Frasi e citazioni di Carlo Calenda

Selezione di frasi e citazioni di Carlo Calenda (Roma, 1973), ex dirigente d'azienda e politico italiano. 
"Al centro del mio pensiero c’è sempre stata l’idea illuminista che l’istruzione è la risposta a tutti i mali. Nelle società liberali sono gli individui con le loro scelte politiche, di vita e di consumo, a determinare la direzione di marcia. Se siamo consumatori di cultura, in quanto cittadini istruiti, allora l’economia premierà chi fa cultura".
Le seguenti riflessioni politiche di Carlo Calenda sono tratte dai libri: Orizzonti selvaggi (2018), I mostri e come sconfiggerli (2020) e La libertà che non libera (2022).
Foto di Carlo Calenda
In Italia le carriere dei leader politici sono diventate molto simili a quelle delle celebrities
(e seguono la stessa veloce parabola). (Carlo Calenda)

Orizzonti selvaggi
Capire la paura e ritrovare il coraggio © Feltrinelli, 2018 - Selezione Aforismario

Molte certezze che hanno accompagnato le ultime generazioni di progressisti si sono sgretolate. Viviamo in un’epoca in cui il futuro è diventato il luogo della paura piuttosto che della speranza.

Compito della politica non è esorcizzare la paura ma comprenderla e affrontarla. Per farlo occorre innanzitutto offrire protezione dalle ingiustizie del presente e poi gestire le transizioni verso il futuro.

Gli elettori votano secondo le loro priorità e il loro metro di giudizio. E la capacità di rappresentare idee, inquietudini e speranze è da sempre il primo motivo di scelta per un cittadino che si reca alle urne.

Nelle democrazie occidentali, la distanza tra politica e arte di governo è stata ormai assunta dai cittadini come dato di fatto. La politica è diventata per noi “un’altra cosa”, l’arte della ricerca del consenso. 

Il paradosso è che la politica è diventata più ideologica proprio quando sembravano morte le ideologie, perché ha assunto dalla teoria economica un pensiero diventato rapidamente dogma.

I populisti prevalgono, pur rimanendo inconsistenti sul piano delle proposte, perché riconoscono le paure contemporanee, mentre i progressisti hanno venduto e continuano a vendere le meraviglie di un futuro lontano.

I movimenti populisti vincono perché rivendicano il ruolo della politica nel proteggere i cittadini da quello che è stato presentato come ineluttabile, si occupano delle paure contingenti, e rappresentano una precisa scelta di campo contro il potere economico.

Riannodare un rapporto profondo ed empatico di rappresentanza con la società attraverso un pensiero nuovo che abbia al centro l’uomo, le sue passioni e le sue inquietudini, piuttosto che la tecnica, è l’unica strada perseguibile per sconfiggere i populismi. Non esistono scorciatoie.

L’idea che la tecnica intesa come capacità di mettere in atto politiche predeterminate dalla teoria economica possa rimpiazzare la politica è una delle ragioni del declino delle liberaldemocrazie e delle classi dirigenti politiche tradizionali.

Apertura vs nazionalismo. Modernità vs tradizione. Civiltà vs cultura. Le contrapposizioni di ieri sono quelle di oggi perché rappresentano altrettante contraddizioni dell’animo umano, che in un mondo secolarizzato, globalizzato e dominato dalla tecnica diventano ancora più esplosive.

La politica non deve credere di poter sostituire la rappresentanza con la competenza e le idee con la tecnica. La retorica dell’impopolarità delle scelte giuste è una contraddizione del principio democratico e un’abdicazione del ruolo della politica. Compito della politica è far diventare popolari le scelte giuste.

Abbiamo investito nel potenziamento della tecnica molto più di quanto abbiamo investito nel potenziamento dell’uomo, pensando che le due cose coincidessero. Non è così. Il rapporto tra uomo e progresso tecnologico è cambiato radicalmente: alla crescita dell’uno corrisponde una marginalizzazione e alienazione dell’altro.

