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Frasi e citazioni di Elena Gianini Belotti

Selezione di frasi e citazioni di Elena Gianini Belotti (Roma, 1929-2022), pedagogista, saggista e scrittrice italiana. La maggior parte delle seguenti riflessioni di Elena Gianini Belotti sono tratte dal suo libro più noto: Dalla parte delle bambine. L’influenza dei condizionamenti sociali nella formazione del ruolo femminile nei primi anni di vita, pubblicato da Feltrinelli nel 1973, in cui spiega come i concetti di femminilità e mascolinità, che di solito vengono considerati caratteristiche innate e biologiche degli individui, sono in realtà frutto di una costruzione culturale:
"Il bisogno di classificare in qualche modo gli esseri umani sceglie sempre la classificazione piú facile, piú evidente (il sesso, la razza, l’età, la religione, ecc.), quella già accettata dal costume antico di millenni. La prima e fondamentale è quella per sessi: è una forma di razzismo ma con apparenze di una naturalezza tale da non suscitare nessun dubbio che sia scorretta o ingiusta. Ben lungi dall’essere un fatto naturale, si tratta al contrario di un fatto culturale indispensabile per mantenere inalterati certi privilegi riconosciuti a chi lo ha proposto e portato avanti inflessibilmente attraverso il tempo, cioè il maschio, naturalmente con la complicità e la passiva accettazione della femmina".
Foto di Elena Gianini Belotti
I pregiudizi sono profondamente radicati nel costume: sfidano il tempo, le rettifiche,
le smentite perché presentano un’utilità sociale. L’insicurezza umana
ha bisogno di certezze, ed essi ne forniscono. (Elena Gianini Belotti)

Dalla parte delle bambine
L’influenza dei condizionamenti sociali nella formazione del ruolo femminile nei primi anni di vita  © Feltrinelli, 1973 - Selezione Aforismario

Le radici della nostra individualità sono profonde e ci sfuggono perché non ci appartengono, altri le hanno coltivate per noi, a nostra insaputa.

A tre, quattro anni, quanto lontano cioè può spingersi il ricordo di un individuo, tutto è già compiuto nel suo destino legato al sesso cui appartiene, perché in quel periodo non c’è lotta cosciente contro l’oppressione.

La cultura alla quale apparteniamo, come ogni altra cultura, si serve di tutti i mezzi a sua disposizione per ottenere dagli individui dei due sessi il comportamento piú adeguato ai valori che le preme conservare e trasmettere.

L’obiettivo dell’identificazione di un bambino col sesso cui è stato assegnato si raggiunge molto presto, e non ci sono elementi per dedurre che questo complesso fenomeno abbia radici biologiche.

Che cosa può trarre di positivo un maschio dalla arrogante presunzione di appartenere a una casta superiore soltanto perché è nato maschio? La sua è una mutilazione altrettanto catastrofica di quella della bambina persuasa della sua inferiorità per il fatto stesso di appartenere al suo sesso. Il suo sviluppo come individuo ne viene deformato e la sua personalità impoverita, a scapito della loro vita in comune.

Nessuno può dire quante energie, quante qualità vadano distrutte nel processo di immissione forzata dei bambini d’ambo i sessi negli schemi maschile-femminile cosí come sono concepiti dalla nostra cultura, nessuno ci saprà mai dire che cosa avrebbe potuto diventare una bambina se non avesse trovato sul cammino del suo sviluppo tanti insormontabili ostacoli posti li esclusivamente a causa del suo sesso.

I pregiudizi sono profondamente radicati nel costume: sfidano il tempo, le rettifiche, le smentite perché presentano un’utilità sociale. L’insicurezza umana ha bisogno di certezze, ed essi ne forniscono.

Per confutarli e distruggerli [i pregiudizi] occorre non solo una notevolissima presa di coscienza ma anche il coraggio della ribellione che non tutti hanno. La ribellione suscita ostilità e la condanna di colui che tenta di sovvertire le leggi del costume, piú profonde e piú tenaci delle leggi scritte, può essere l’ostracismo, l’emarginazione sociale.

Le donne non conoscono limiti quando si tratta di piegarsi supinamente ai pregiudizi tagliati sul loro conto.

È la madre a “fare” sia il maschio sia la femmina. Farà la femmina a sua immagine e somiglianza secondo il modello approvato dal maschio. Farà il maschio secondo il modello cui ha avuto tutto il tempo di adeguarsi durante la sua infanzia, adolescenza e giovinezza. Non è difficile: non deve far altro che ripetere con lui lo stesso atteggiamento tollerante, complice, compiacente che ha verso i maschi adulti.

Il sesso maschile gode di maggior libertà e considerazione sociale e quindi sviluppa meno i difetti tipici dell’individuo educato repressivamente.

Il condizionamento delle donne perché si pongano volentieri al servizio dei maschi deve cominciare per tempo perché dia i suoi frutti. In famiglia è precocissimo. Nella scuola materna viene confermato e stabilizzato.

In un essere che è stato programmato per essere dominato, l’intelligenza è una qualità cosí scomoda che si fa tutto il possibile per scoraggiarla sul nascere, per non darle modo di prendere coscienza di sé. 

Non c’è luogo dove le bambine non ricevano in ogni momento la conferma che le si preferisce stupide, salvo poi rimproverar loro di esserlo.

Per dar libero corso alla creatività è necessario poter accedere in maniera sufficientemente ampia al patrimonio della nostra cultura, occorre possedere l’indipendenza intellettuale, la libertà rispetto ai valori dati che permetta di criticarli, rifiutarli e di staccarsene per considerarne di nuovi: occorre essere forti.

