Frasi e citazioni di Sossio Giametta
Selezione di frasi e citazioni di Sossio Giametta (Frattamaggiore, 1929 - Bruxelles, 2024), filosofo, traduttore e giornalista italiano, membro dell’équipe Colli-Montinari all’edizione critica delle opere di Nietzsche. In un'intervista su la Repubblica del 2007, così Sossio Giametta rispondeva alla domanda se gli pesasse essere considerato un outsider della filosofia:
"No, anzi me ne vanto. Perché troppa parte della filosofia è oggi fatta di chiacchiere. Mi sono considerato per quasi tutta la vita un citrullo e un ignorante e tale mi ritengo ancora oggi. Non rinuncio alla lotta delle idee che è la sostanza stessa della filosofia. Ma credo di essere dotato di un pensiero umile. L'umiltà consiste nell'investirsi delle esigenze degli uomini comuni e nel parlare il linguaggio chiaro, nel seguire la logica delle cose sotto la logica delle parole e nell'onorare come mia maestra suprema non l'erudizione, ma la vita".
La maggior parte delle seguenti riflessioni di Sossio Giametta sono tratte dai libri: L'oro prezioso dell'essere (2013) e Grandi problemi risolti in piccoli spazi (2017).
È lo stupore che fa il filosofo, e ogni uomo è in questo caso filosofo. (Sossio Giametta) |
Il bue squartato e altri macelli
La dolce filosofia (con Giuseppe Girgenti) © Mursia, 2012
Se la storia considera la filosofia come l’espressione del suo tempo sub specie aeterni-tatis, la filosofia può considerare la storia come la faccia eternamente cangiante dell’eternità.
In ogni epoca una potente personalità può ergersi al di sopra di tutta la storia e la filosofia del passato e giudicare grandezza e miseria della sua epoca. Ma da un punto di vista rigoroso, la filosofia sembra piuttosto succube che giudice della sua epoca.
Lo stile è l’uomo, come è stato detto, e qualche maligno ha aggiunto: dunque non è la donna; ma questa è appunto solo una malignità.
L'oro prezioso dell'essere
Saggi filosofici © Mursia, 2013 - Selezione Aforismario
Che cos’è il mondo e perché esiste? Che cosa siamo noi e perché esistiamo? Da dove veniamo e dove andiamo? Da dove viene il male del mondo? Qual è il senso della vita? Sono queste pressappoco le domande a cui si ritiene che la filosofia non possa rispondere. Ma prima di cedere le armi, facciamo ancora uno sforzo: chissà che non si possa rimediare qualche risposta...
È lo stupore che fa il filosofo, e ogni uomo è in questo caso filosofo.
Non è giusto vedere le cose solo dal lato della bufera, dello sconquasso, del naufragio (la vita è un naufragio, dice Ortega y Gasset); bisogna considerarle anche dal lato dei «ritmi distesi della natura», come dice Thomas Mann (magari grazie alla nostra piccolezza), cioè della stabilità, della pace e dell’armonia, per quanto precarie, come vedremo.
Il filosofo impara dalla vita e non dai libri.
Concepire l’infinito (o l’Uno), al di sotto delle parole, non siamo capaci. D’altra parte, concepire il mondo come finito è per così dire ancora più impossibile. Perché un mondo finito non potrebbe che essere una parte di qualche altra cosa non finita, in-finita. Questo, se dobbiamo dar retta alla nostra logica (ma a chi se no?).
L’infinità del mondo è per noi un must. Oltre che uno sconquasso della conoscenza e un mistero insondabile.
Certo è un compito arduo, anzi impossibile, per un essere che nasce in un punto e in un momento del mondo e vi dura pochissimo (cento anni sono un battito di ciglia della natura), concepire ciò che non ha limiti di spazio e di durata. Per rimediare agli effetti deprimenti che ne conseguono, quest’uomo di solito si inventa la religione e l’eternità, l’immortalità delle anime e magari anche dei corpi, dopo la resurrezione o grazie alla reincarnazione o metempsicosi, senza badare troppo al fatto che queste cose siano fondate o infondate, ipotetiche, immaginarie.
Non si nasce per scelta, ma per necessità, e per necessità anche si vive e si continua a vivere, non per libera volontà, ma «spinti da dietro».
La cosa più sana per i viventi è certamente di continuare a vivere, di affermare e non di negare la vita. Ma non sta scritto da nessuna parte che si debba essere per forza «sani». Spesso il nostro destino è fatalmente malsano. Quindi la vita e il giudizio sulla vita e sul mondo restano problematici.
Esistiamo perché il mondo, che è una creazione e distruzione continua, ci ha creati e così anche ci distruggerà.