Se la globalizzazione ha messo in crisi l’idea della società aperta dal punto di vista economico, l’aumento dei flussi migratori l’ha definitivamente affondata sul piano politico e culturale.

Il racconto semplificato di una società multiculturale come se fosse una serata in un ristorante fusion, anziché un fenomeno complicatissimo da governare, ha generato un profondo malcontento, in particolare nelle classi svantaggiate che con i migranti si sono trovate a convivere, e spesso a combattere, per accedere a scuola, sanità, lavoro e casa. 

Davanti alle immani difficoltà che pone l’integrazione, in particolare in società demograficamente vecchie e perciò meno propense al cambiamento, descrivere chi ha paura come un razzista ha l’effetto di radicalizzare l’opinione pubblica nel rifiuto dei migranti. 

Viviamo nelle società più sicure di sempre ma il senso di insicurezza non è mai stato così diffuso.

Semplificando: un progressista ha come obiettivo la crescita della società, un liberista l’aumento della libertà economica, un nazionalista il mantenimento dell’identità.

L’obiettivo dei progressisti è quello di trovare il giusto punto di equilibrio tra libertà, società e identità che garantisca la spinta verso “quell’essere di più” che valorizza l’uomo quando persegue uno “sviluppo umano integrale”.

Esiste una ovvia correlazione tra paura del futuro (e del presente) e mezzi intellettuali di cui disponiamo per affrontarlo.

Non esistono più competenze che una volta acquisite bastano per affrontare una vita intera. Un processo di formazione continua è dunque il più importante ammortizzatore sociale di cui dovremmo disporre.

Se non hai i mezzi per essere nel cambiamento, cerchi tutti gli strumenti per fermarlo.

Il futuro si è trasformato nel luogo delle paure perché il mondo è diventato molto più complesso e ha raggiunto una velocità di cambiamento che supera le capacità trasformative della società e quelle culturali dell’uomo.

Cultura, arte e la bellezza hanno un ruolo potenzialmente fondamentale. Rappresentano uno dei pochissimi residui di “trascendenza” rimasti.

Dobbiamo investire sull’uomo almeno tanto quanto stiamo investendo sulla tecnologia e sulla scienza. Cultura e tecnica devono tornare a muoversi alla stessa velocità.

Dobbiamo assumere come prospettiva la crescita della società rispetto alla crescita dell’economia. Ricostruire in modo innovativo un senso di comunità è lo sforzo a cui siamo chiamati. Cultura e comunità sono gli antidoti alla disumanizzazione.

I tre pilastri dell’umanesimo liberale – diritti, libertà economica e progresso – reggono se le fondamenta umane sono solide e la paura trova risposte adeguate.

I mostri e come sconfiggerli
© Feltrinelli, 2020 - Selezione Aforismario

L’Italia è l’anello fragilissimo di un Occidente fragile. Una fragilità derivante da quasi cinquant’anni di malanni diventati cronici.

Il rischio del ritorno del fascismo non esiste, quello dell’involuzione verso una democrazia illiberale sì.

Quando i cittadini sentono in pericolo il proprio futuro e persino la propria vita, ogni appello retorico al valore della democrazia risulta inutile. In questi momenti, o la democrazia dimostra davvero di saper funzionare o perisce.

Il più concreto e reale pericolo per l’equilibrio democratico è rappresentato da chi cerca continuamente di portare lo scontro politico sul piano del pericolo democratico, e al contempo si oppone a ogni rafforzamento delle istituzioni democratiche.

Salvare la democrazia dai democratici è il compito più difficile. 

Nel corso del tempo la politica, incalzata da appuntamenti elettorali sempre più serrati, da un contesto più mediatizzato, da un mondo di cui domina sempre meno direttamente i processi di cambiamento, è spinta a promettere di più, riuscendo però a mantenere di meno.

L’idea di una società dei diritti senza doveri prende piede. Il diritto alla ricerca della felicità si trasforma nel diritto alla felicità.

Un uomo saggio e colto, privo di ogni esperienza o sensibilità per i processi di trasformazione della realtà, può essere un ottimo intellettuale ma ben difficilmente sarà anche un buon uomo di governo.

