Frasi e citazioni di Elio Vittorini
Selezione di frasi e citazioni di Elio Vittorini (Siracusa, 1908 - Milano, 1966), scrittore, traduttore e critico letterario. Riguardo alla propria vocazione di scrittore, ha detto Elio Vittorini:
"Uno non scrive per arricchire il mondo della cognizione di qualche “altra” cosa. Fosse così, quale condizione sarebbe più felice della nostra? Noi potremmo anche non scrivere. Saremmo “liberi”. Potremmo scrivere o non scrivere, e dare o non dare la nostra parola. Invece non possiamo che scriver bene o scriver male. Possiamo anche mentire. Ma non possiamo mai scegliere tra scrivere e non scrivere. C’è su di noi un impegno che non ce lo consente. Ci viene da tutti gli uomini, impegno che rende terribile la nostra vocazione". [Prefazione a Il garofano rosso, 1948].
La cultura non è una professione per pochi: è una condizione per tutti, e completa l’esistenza dell’uomo. (Elio Vittorini) |
Conversazione in Sicilia
© Bompiani, 1941
Ogni morto di fame è un uomo pericoloso.
Uomini e no
© Bompiani, 1945
Bisogna che gli uomini possano esser felici. Ogni cosa ha un senso solo perché gli uomini siano felici. Non è solo per questo che le cose hanno un senso?
Un uomo è felice quando ha una compagna.
Il garofano rosso
Mondadori, 1948
Io non ho mai aspirato "ai" libri; aspiro "al" libro; scrivo perché credo in "una" verità da dire; e se torno a scrivere non è perché mi accorga di "altre" verità che si possono aggiungere, e dire "in più", dire "inoltre", ma perché qualcosa che continua a mutare nella verità mi sembra esigere che non si smetta mai di ricominciare a dirla. [Prefazione]
È in ogni uomo attendersi che forse la parola, una parola, possa trasformare la sostanza di una cosa. Ed è nello scrittore di crederlo con assiduità e fermezza. [Prefazione]
Altro che arricchire il mondo! C’è una questione di vita o morte nel giro del nostro mestiere. Si tratta di non lasciare che la verità appaia morta. Essa è presente tra noi per la continuità delle nostre correzioni, delle nostre aggiunte, delle nostre ripetizioni, e il giorno in cui ci si fermasse, anche solo il tempo di una generazione, addio: non la poesia o la filosofia sarebbero morte, ma la verità stessa non avrebbe più posto nella nostra vita. [Prefazione]
Riuscire a scrivere è certo riuscire ad avere il piacere di scrivere. È non avere diffidenze col proprio scrivere. È non avere da preoccuparsi di fare i conti e fare il ragioniere con le cose di cui si scrive. È potersi abbandonare alla cosa che si ha dentro, e a tutto il suo sole, ma insieme a tutta la sua ombra. [Prefazione]
Un libro non è soltanto “mio” o “tuo”, né rappresenta solo il “mio” contributo alla verità, il “mio” sforzo di ricerca della verità, e la “mia” capacità di realizzazione letteraria. Un libro è un riflesso più o meno diretto, e più o meno contorto, più o meno alterato, della verità obbiettiva, e molto in un libro, anche all’insaputa dello scrittore, specie in un libro mancato, può essere verità rimasta grezza. [Prefazione]
La gente si allea nelle paure. E tu vedi come i bravi e i giusti siano alleati in una paura intelligente... Come i perfidi siano alleati in una paura idiota! L'umanità è tutta divisa da patti e alleanze contro le paure...
Diario in pubblico
© Bompiani, 1957 - Selezione Aforismario
La cultura vera e propria comincia dove finisce la cultura professionale.
L’operaio che, con bisogno estraneo alla sua attività di operaio, leggeva Shakespeare e Goethe, impersonava la vera tendenza alla cultura.
Che cos'è intellettualismo? Pensare solo con la mente.
Io penso che sia molta umiltà essere scrittore. Lo vedo come fu in mio padre, ch'era maniscalco e scriveva tragedie, e non considerava il suo scrivere tragedie di più del suo ferrare cavalli.
Scrivere è fede in una magia: che un aggettivo possa giungere dove non giunse, cercando la verità, la ragione; o che un avverbio possa recuperare il segreto che si è sottratto a ogni indagine.
Accade spesso che grandi libri siano così: pieni dentro d’una virtù straordinaria che li rende simili a beni della natura, e tuttavia non accessibili.
Uno scrittore può ignorare la psicologia moderna, ma non può ignorare quello che con essa è venuto concretamente alla luce. Oggi gli uomini portano scritto sulla faccia cose di cui prima non lasciavano intravedere il più piccolo indizio. E come si potrebbe non leggere sulle facce degli uomini?