Da dove veniamo e dove andiamo? Veniamo dal mondo e andiamo nel mondo, secondo le sue regole ignote; siamo così come siamo per infinite ragioni, che non siamo in grado di appurare, a parte alcune grossolane; e andiamo dove vanno tutti gli esseri dopo compiuto il loro ciclo di vita più o meno fecondo, andiamo alla fine, alla morte.
Che la vita continui o no nell’aldilà, non è cosa che tocchi la nostra esistenza in questo mondo, a cui la morte pone definitivamente fine.
C’è anche una felicità non semplice, una felicità più profonda del piacere, della letizia, della gioia, della voluttà, della soddisfazione, della gratificazione, dell’appagamento ecc., una felicità che sembra a volte diversa da, o addirittura contraria a tutte queste cose, ma che le comprende in sé ed è essa stessa tutte queste cose. Questa felicità delle felicità è la realizzazione: realizzazione delle proprie potenzialità.
Perché esiste il male? Perché siamo esseri particolari immersi in un tutto agitato, di cui subiamo le leggi.
Grandi problemi risolti in piccoli spazi
Codicillo dell'essenzialismo © Bompiani, 2017 - Selezione Aforismario
Tutti noi che esistiamo non pensiamo minimamente a che cosa l’esistenza sia: per noi esistere è così ovvio che non ci pensiamo affatto. Ci dispiace solo che non continui indefinitamente.
Pur sapendo che nessuna esistenza e nessuna cosa, neanche l’universo, può durare all’infinito, noi non stiamo a pensarci, siamo spinti dalla vita a vivere, smemoratamente, nel modo più pieno, intenso e lungo possibile, assaporandola in tutti i modi e combattendo gli infiniti ostacoli che vi si oppongono.
Nella vita comune non si ha nessuna idea della divinità dell’esistenza. Pur cercando di prolungarla in tutti i modi e con tutti i mezzi, si è lontani dal capire che l’esistenza è il mistero dei misteri, il dono dei doni, la cosa più sbalorditiva e inspiegabile che ci sia, nella sua semplicità elementare.
È l’esistenza che fa della vita un dono anche quando la vita è drammatica o tragica, perché rispetto all’essere il non essere non viene nemmeno in questione, tra loro non c’è paragone.
Preferire il non essere all’essere (diciamolo ad Amleto) significa obbedire a forze estranee, non essere sui compos, padroni di sé. Significa essere dissennati.
Saggio è accettare la vita che ci è data e non pretendere che duri eternamente.
La vita è immortale sì, grazie a noi e agli altri esseri viventi, che la riceviamo e la trasmettiamo, ma noi no, noi, in quanto individui che solo come tali ci identifichiamo e distinguiamo tra noi, siamo onde che ricevono e trasmettono il movimento da e ad altre onde, siamo inesorabilmente commessi alla reiezione o, come si dice oggi, alla gettatezza (Geworfenheit), alla morte e all’oblio.
La vita è eterna finché dura.
L’aldilà è effettivamente un angolino (umano, fin troppo umano) dello sterminato, infinito ed eterno aldiqua, ed è sempre in funzione di questo.
Che la vita sia sacra non significa, tuttavia, che sia sacra la vita degli individui: è sacra quella che, in quanto Essere, passa da individuo a individuo.
La natura non dà valore agli individui, ma alla loro funzione di anelli di una catena; quindi essi sono, per la natura, fungibili, intercambiabili, anche se si ritengono e sono unici nella loro individualità.
Il messaggio di Gesù non è attuabile. È un assoluto non alla portata degli uomini. Questi possono solo inalberarlo e custodirlo come ideale irraggiungibile, a cui possono tutt’al più tentare di avvicinarsi.
In cose essenziali la Chiesa non si è solo staccata dal messaggio di Gesù, ma l’ha tradito e calpestato.
Gli esseri viventi sono fatti, come la vita stessa, di nient’altro che essenza ed esistenza (sono la stessa cosa quantitativo-qualitativa), a tal punto che, se sono liberi, cioè se obbediscono alla loro legge interiore e non ne sono distorti da necessità aliene, non possono che secondare ciò che li porta a vivere, a sviluppare e a potenziare la vita propria e anche quella altrui.
La vita è costantemente tallonata dalla morte, che però non esiste di per sé, è semplicemente l’altra faccia della vita, l’autocompimento della vita.
Il senso della vita è l’esistenza, la vita stessa in quanto esistenza. L’esistenza è il valore assoluto, contro il quale nessun essere vivente può ribellarsi rimanendo fedele a se stesso.
La morte nell’universo non è un male, ma un mezzo del suo continuo divenire.
Per gli umili e disinteressati, per i puri, la vita ha in se stessa il massimo valore, valore infinito ed eterno, finché dura.
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