Le molteplici ragioni dell’assenza di creatività nelle bambine si possono riassumere in una sola: la dipendenza, cui le bambine sono costrette molto piú dei maschi, dal tipo di educazione che subiscono e che è incompatibile con la creatività, che presume, invece, per conservarsi e per produrre, un’ampia dose di libertà.

Chi sostiene che sarebbe meglio che maschi e femmine fossero decisamente separati dalle scuole elementari in poi, non fa altro che rilevare la loro impossibilità di convivere perché sono stati educati in maniera cosí opposta che è ben difficile per loro trovare un punto d’incontro.

Nessuna donna, tranne le cosiddette “devianti,” vorrebbe seriamente essere un maschio e possedere il pene: ma la maggior parte delle donne desidererebbe avere i privilegi e le possibilità che sono legati al fatto di possederlo.

Quando le bambine fanno la scoperta di avere “qualcosa in meno” dei maschi, nessuno le rassicura sul valore del proprio sesso, perché nessuno ci crede. Non ci crede il padre e tanto meno la madre.

Il continuo confrontarsi con i maschi, fruitori di privilegi a loro negati, causa nelle bambine una notevole riduzione della stima di sé, indispensabile per perseguire obiettivi di realizzazione e per combattere le proprie battaglie.

Le bambine e le donne soffrono in misura molto maggiore dei maschi di senso di inferiorità. Piú profonda è l’insicurezza, il dubbio del proprio valore, maggiore diventa l’ansia di adeguarsi al modello richiesto.

A nessuno piace scoprire di essere considerati individui di seconda categoria. Questa scoperta causa sofferenza, indebolisce la stima di sé, diminuisce l’ambizione, limita l’autorealizzazione, causa invidia per i privilegiati e desiderio di essere come loro. 

Se l’uomo avesse voglia di ascoltare quello che le donne hanno da dire su se stesse, gran parte dei problemi tra i sessi sarebbe già risolta, cosa che è ben lontana dall’essere vera.

Spezzare la catena di condizionamenti che si trasmette pressoché immutata da una generazione all’altra non è semplice, ma ci sono momenti storici in cui simili operazioni possono risultare piú facili che in altri. Come oggi, quando tutti i valori della società sono in crisi e tra questi il mito della “naturale” superiorità maschile contrapposta alla “naturale” inferiorità femminile.

L’operazione da compiere, che ci riguarda tutti ma soprattutto le donne perché ad esse è affidata l’educazione dei bambini, non è quella di tentare di formare le bambine a immagine e somiglianza dei maschi, ma di restituire a ogni individuo che nasce la possibilità di svilupparsi nel modo che gli è piú congeniale, indipendentemente dal sesso cui appartiene.

Prima le donne e i bambini
© Rizzoli, 1980

Una ragazza che assomiglia a un ragazzo si tollera, perché si pensa che abbia tutto da guadagnarci. Ma dove sono i ragazzi che assomigliano alle ragazze? Il modello maschile ha la forza del contagio, come se fosse tutt’ora il migliore dei modelli.

Non può esservi alcuna autentica relazione tra l'oppressore e l'oppresso. La disparità di potere uccide la fiducia, distorce la comunicazione, rende impossibile l'amicizia. L'amore diventa pericolosa dipendenza. La parola serve per nascondere, eludere, difendersi: ma si spegne nella solitudine.

Ritratto di famiglia degli anni '80
© Laterza, 1981

Le brutali teorie di Moebius oggi ci fanno sorridere, ci sembrano storicamente datate e molto lontane dall'attuale realtà delle donne. Ma non è vero: sono tuttora rintracciabili negli innumerevoli luoghi comuni sulle donne, sedimentate nella coscienza collettiva e pronte a riemergere alla minima provocazione, sempre presenti nei discorsi che gli uomini fanno sulle donne a loro insaputa.

Gli uomini procedono nella direzione di sempre, quella dell'affermazione nel sociale. Tranne una esigua minoranza, non si domandano neppure cosa perdono a causa della loro mancanza di rapporto con i figli, compiaciuti e paghi del loro ruolo di sostentatori della famiglia.

Rispetto al modello di madre idealizzata, forse le donne stanno diventando pessime madri. Ma per la prima volta nella storia stanno diventando autentiche e reali, perché prima di essere madri vogliono essere persone.

Il fiore dell'ibisco
© Rizzoli, 1985

I talenti delle donne vanno smarriti nella fatica quotidiana di pensare, organizzare. Agire per gli altri... dispersi, assorbiti, corrosi dalle esigenze altrui che vengono prima delle proprie... impoveriti, isteriliti, soffocati dalle continue richieste di attenzione, di cura, di accudimento... una massa di lavoro mentale e fisico che succhia ogni respiro, non lascia tempo e pensieri per sé.

Pimpì oselì
© Feltrinelli, 1995

È meglio non farle studiare troppo le bambine, tanto si sposano, e cosa ci fanno con l’istruzione? Per quel che serve a mandare avanti la casa e allevare i figli, basta un modesto titolo di studio, se no chissà che grilli si mettono per la testa.

Note
  1. Paul Julius Möbius (1853-1907), scienziato e neurologo tedesco, autore del controverso libro "L'inferiorità mentale della donna", considerato un "classico" di razzismo anti-femminile.
  2. Leggi anche le citazioni delle pedagogiste e delle psicologhe italiane: Maria Montessori - Anna Oliverio Ferraris - Maria Rita Parsi

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