Frasi e citazioni di Francesco Borgonovo
Selezione di frasi e citazioni di Francesco Borgonovo (Reggio Emilia, 1983), giornalista e saggista italiano. Le seguenti riflessioni di Francesco Borgonovo sono tratte dai libri: Fermate le macchine! (2018), Contro l'onda che sale (2020), La malattia del mondo (2020), Conservare l'anima (2021).
L’eroismo è definitivamente tramontato: restano il piagnisteo e la paura. È andata perduta la virtù più antica e potente: il coraggio. (Francesco Borgonovo) |
Fermate le macchine!
Come ci stanno rubando il lavoro, la salute e perfino l'anima © Sperling e Kupfer, 2018
Ormai, il nostro futuro è diventato un presente sbagliato. Di questi tempi, al cinema, in televisione e in libreria, vanno molto di moda le cosiddette «distopie». Il fatto è che all’interno di una distopia ci viviamo già, e le conseguenze nefaste della tecnologia sfrenata le stiamo già sperimentando.
Le nuove invenzioni hanno portato comodità ed efficienza, ma hanno anche contribuito a disumanizzare l’uomo.
La competizione fra uomo e macchina esiste da centinaia di anni. Adesso, però, lo sviluppo tecnologico permette di rimpiazzare gli esseri umani praticamente ovunque. Non c’è nemmeno più bisogno di tramutare gli uomini in robot: basta tenere i robot e liberarsi degli uomini. Ed è esattamente quello che sta avvenendo.
Le aziende high tech hanno cominciato a essere percepite per quello che in realtà sono: espressione di un’élite transnazionale sradicata e disinteressata al destino dei Paesi d’origine. Moloch miliardari il cui unico scopo è fare profitto, e il cui potere è smisurato, addirittura superiore a quello delle singole nazioni.
I capitalisti digitali hanno dismesso le grisaglie e le cravatte, preferiscono le felpe. Dei fricchettoni hanno conservato la fissa per i cibi biologici e «green», dal neoliberismo hanno mutuato l’ossessione per l’efficienza e il culto del denaro. Da un certo punto di vista, questi signori sono dei banalissimi arricchiti.
Vi siete mai chiesti perché la rivoluzione digitale abbia tanto successo? Semplice: perché è comoda.
La tecnologia ha prodotto una nuova specie di esseri viventi: l’homo comfort. Ci siamo liberati della fatica. Il lavoro fisico ci appare come un residuo sgradevole di un passato primitivo. Siamo entrati a tutti gli effetti nell’era del comfort: un tempo apparentemente piacevole in cui vivere, ma che presenta non pochi lati oscuri.
Sotto una coltre di grasso e dietro agli schermi dei tablet, siamo ancora dei primitivi che hanno bisogno di correre, stimolare i muscoli e le ossa, sporcarsi le mani con la terra per attivare il sistema immunitario. Lo sviluppo tecnologico prosegue spedito, ma il nostro corpo rimane indietro.
Sicuro, la vita naturale non va idealizzata: può essere durissima, sfiancante. Ma recidere completamente il nostro legame con il verde è peggio: è letale. E i ragazzini che vivono incollati agli smartphone, senza possibilità di dedicarsi al gioco brado, si mettono in serio pericolo.
Chi si isola davanti a uno schermo fatica poi a intrattenere conversazioni reali con altri esseri umani, e lo stesso vale per le relazioni erotiche e sentimentali. Non solo: l’utilizzo eccessivo dei giochi e la stimolazione costante che esso produce rendono poi molto difficoltoso concentrarsi su attività più «noiose» come per esempio lo studio o il lavoro.
Le donne lavorano tutte, ma sono diventate più ciniche, ossessionate dalla carriera, insomma sono diventate indistinguibili dai maschi.