La poesia è per questo poesia; perché non resta legata alle cose da cui ha avuto origine e si può riferirla, se nasce da dolore, ad ogni dolore.
L’uomo soltanto se legge come un ragazzo può trarre significato dai libri. E solo se fatta leggendo come un ragazzo la cultura può essere, quale dev’essere, una condizione dell’uomo. Con la filologia, col tecnicismo, con la scienza esplicitamente scienza, oggi si rischia di impedire per il resto dei tempi che gli uomini leggano come ragazzi.
Mentre una storia politica non ha in sé, di solito, la storia della letteratura, una storia della letteratura ha sempre in sé la storia politica
Il servizio che lo scrittore rende alla comune degli uomini è di natura così delicata e complessa che può apparire, almeno in un primo momento, un fatto antisociale. Quello che dunque occorre allo scrittore è di poter scrivere e pubblicare anche quando gli accade di essere considerato un nemico della società. Tutte le altre necessità sono secondarie di fronte a questa.
Da che cosa la cultura trae motivo per elaborare i suoi principii e i suoi valori? Dallo spettacolo di ciò che l’uomo soffre nella società. L’uomo ha sofferto nella società, l’uomo soffre. E che cosa fa la cultura per l’uomo che soffre? Cerca di consolarlo.
La scuola può insegnare “anche” quanto occorre alla specializzazione tecnica di un uomo nella medicina, nell’ingegneria, nella chimica o semplicemente nella coltura dei piselli. Ma vi è molto di più che la scuola può insegnare: la scuola può insegnare tutto quanto occorre all’uomo per diventare soggetto di cultura e di coscienza, di libertà, di capacità creativa e di fede nel progresso civile.
Lo sforzo (di progresso) del popolo italiano non potrà essere completo e del tutto vitale se non trascina nel suo movimento ogni parte d’Italia. Non vi sarà, voglio dire, un progresso italiano se non vi sarà in Sardegna uno speciale progresso sardo, e, in Sicilia, uno speciale progresso siciliano.
Un equivoco frequente, dannosissimo (…) viene determinato quando si parla di “difesa della civiltà”. Attenti a non coprire, sotto tale formula, una cosa ferma e una cosa in divenire. Come se la civiltà fosse soltanto in quello che si è fatto (…). Come se fosse la posizione raggiunta, e non soprattutto la posizione da raggiungere. Il fermo della civiltà, il fatto della civiltà, il raggiunto della civiltà non è in gran parte che il morto della civiltà.
La pace che vorremmo è pace soprattutto con noi stessi.
La civiltà ha tutto da guadagnare ad essere in movimento. Voglio dire: anche dagli scontri con la barbarie ha da guadagnare. Anzi più che mai dagli scontri con la barbarie. E se si ferma, quando si ferma, più che a causa delle invasioni barbariche, è proprio a causa dei bei tipi che vogliono difenderla.
Quando (…) fu detto “non uccidere” era un piacere, negli uomini, uccidere e le infinite storie dei barbari ci mostrano che, per lungo tempo, gli uomini furono combattuti, entro di loro, tra la voglia, la spontaneità di uccidere e la semplice paura dell’obbligo di “non uccidere”.
Un fatto conta quando, in qualche modo, è nuovo per la coscienza dell’uomo. Solo in tal caso un fatto è un vero fatto: se la coscienza arricchisce, se alla lunga catena di significati della quale essa è composta aggiunge un significato nuovo.
L'ultimo gesto di Socrate [...] è il gesto essenziale dell'uomo, in Hemingway; e non di auto-distruzione, ma di adempimento: gratitudine estrema, in amaro e noia, verso la vita.
Le due tensioni
Appunti per una ideologia della letteratura © Il Saggiatore, 1967
La nostra paura del peggio è più forte del nostro desiderio del meglio.
La macchina e l'organizzazione tecnica del lavoro hanno il merito se non altro di aver tolto al lavoro la maschera di fatto naturale.
Lettere e Scritti vari
La cultura non è una professione per pochi: è una condizione per tutti, e completa l’esistenza dell’uomo.
Non più una cultura che consoli nelle sofferenze, ma una cultura che protegga dalle sofferenze, che le combatta e le elimini.
Se avessi avuto i mezzi per viaggiare sempre credo che non avrei scritto un rigo.
Note
Leggi anche le citazioni degli scrittori italiani: Corrado Alvaro - Leonardo Sciascia - Giuseppe Tomasi di Lampedusa