il possibile, ciò che possiamo o non possiamo fare.
Quel che ci libera dal peso è il respiro. Nel respiro non abbiamo più peso, siamo spinti come in volo al di là della forza di gravità.
Sentire e sentirsi, sensazione e autoaffezione sono contemporanei. In ogni sensazione c’è un sentirsi sentire, in ogni sensazione di sé un sentire altro, un’amicizia e un volto.
Si è abolito l’amore / in nome della salute / poi si abolirà la salute. / Si è abolita la libertà / in nome della medicina / poi si abolirà la medicina. / Si è abolito Dio / in nome della ragione / poi si abolirà la ragione. / Si è abolito l’uomo / in nome della vita / poi si abolirà la vita. / Si è abolita la verità / in nome dell’informazione / ma non si abolirà l’informazione. / Si è abolita la costituzione / in nome dell’emergenza / ma non si abolirà l’emergenza.
Note
Leggi anche le citazioni dei filosofi italiani: Giulio Giorello - Emanuele Severino - Gianni Vattimo