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Frasi e citazioni di Stefano Massini

Selezione di frasi e citazioni di Stefano Massini (Firenze, 1975), scrittore e drammaturgo italiano. Varie opere di Stefano Massini sono state rappresentate sui palcoscenici di tutto il mondo, tradotte in molte lingue, celebrate da Broadway al West End di Londra e portate in scena dal premio Oscar Sam Mendes.
Foto di Stefano Massini
A renderci umani non è l’atto concreto di evadere, quanto la sete di farlo, e con essa l’insopprimibile bisogno di sapere che una via di fuga c’è. (Stefano Massini)

Un quaderno rosa
© Il Dondolo, 2017

Non si è soli se si è almeno con se stessi.

Qualcosa sui Lehman
© Mondadori, 2017

Quella folla di gente che decide con un voto gli sembra così maldestra. Almeno pagassero, per votare: un dollaro a scheda. Perfino un centesimo. Ma la gratuità completa... È inconcepibile.

La strada della vita è sempre costellata di bivi.

L'interpretatore dei sogni
© Mondadori, 2017

Esplorare i sogni è esplorare la parte più arcana di noi, l’io che non sappiamo d’essere, l’essere che non sappiamo di avere. L’altro da me, l’io che sono senza volerlo. L’io che respingo, l’io che non comprendo. O forse solo l’io che non ha posto.

Se è vero che niente in noi avviene senza motivo, e niente è per caso nel meccanismo che ci sostiene, allora che ruolo hanno queste immagini notturne, di cui spesso noi ridiamo dicendo “Sono solo sogni”?

Senza sogno non c’è l’uomo. Per statuto naturale, il sogno è un po’ come il respiro, costituisce una parte imprescindibile dell’umano essere.

L’intuizione giocosa dei bambini procede per folgorazioni, simili al cosiddetto colpo di genio dell’artista o alla vocazione improvvisa del poeta. Il sogno appartiene a questa famiglia, per cui di fatto coincide con l’istinto geniale, poetico, che sta in ciascun essere umano, indipendentemente dalle sue attitudini artistiche.

Dizionario inesistente
© Mondadori, 2018 - Selezione Aforismario

Le nostre lingue non sono mai neutre: implicano un sistema di valori, e lo applicano tirannicamente scegliendo cosa definire e cosa invece lasciare senza un nome. Come un vestito cucito a misura, ogni lingua riproduce quello che una civiltà crede giusto o sbagliato. A partire dagli stati d’animo. Anzi: forse innanzitutto quelli.

Nessuno parla mai solo per se stesso: le parole sono un ponte fra noi e gli altri, steso sopra il fiume delle cose.

Ogni parola in fondo nasconde un racconto, e scoprirlo è indagare alla radice dei significati. Se solo accettiamo questo metodo, che infinito catalogo di storie si apre ai nostri occhi.

La lingua – splendida invenzione dell’essere umano – è materia lavica, in continuo movimento. Noi ci esprimiamo in quanto creature vive, noi parliamo con lo specifico fine di migliorarci l’esistenza. 

Il nostro bisogno di condividere è pari a quello di nutrirci: non saremmo uomini senza raccontare.

Nessuna lingua non si studia solamente: si crea, si cambia, si riscatta, si adatta, si modella, si tradisce, si amplia, si bestemmia e si riabbraccia. Insomma: la si fa nostra. Che poi vuol dire viverla, una buona volta.

C’è qualcosa che ci accomuna tutti: ognuno tratteggia il suo disegno di fuga. Poi va da sé che taluni lo attuano davvero, mentre altri si accontentano per la vita intera di tingere d’azzurro le pareti della cella per illudersi di cieli e mari aperti. 

A renderci umani non è l’atto concreto di evadere, quanto la sete di farlo, e con essa l’insopprimibile bisogno di sapere che una via di fuga c’è, eccome.

La terra, per quanto inesplorata, è comunque un ripostiglio rispetto al cielo, ed è la ragione per cui, pur detestando i nostri limiti, preferiamo tenerci avvinghiati a essi. Delle sconfinate lande dell’aria ci spaventa quello che ci attrae: la libertà totale, infinita, dentro cui perdersi e dimenticarsi.

Se camminando per strada avvertiamo lo sguardo fisso di qualcuno, è molto probabile che la cosa ci infastidisca. Gli occhi degli altri non sono in genere ben accetti, li sentiamo come ladri rapaci, in cerca di conferme della superiorità di chi ci osserva.

L’osservazione degli altri può offrire certe volte scoperte inattese, se solo ti poni nella condizione di accettare che ogni dettaglio trascurato contenga un potenziale insegnamento.