Contro l'onda che sale
Perché le sardine e gli altri pesci lessi della sinistra sono un bluff © Piemme, 2020
Oggi, per essere ascoltati e ottenere qualcosa, bisogna appartenere a una minoranza. A un gruppo di interesse che porti avanti – anzi, che “pretenda” – diritti che spesso si rivelano privilegi. Anche quando questi presunti diritti confliggono con i diritti di altri.
Oggi la norma trionfa, domina su tutto, interferisce con le esistenze dei singoli individui, s’insinua anche nel loro privato, che invece potrebbe essere benissimo governato dal “senso comune” che i popoli possiedono e che costituisce la loro verità ultima.
La malattia del mondo
In cerca della cura per il nostro tempo © UTET, 2020
Le nostre radici sono piantate fisicamente nella terra, ma sono anche altrove: nel cielo. La terra, da sola, nella sua dimensione orizzontale, non basta. Ci serve anche il cielo.
La famiglia è l’ultimo baluardo contro un sistema che mercifica qualunque aspetto della vita umana. La famiglia è il luogo del dono e della gratuità, dove i rapporti fra esseri umani non sono regolamentati da contratti commerciali e non si basano sull’interesse.
La famiglia è, di questi tempi, il solo argine all’isolamento, al trionfo dell’egoismo e del narcisismo.
Il business green è un affare per molti. Per gli attivisti che si fanno notare e pubblicano libri. Per i governi che possono imporre nuove tasse con la scusa dell’ambiente. Per i partiti di sinistra in crisi d’idee che si attaccano all’ecologismo. Per le grandi multinazionali, che potranno venderci (o noleggiarci) nuove auto e nuovi supporti digitali.
Conservare l'anima
Manuale per aspiranti patrioti © Lindau, 2021 - Selezione Aforismario
Nella società dove tutto è permesso, quasi nulla è possibile per chi non ha potere o soldi.
La libertà senza limiti – nemmeno troppo paradossalmente – ci ha resi meno liberi. Nel timore che gli altri uomini fossero lupi, ci siamo trasformati in pecore.
Dobbiamo riconoscere che ciascuno di noi contiene moltitudini. Dentro di noi, anche se non ce ne accorgiamo, restano le tracce di tutti coloro che ci hanno preceduto.
Questo significa avere una Patria: essere figli di un passato, inserirsi in una catena che collega l’antichità all’avvenire.
Perché sia elemento vitale, il patriottismo deve essere azione. Conservazione del passato, prima di tutto: il patrimonio che ci viene affidato non deve essere sperperato (come di questi tempi regolarmente avviene). Ma conservare non è sufficiente: bisogna difendere.
Non basta essere nati o risiedere su un determinato territorio per diventare parte di una nazione. Bisogna, prima di tutto, condividere lo spirito della Patria.
Questo significa avere una Patria: essere figli di un passato, inserirsi in una catena che collega l’antichità all’avvenire.
Oggi va di moda il piagnisteo risentito e ostile del narcisista. L’individuo che si sente sempre in difetto, sempre offeso, sempre discriminato. Il narcisismo diffuso ci ha convinto di essere tutti vittime.
L’eroismo è definitivamente tramontato: restano il piagnisteo e la paura. È andata perduta la virtù più antica e potente: il coraggio.
Viviamo nel terrore reciproco, siamo chinati in avanti, con lo sguardo basso, pronti a sottostare alle imposizioni del pensiero unico dominante sotto ogni punto di vista. Abbiamo perso il coraggio fisico, e abbiamo orrore di ogni forma di violenza. E contemporaneamente abbiamo perso anche il coraggio spirituale, la capacità di tenere il punto, di non piegarci di fronte alle avversità che sono invece una parte fondamentale dell’esistenza, l’ombra che dobbiamo attraversare per giungere alla luce.
Il più delle volte, il coraggio non passa dalla ragione. Anzi, scaturisce da una sorta di divina follia. È slancio, è – appunto – dono gratuito. Infatti, di questi tempi, è considerato un inutile spreco.