Ogni estremizzazione o semplificazione del confronto politico (bene vs male), ogni categorizzazione degli elettori (buoni vs cattivi, fascisti vs antifascisti, ignoranti vs colti ecc.) conduce alla vittoria della politica che si pone come pura rappresentanza degli istinti.

La politica competente potrà generare fiducia solo rafforzando la promessa di “servizio”, rispetto alla pretesa di essere guida. 

La libertà che non libera
Riscoprire il valore del limite © La nave di Teseo, 2022 - Selezione Aforismario

A partire dagli anni ottanta l’unico perno della nostra civiltà è diventato l’individuo e la sua ricerca di illimitata libertà e di crescente appagamento materiale. Abbiamo conseguentemente deciso che questi sono gli unici moventi delle azioni umane. Ma quando i rischi sono globali, una società fondata solo su consumi e diritti individuali diventa fragile, divisa e disarmata.

La nostra vita ha come unico scopo la “ricerca della felicità”, e più recentemente “il diritto alla felicità”, eppure, nonostante un’epoca di benessere senza precedenti, riusciamo sempre meno a conseguirla. Abbiamo bisogno di ristabilire dei limiti, di riattivare la forza connettiva degli obblighi morali, anche per essere felici individualmente.

La realtà è sempre controversa, così come la politica che serve a cambiarla. La pretesa di superiorità morale è utile come bandiera solo per chi la pratica.

Quando cadono tutte le certezze, si cercano nuovi e semplici punti di riferimento. Ieri un sistema ideologico incarnato da un uomo forte, oggi, in una società individualizzata, un uomo forte e basta.

Rimanere autorevole quando sei un personaggio pubblico è difficilissimo. In un’arena virtuale affollatissima, dove si combatte per trenta secondi di attenzione, la tentazione di comportarsi come un influencer è quasi irresistibile.

Più aumenta la capacità del progresso di forzare i limiti dell’ordine naturale, più toccherà a noi stabilire i limiti di ordine morale. Limiti umani e come tali non immutabili.

In Italia le carriere dei leader politici sono diventate molto simili a quelle delle celebrities (e seguono la stessa veloce parabola).

Le decisioni elettorali sono passate dalla sfera pubblica a quella personale. Non si vota un leader perché è bravo, coerente, serio o competente e può fare il bene pubblico; lo si vota perché rispecchia il nostro stato d’animo in un dato momento. I leader rappresentano un individuale e mutevole stile di consumo.

Velocità, cambiamento, innovazione; il nostro non è davvero un mondo adatto ai vecchi. 

Non vi è dubbio che un tratto fondamentale del nostro tempo è il giovanilismo. E da qui scaturisce il paradosso di cercare politici in forma ma ignoranti, pronti alla battuta ma incapaci di un ragionamento. Li vogliamo nuovi più che esperti. Talmente nuovi da essere chiaramente inadatti per svolgere il lavoro di governo.

Non occuparsi di politica è immorale. La partecipazione alla vita pubblica è un obbligo morale e un dovere civico.

La cultura di governo è un sano limite alla tendenza della politica di trasformarsi in rumore, perché presuppone la capacità di spiegare come realizzerai quanto prometti.

Oggi sembra che l’unico modo che ha un movimento politico per mostrare la sua specificità sia prendere una linea rumorosamente “contro”.

La frenetica dimensione mediatica impone la necessità di lanciare continuamente una proposta che possa ambire a diventare virale. Il rapido logoramento delle leadership politiche dipende anche da questo.

La politica degli slogan può permettersi di non spiegare nulla, tanto poi c’è sempre tempo per cambiare idea una volta arrivati al governo, se le circostanze lo richiederanno.

C’è solo una rivoluzione che l’Italia ha accuratamente evitato di intraprendere: quella della serietà e del riconoscimento della responsabilità. 

Note
Leggi anche le citazioni dei politici italiani: Marco CappatoAlessandro Di BattistaMatteo Renzi

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