Se non hai un nemico, non sei nessuno. Tutto quanto sembra ormai fondarsi su questo: la costruzione di qualsiasi identità avviene per opposizione, per negazione. 

Affermare è sempre un verbo complicato, implica una responsabilità. Mentre il ribattere, oltre che più comodo, è decisamente gratificante: a tutti piace sentirsi parte di un conflitto, necessari a una qualche causa che conta su di noi come braccio armato. E dunque avanti con le trincee. 

Noi viviamo di paragoni, soprattutto in un tempo come questo in cui la rete dei social ci offre continuamente modelli ed esempi di vite altre, con le quali nasce spontaneo instaurare graduatorie.

In che cosa consistono, in realtà, le nostre amate guerre? Spesso in una partita a scacchi con noi stessi. Crediamo di combattere qualcuno, senza renderci conto che in fondo il campo di battaglia è del tutto nostro. Solo nostro.

Nell’infinito labirinto di voci che risuona dentro l’animo umano, è così difficile dare un nome a tutte le facce di noi: siamo un coro di sensazioni e opinioni contrastanti, fra le quali è difficile trovare una sintesi.

Viviamo di contraddizioni. Anzi: noi siamo le nostre contraddizioni, di continuo nascoste e camuffate in nome di un assurdo imperativo alla coerenza.

L’uomo non può essere coerente: è contrario alla sua stessa natura, che per fortuna si evolve con i traumi dell’esperienza.

Vivere è cambiare, vivere è adattarsi, vivere è modificarsi accettando di buon grado che l’io di ieri si riscopra nell’io di domani.

Ogni volta che ci guardiamo in uno specchio, l’illusione della nostra riconoscibilità ci fa credere che dietro un corpo sempre uguale debba per forza abitare un essere pensante (e senziente) altrettanto identico. Ebbene, è pura falsità: noi non siamo quelli di ieri.

Ci sono opere che colgono nel segno grazie alla delicatezza del loro tatto, per cui ti scopri colpito e affondato senza aver neppure percepito il siluro.

C’è, per fortuna, un fattore casuale che differenzia la vita degli esseri umani da quella dei teoremi. 

I pensieri, si sa, stanno chiusi in quel cinema privato che è il nostro cranio, le cui poltroncine sono tutte riservate a nome del proprietario. Ma non appena i pensieri si traducono in parole, allora il tutto assume subito una valenza sociale, riguardando gli altri. Ogni parola che diciamo è sempre un qualcosa che ricade su chi ci sta intorno, e come rilevava Sigmund Freud, non esiste sillaba che non determini un effetto emotivo: le parole sono incantesimi che muovono gli altri a ridere, piangere, irritarsi o rasserenarsi. 

La finzione non è uno stratagemma di noi esseri umani, bensì un furbissimo strumento contemplato da madre natura per confondere il nemico. 

Come l’opossum e l’orchidea, anche l’uomo finge per sopravvivere, soprattutto se si sente minacciato.

L’essere umano possiede un’alta vocazione a comporre diverbi, a concepire compromessi e ad ammorbidire le proprie intransigenze, ma ognuna di queste strategie richiede sforzo, energia, tolleranza. In caso contrario, emerge allettante la via satanica, quella che punta dritto a capitalizzare il risultato, trasformando l’interlocutore in un ostacolo di cui sbarazzarsi. Qui nasce il male: fondamentalmente dall’impazienza.

L’offesa stessa, in termini linguistici, non è altro che un suono usato per concentrare stati d’animo complessi senza dilungarsi in tanti teoremi: quando ricorriamo a un’espressione volgare, noi non facciamo altro che evitare perdite di tempo, lanciando forte e chiaro il messaggio di un crescente rancore.

Il male non è solo una degenerazione: è spesso il metodo più sbrigativo per risolvere un conflitto, e come tale si regge su una sempre identica menzogna, quella di aver dato fondo a tutte le risorse intellettuali ed emotive che evitassero il peggio. 

Ladies Football Club
© Mondadori, 2019

Succede così, di solito, quando un invisibile decide di farsi vedere: a quel punto la paga tutta assieme, gli tocca venir fuori troppo, metterci la faccia, che «se lo sapevo, restavo nell’ombra». E invece no: non puoi restarci più, lì è la fregatura, se appari una volta, non ne esci più, in un colpo solo hai cambiato tutto.

Quando sei convinto immancabilmente convinci pure gli altri.

Note
Leggi anche le citazioni degli scrittori italiani: Gianrico Carofiglio - Alessandro D'AveniaMarco Malvaldi

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