Oggi regna l’ingratitudine, la presunzione di non avere vincoli, di non dovere nulla a nessuno. Anche se poi, mai come oggi si vive indebitati, sottomessi, schiacciati, imprigionati nell’ansia e nella paura. Oppure, al contrario, si vive nello sperpero.
La gratitudine è quella che proviamo (o dovremmo provare) nei confronti dei padri e delle madri, di coloro che ci hanno preceduto, ci hanno fatti come siamo e ci hanno lasciato una eredità che non dobbiamo sprecare, conservandola. Questa eredità è appunto la nostra Patria, la casa nella quale abitiamo. Ed è amore ciò che dobbiamo rivolgere ai nostri compatrioti.
Oggi, di fronte all’aggressione continua ai valori che ci costituiscono, non dobbiamo soltanto conservare, ma soprattutto difendere.
La nazione comincia – grazie alla famiglia − fra le mura domestiche, e a sua volta le assorbe, le completa, le allarga a dismisura fino a diventare essa stessa una casa comune.
Come noto, l’assenza di limiti e confini è uno dei dogmi del neoliberismo: gli uomini devono poter circolare liberamente ovunque esattamente come le merci, e poco importa se poi la differenza tra uomo e merce va sfumando. Tutti i confini devono saltare: quelli fra gli Stati, ma anche fra le età, fra le culture, perfino fra i sessi. Chiunque oggi rivendichi separazione e differenza è guardato come un ottuso bigotto o, peggio, un crudele fascista.
La famiglia − con tutti i suoi problemi − è l’oasi dell’amore senza scopo di lucro: per questo il sistema attuale punta a distruggerla.
La lotta contro il padre e «il patriarcato» ha fatto sì che oggi manchino padri che diano l’esempio, che fissino regole e allo stesso tempo insegnino la libertà. Di questi padri non hanno bisogno soltanto i singoli individui, ma i popoli nel loro complesso.
Ecco l’individuo di oggi: un bambino capriccioso il cui unico scopo è l’immediata soddisfazione del piacere.
Gli eterni bambini di oggi sono incapaci di affrontare il negativo, intendono la libertà semplicemente come assenza di ostacoli lungo il cammino che conduce alla soddisfazione personale.
Oggi chi si professi patriota, chi intenda difendere i valori tradizionali e opporsi alla stagnazione dominante, deve essere pronto ad affrontare ostilità, attacchi, insulti. Deve sapere che andrà incontro a un fronte compatto, feroce, pronto a tutto pur di schiacciare il dissenso.
Perché, attualmente, si elogia tanto il ribelle? Perché, in sostanza, è l’individuo senza responsabilità, che fa ciò che gli pare. Egli rivendica il «diritto» di andare oltre le leggi e le convenzioni perché, semplicemente, «desidera» così. Il ribelle è l’incarnazione degli spiriti animali del neoliberismo. È, fondamentalmente, un asociale, un egoista, uno che vuole imporsi a tutti i costi, anche a discapito degli altri. È l’icona perfetta del sistema che sovverte ogni regola naturale, che distrugge ogni gerarchia e sbriciola ogni valore.
Il ribelle, oggi, è il più ridicolo dei conformisti. Tutta la sua spinta vitale, la sua contestazione dell’autorità, si esaurisce nel desiderio sfrenato. O, magari, nell’autodistruzione. Il ribelle è un eterno bambino riottoso, un fastidioso Peter Pan che si compiace dei suoi dispettucci.
La verità è che il ribelle – così come viene inteso oggi – non crea nulla, egli distrugge e basta. A creare, semmai, è il rivoluzionario, che è una figura ben diversa, tragica.
Essere ribelli significa, dunque, vegetare in uno stato di guerra permanente. Essere sempre insoddisfatti, incolpare sempre gli altri per la rabbia che brucia nel vuoto dell’anima. Il ribelle, di fatto, fa comodo al potere. Si emargina da solo, si neutralizza da solo appagando i propri istinti.
Note
Leggi anche le citazioni dei giornalisti e saggisti italiani: Vittorio Feltri - Federico Rampini - Marcello Veneziani